ROSSO ISTANBUL

venerdì 26 maggio - ore 21.15

GENERE: Drammatico
ANNO: 2017
REGIA: REGIA: Ferzan Ozpetek
ATTORI: Tuba Büyüküstün, Halit Ergenç, Mehmet Gunsur, Nejat Isler, Serra Yilmaz
SCENEGGIATURA: Ferzan Ozpetek, Gianni Romoli
FOTOGRAFIA: Gian Filippo Corticelli
MONTAGGIO: Patrizio Marone
MUSICHE: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
PAESE: Italia
DURATA: 115 Min



Trama
13 MAGGIO 2016. Orhan Sahin torna a Istanbul dopo 20 anni di assenza volontaria. Come editor deve aiutare Deniz Soysal, famoso regista cinematografico, a finire la scrittura del suo libro. Ma Orhan rimane intrappolato in una città carica di ricordi rimossi. Si ritrova sempre più coinvolto nei legami con i famigliari e gli amici di Deniz che sono anche i protagonisti del libro che il regista avrebbe dovuto finire. Soprattutto Neval e Yusuf, la donna e l'uomo a cui Deniz è più legato, entrano prepotentemente anche nella vita di Orhan. Quasi prigioniero nella storia di un altro, Orhan però finisce per indagare soprattutto su se stesso, riscoprendo emozioni e sentimenti che credeva morti per sempre e che invece tornano a chiedergli il conto per poter riuscire a cambiare la sua vita.

Recensione

“Niente è più importante dell’amore” - recita il manifesto di Rosso Istanbul - mentre sul libro del 2013 che ha ispirato il film si legge che in amore “è meglio una scia bruciante, anche se lascia una cicatrice, ed è meglio l’incendio di un cuore in inverno”. Meglio l’intensità di sentimenti, dunque, della freddezza e dell’anaffettività - suggerisce Ferzan Ozpetek sulla carta e attraverso le immagini, e questa convinzione è il fondamento, anzi il tessuto, del suo cinema e in particolare dei suoi personaggi: mai di pietra, costantemente appassionati, a volte attraversati da un malinconico struggimento e comunque sempre pronti a mettersi in gioco, preferibilmente intorno a un tavolo o nell’instancabile attività di rammentare un passato con cui bisogna fare i conti. E preferibilmente in una forma di narrazione che si identifica con il melò.
Ora, l’undicesimo film del regista turco, che non lavora in patria da vent’anni, ha poco del melò, forse giusto i colori, a cominciare da quel rosso che si mescola al blu del mare e del cielo nei tramonti di una città interiorizzata come l’abbraccio caldo di una madre. No, La vicenda dell’editor Ohran Sahin che torna a casa e suo malgrado ricorda con dolore infelicità rimosse e riprende a “funzionare emotivamente” è altro, è un’opera molto più complessa e sofisticata, un racconto profondamente intimo e per questo vero e sentito, oltre che nuovo nel panorama delle storie inventate dal buon Ferzan.
Senza appoggiarsi alla trama di un romanzo non abbastanza "visivo" ma di sicuro appeal per il suo essere strabordante di brandelli di un tempo andato intenso di cui è bello leggere, Ozpetek rompe le righe di un cinema dell'agire e del parlare e tenta un cinema dell'ascoltare e del guardare. Intrappolato nella vita, nei legami e nei ricordi di un altro, il suo protagonista “non fa” e “non dice”, si scambia sì la pelle con l'altro, però nello stesso tempo si mette da parte, perdendosi nei legami e nella memoria delle persone che ha intorno per rompere il guscio che gli ha intrappolato il cuore. Non è un percorso statico il suo, perchè espressivi sono gli occhi di Halit Ergenç e perchè in Rosso c’è una tensione che serpeggia dall’inizio alla fine, complici la sparizione di Deniz, un'ambientazione niente affatto tranquillizzante e una figura maschile che infila sciaguratamente i piedi nelle scarpe del suo doppio letterario.
Eppure, a un certo punto, qualcosa si ingarbuglia. Colpa del gioco di rimandi troppo complicato? O della moltiplicazione degli alter-ego di Ferzan Ozpetek (un ex scrittore incaricato di correggere il romanzo di un regista diventato scrittore)? Succede inoltre che alcuni personaggi si perdano, brillando per un attimo e poi offuscandosi, oppure rimanendo in bilico. Ma questa sospensione, ne siamo certi, è voluta, ed è in accordo con quella di Istanbul, che, allo stesso modo del revisore dagli occhi azzurri, cerca la sua identità. Più che inserire l’ex Costantinopoli in un discorso politico, allora, il regista la rende metafora di un’umanità irrequieta, fatta di anime in costruzione, anime fra cui ci piace pensare che ci sia anche la sua.
Imbruttita da moderni grattacieli e tormentata dal rumore assordante delle trivelle che si mescolano al muezzin, la città in cui si incontrano Oriente e Occidente è autentica come poche volte lo è stata sul grande schermo (altro che location per un Bond Movie!) e potrebbe essere il nuovo punto di partenza per un autore che, invece di “muoversi rimanendo fermo” (cit.), ha scelto di partire, e che, a chilometri e chilometri di distanza dalla sua bella casa nel quartiere Ostiense, si è interrogato, come mai aveva fatto prima, sul sigificato della solitudine. Carola Proto

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