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Visualizzazione dei post da marzo, 2013

L'AMORE INATTESO

ven 22_03 ore 21.15 (cineforum)
sab 23_03 ore 21.15
dom 24_03 ore 18.00 e 21.00

dom 31_03 ore 18.00 e 21.00
lun 01_04 ore 18.00 e 21.00


GENERE: Commedia
REGIA: Anne Giafferi
SCENEGGIATURA: Anne Giafferi
ATTORI: ric Caravaca, Arly Jover, Valérie Bonneton, Jean-Luc Bideau, Benjamin Biolay, Philippe Duquesne
FOTOGRAFIA: Jean-François Hensgens
MONTAGGIO: Christophe Pinel
MUSICHE: Jean-Michel Bernard
PAESE: Francia 2010
DURATA: 89 Min






Antoine è un brillante quarantenne. Sposato con Claire, padre di due figli, conduce una vita
agiata in una Parigi illuminista e intellettuale. In seguito ad un colloquio con l’insegnante del
figlio Hortense, Antoine, senza alcuna convinzione, inizia a frequentare la catechesi di una
parrocchia. Poco alla volta quegli incontri, aldilà della derisione e dello scetticismo iniziale, si
rivelano necessari portando Antoine a un nuovo equilibrio e ad una nuova serenità.

Il percorso intrapreso modifica le relazioni con i suoi familiari e amici: in un ambiente in cui
il tema religioso non è argomento di discussione, affrontarlo significa sottoporsi a un misto di
commiserazione divertita e critica feroce.

Antoine si ritrova così a partecipare segretamente agli incontri bisettimanali di catechesi,
sotto lo sguardo attonito e sospettoso della moglie Claire. L’unica a non giudicarlo sembra
essere sua sorella Emilie, anima sensibile alle prese con le sue difficoltà personali, soprattutto
affettive.

Nonostante la comune disapprovazione, Antoine continua senza enfasi e senza aspettative
il suo percorso e così trova un amore inatteso: Dio. Trova la fede e ritrova se stesso in un
semplice abbraccio con il figlio, riuscendo nel tempo anche a ricostruire i rapporti difficili con
il padre e il fratello Alain.

Interpretato da Eric Caravaca, Arly Jover, Valérie Bonneton, Jean-Luc Bideau e Benjamin
Biolay, il film tratta il tema della riscoperta delle fede attraverso la riscoperta di se stessi, ma
lo fa con umorismo, senza cadere nel proselitismo. Un film sulla sorpresa di trovare un grande
amore, che gioca e ride dei cliché e dei pregiudizi della Chiesa Cattolica, ma gioca e ride anche
dei pregiudizi sulla Chiesa e sulla religione.


VIVA LA LIBERTÀ

sab 16_3 ore 21.15
dom 17_3
ore 18.00 e 21.00



GENERE: Drammatico
REGIA: Roberto Andò
SCENEGGIATURA: Roberto Andò, Angelo Pasquini
ATTORI: Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Valeria Bruni Tedeschi, Michela Cescon, Anna Bonaiuto, Judith Davis, Eric Trung Nguyen, Andrea Renzi, Gianrico Tedeschi, Massimo De Francovich, Renato Scarpa
FOTOGRAFIA: Maurizio Calvesi
MONTAGGIO: Clelio Benevento
MUSICHE: Marco Betta
PRODUZIONE: BiBi Film, Rai Cinema
PAESE: Italia 2013
DURATA: 94 Min





Trama
Enrico Oliveri è uomo di sinistra e segretario del principale partito dell'opposizione. Contestato durante un congresso e sconfitto da un recente sondaggio, decide di concedersi una pausa e di lasciarsi alle spalle moglie, casa, paese e partito. 'Esule' a Parigi, dove lo accoglie Danielle, amante di un'estate a Cannes e segretaria di edizione nel cinema, Enrico è paralizzato e confuso sulla vita condotta e quella ancora da condurre. Nel mentre a Roma Andrea Bottini, fedele collaboratore, prova a riparare al danno riempiendo il vuoto con un 'pieno' singolare. Enrico ha un fratello gemello appena dimesso da una clinica psichiatrica che potrebbe arginare temporaneamente l'eclissamento del segretario. Bottini propone a Giovanni Ernani, professore di filosofia affetto da una depressione bipolare, di sostituirsi al fratello sul palcoscenico della politica. Giovanni non si fa certo pregare e divertito indossa gli scomodi panni del fratello, sorprendendo molto presto giornalisti, opinione pubblica e membri del partito. A colpi di poesia e di buona coscienza, Giovanni risale la scala del gradimento e incoraggia gli italiani a ricominciare brechtianamente da se stessi. In Francia intanto Enrico ritorna a frequentarsi intimamente, recuperando il suo senso e il senso delle cose. All'approssimarsi dell'alba Enrico e Giovanni muoveranno i loro passi nella stessa direzione, figure di spalle che se ne vanno nella pioggia verso un domani migliore.


Recensione
Garbo, leggerezza, intensità, sono queste le qualità di Viva la libertà che in una poesia e un giro di danza rivela una bellezza spiazzante e intende la difficoltà della rappresentazione dell'uomo politico al cinema. Composto come un haiku, componimento poetico giapponese in tre versi declamato dal segretario di Servillo nella sede impersonale del partito, Viva la libertà ripropone la semplicità della sua costruzione e il valore alla sua base, ovvero l'intenzione di restituire al linguaggio la propria essenza pura. E pura è la partitura di passi e passaggi che allacciano il doppio di Enrico Olivieri a un'ideale Angela Merkel, accolta con un impercettibile baciamano e 'condotta' con l'eleganza del gentiluomo. Se il segretario della sinistra di Roberto Andò è complice passivo della politica-spettacolo fatta di gossip e scenografie pacchiane, di silicone e glamour, di nani e ballerine imposti dalla televisione e dai modelli culturali berlusconiani, il suo gemello, diverso e filosofo, è portatore di una gentilezza, immune all'amour propre e alle certezze a buon mercato dietro cui nascondersi o con cui autoingannarsi. Ma nella fuga da sé e in cerca dell'altro da sé, Enrico comprenderà allo stesso modo che non si può godere appieno di se stessi senza un'altra persona. Danielle sul set francese, quello reale e quello finzionale, risveglierà in Enrico quel potenziale innato di amorevolezza che la società soffoca e corrompe, recuperandolo alla visione smarrita e a un linguaggio nudo.
Compendiando senza 'ricalcare' i caimani, i divi e gli usurai di Moretti, Sorrentino e Garrone e recuperando la lezione di un cinema italiano che rappresenta la realtà interpretandola e non spiegandola, Roberto Andò realizza un film sul disagio del potere, meglio, dell'essere immagine del potere, lasciando transitare indifferentemente il suo politico dalle recite di una tribuna politica al set. Il mestiere è chiaramente lo stesso, identico il metodo attoriale, medesimo l'attore. Politico sullo schermo per tutte le stagioni, Toni Servillo, già Andreotti inafferrabile per Sorrentino e padre teorico dell'Italia Unita di Martone, si emancipa dal ruolo intravedendo l'altrove per sé, il Paese e il cinema italiano. Assediato dal suo personaggio e dalla forza del destino, il corpo imperscrutabile e meccanico del 'divo' si scioglie nella danza, nell'ouverture bofonchiata di Verdi, nella poesia di Brecht, nel sorriso dopo un bacio. Come Volonté diventava per Petri prima Lulù Massa (La classe operaia va in paradiso) e poi Aldo Moro (Todo modo), Servillo riduce le distanze tra 'operaio' e potente fino a far coincidere, in un primo piano spiato dal Bottini di Mastandrea, l'uomo ordinario con quello straordinario. Ernani, alla maniera dell'omonimo verdiano, finisce dunque per comprendere Enrico e Giovanni, il 'bandito' e il conte, la farsa e la tragedia, il comico e il sublime, l'oscurità e il conforto onirico. Quello realizzato dal cinema di Federico Fellini, il cui intervento veemente, dietro la grana di un filmato di archivio, invita artisti e spettatori a tenere gli occhi aperti anche quando c'è scritto che è proibito guardare. Andò, traducendo in immagini il suo romanzo ("Il trono vuoto"), ci regala gli ultimi versi di Fellini, i più belli, contro una legge censoria che divorava il cinema, tagliava i paesaggi, alterava il ritmo rendendo i film irriconoscibili e noi poveri incivili. Marzia Gandolfi

Rassegna stampa 

ALEXANDRA

ven 15_03 ore 21,15


GENERE: Drammatico
REGIA: Aleksander Sokurov
SCENEGGIATURA: Aleksander Sokurov
ATTORI: Galina Vishnevskaya, Vasily Shetvtsov, Raisa Gichaeva, Andrei Bogdanov, Rustam Shahgireev, Alexei Nejmyshev, Alexander Kladko, Eugeny Tkatchuk
FOTOGRAFIA: Aleksandr Burov
MONTAGGIO: Sergei Ivanov
MUSICHE: Andrey Sigle
PAESE: Francia, Russia 2007
DURATA: 92 Min




Trama
Cecenia. Ai nostri giorni. Aleksandra Nikolaevna è una nonna che ha chiesto e ottenuto l'autorizzazione per andare a visitare il nipote che presta servizio nell'esercito russo in azione in quella Repubblica dell'ex Unione Sovietica. Passerà alcuni giorni con le truppe scoprendo un nuovo mondo composto da giovani uomini che si trovano in una terra che non li ama e i cui abitanti sono comunque così riservati da non riuscire a comunicare i propri veri sentimenti. Alexandra riuscirà a trovare un modo per entrare in contatto con alcune donne e, al momento di ripartire, sarà una persona molto diversa quella che salirà sul treno che la riporta in Russia.


Recensione
Alexandre Soukurov è uno dei pochi grandi autori russi che sono riusciti a sopravvivere a quel vero e proprio tsunami di cinema commerciale occidentale che ha travolto l'Est europeo in seguito alla caduta dei regimi socialisti. In questa sua ultima opera in cui, come ha già fatto anche in passato, si allontana dalle figure dei grandi dittatori del XX secolo per tracciare ritratti di vite comuni, Sokurov trova una mirabile sintesi narrativa. Il suo è stato finora considerato un cinema di elite, difficile, lento, per intellettuali cinefili all'ennesima potenza. In Alexandra troviamo invece uno sguardo che sa andare nell'intimo del rapporto tra esseri umani messi a confronto con se stessi ma anche con la Storia del loro Paese e con la loro cultura.
In questa nonna che si chiama con lo stesso nome del regista troviamo un personaggio altero, carico di consapevolezza di sé che progressivamente si stempera in umanità dinanzi a quei volti di ragazzi di leva mandati a fare da cani da guardia lontano da casa. La guerra non viene mostrata per una scelta etica nei film di Sokurov e non per nascondere (come qualcuno potrebbe pensare in questo caso) le uccisioni di civili compiute dai russi in Cecenia. Non è necessario vedere uccisioni o massacri per cogliere la sofferenza che circonda questo mondo. Dall'una e dall'altra parte. La si legge nei volti delle donne al mercato, con una delle quali la protagonista (una splendida Galina Vishnevskaya vera e propria gloria vivente della lirica russa) stringe un'amicizia che spera di prolungarsi nel futuro. Così come la si legge negli sguardi e nei gesti pudichi dei soldati nei confronti di una nonna che vorrebbero per sé. Alla ricerca forse di una figura doppiamente materna che finisce con il rappresentare una Madre Russia troppo lontana. Non solo geograficamente. Giancarlo Zappoli

Approfondimenti
rassegna stampa

LEBANON

ven 08_03 or 21,15


GENERE: Drammatico, Guerra
REGIA: Samuel Maoz
ATTORI: Yoav Donat, Itay Tiran, Oshri Cohen
Ruoli ed Interpreti
PRODUZIONE: Israeli Film Fund, Paralite
DISTRIBUZIONE: Bim Distribuzione
PAESE: Israele 2009
DURATA: 92 Min
FORMATO: Colore

nota: vincitore Leone d'oro al festival del cinema di Venezia 2009





Trama
Libano, giugno 1982. Un carro armato carico di armi e quattro giovani soldati avanza solitario dentro un villaggio, bombardato e abbattuto dall'Aviazione Militare israeliana. Assi è un comandante che non ha mai comandato, Shmuel un artigliere che non ha mai colpito, Herzl un servente al pezzo che non ha mai caricato una bomba e Yigal un pilota di un carro corazzato che non conosce destinazione. Impressionabili ed inesperti piangono e resistono dentro il "Rinoceronte" sferragliante, contro una guerra che non hanno voluto e un nemico che non vogliono condannare. Smarrita la direzione, mancata la posizione e assediati dalla paura, tenteranno una fuga disperata verso un campo di girasoli e una terra "promessa" (a tutti).

Recensione
I soldati di Samuel Maoz non amano la guerra e sono lontani, molto lontani, dagli artificieri volontari e "in erezione" della Bigelow (The Hurt Locker). Impegnati sul fronte iracheno a disinnescare bombe e incapaci di tornare alla normalità, i soldati dipendenti della regista americana sono rimpiazzati, sullo schermo e al fronte, dai "corpi corazzati" e arruolati nelle Forze Armate israeliane durante la Prima Guerra del Libano di Maoz. Addestrato a vent'anni come artigliere, l'esordiente regista israeliano gira un film di guerra contro la guerra, riuscendo a mantenersi in equilibrio, a governare l'orizzonte del discorso e l'inferno della sua messa in scena, l'alto e il basso, la battaglia e l'annientamento umano. Claustrofobico e trincerato Lebanon guarda alla guerra attraverso il mirino-obiettivo di un artigliere che, idealmente prossimo al Piero di De Andrè e al tenente Ottolenghi di Lussu (e Rosi), rifiuta in lacrime e indisciplinato di uccidere e di uccidersi.
Come gli idealismi, gli ufficiali nel film servono a "cacciare innanzi i soldati", lasciati morire da una nazione assediata e in crisi nonostante la promessa che nessuno sarebbe stato abbandonato. La guerra "in un interno" raccontata da Maoz è quella della Storia, ancorata a una letteratura che l'ha definita, allestita, giustificata, compresa, perdonata o condannata, e allo stesso tempo quella del presente, ancora aperta e infinita, ancora chiusa nella sua logica di parte, immatura nelle riflessioni, relativa nella rappresentazione. Se la Prima Guerra del Libano appartiene all'altro secolo, i conflitti arabo-israeliani perseverano, eternamente in corso si allungano sulla nuova epoca, veicolati dalle immagini redacted dei servizi giornalistici. Contro le conseguenze mediatiche e i percorsi retorici creati dai media, si leva in alto l'immaginario cinematografico, interrogandosi e scavando nella componente umana di ogni guerra. Marzia Gandolfi

Approfondimenti
rassegna stampa
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