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Visualizzazione dei post da aprile, 2016

Robinson Crusoe


sab 7_5 ore 18.00
dom 8_5 ore 15.00 - 16.45

DATA USCITA: 05 maggio 2016
GENERE: Animazione
ANNO: 2016
REGIA: Vincent Kesteloot, Ben Stassen

DISTRIBUZIONE: Notorious Pictures
PAESE: Belgio
DURATA: 90 Min






Il pappagallo Martedì viveva tranquillamente su un'esotica isola insieme ai suoi amici animali, quando un giorno all'improvviso una nave naufraga davanti a loro. Impauriti gli animali scappano via; solo il piccolo pappagallo corre in aiuto dell'unico susperstite ed insieme a pochi coraggiosi, li aiuteranno a sopravvivere sull'isola. La vera storia di Robinson Crusoe raccontata dal pappagallo Martedì che sull'isola è diventato il suo migliore amico.

 

Leonardo Da Vinci – Il genio a Milano


solo martedì 3 maggio ore 21.15


Pittore, scultore, scienziato, musico, esperto di anatomia e di fisica, botanico, architetto, inventore: superando lo spirito del suo tempo, Leonardo viene oggi identificato con l’immagine del Genio. Era un uomo poliedrico l’artista di Vinci e lo dimostrano l’immenso patrimonio di studi e opere che ci ha lasciato, oltre alla lettera in cui, nel 1482, si presenta a Ludovico il Moro, signore di Milano.
Così, partendo dalla mostra a Palazzo Reale organizzata da Skira e Comune di Milano nei mesi di Expo, Rai Com, Skira e Codice Atlantico hanno deciso, in collaborazione con Pirelli e Confagricoltura, di lavorare congiuntamente per raccontare in un docufilm proprio gli anni trascorsi da Leonardo a Milano, toccando i diversi aspetti della sua vita e della sua arte, approfondendo le caratteristiche della città del tempo, le personalità degli artisti che gli sono stati vicini, senza trascurare naturalmente le molte leggende che lo riguardano.
Leonardo da Vinci. Il Genio a Milano esplora il soggiorno cittadino dell’artista, offrendo la chiave per trasformare in quadri cinematografici i numerosi scenari leonardeschi di Milano: il Castello Sforzesco, il Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci”, la Basilica di Santa Maria delle Grazie, i Navigli, la Vigna di Leonardo sino al celebre Cenacolo. Il film – in cui verranno mostrate e raccontate opere come La Belle Ferronnière, la Dama con l’ermellino, la Vergine delle Rocce, il Ritratto di musico, il San Giovanni Battista, l’Ultima Cena – arriverà nelle sale di tutto il mondo distribuito da Nexo Digital e sarà in programma in Italia il 2, 3 e 4 maggio all’interno del progetto della Grande Arte al Cinema che sta conquistando un pubblico sempre più vasto.
Coinvolgendo Pietro Marani – curatore della mostra – alcuni tra i massimi esperti di Leonardo a livello mondiale e autori che ne hanno esplorato la personalità – Claudio Giorgione, Maria Teresa Fiorio, Richard Schofield, Vittorio Sgarbi, Daniela Pizzagalli – è nata infatti una storia capace di aprire nuove prospettive e svelare mondi straordinari.


Com’è possibile raccontare la complessità del genio assoluto? Da dove s’inizia? Qual è il mistero che rende Leonardo l’artista più amato, discusso e studiato di tutti i tempi? Per rispondere a queste domande e approfondire ulteriormente il tema e le opere in mostra provenienti dal Louvre di Parigi, dalla National Gallery of Art di Washington e dalla Pinacoteca Ambrosiana, gli autori Jacopo Ghilardotti e Gabriele Scotti hanno ritenuto opportuno arricchire il racconto documentaristico, sviluppato con il regista Nico Malaspina, con l’aggiunta di alcune scene di fiction, per le quali è stato coinvolto il regista Luca Lucini. La storia di Leonardo a Milano ha potuto così allargarsi ed includere molti protagonisti del suo soggiorno milanese: Ludovico il Moro, signore di Milano, l’amico e allievo Salaì, Beatrice d’Este, Donato Bramante, Vincenzo Bandello e altri ancora. I personaggi storici saranno interpretati da attori noti come Vincenzo Amato, Cristiana Capotondi, Alessandro Haber, Gabriella Pession, Paolo Briguglia, Edoardo Natoli, Giampiero Judica, Nicola Nocella, mentre la voce narrante sarà quella di Sandro Lombardi.

Mister Chocolat


gio 28_4 ore 21.15
sab 30_4 ore 21.15
dom 01_5 ore 18.00 e 21.15

GENERE: Drammatico , Biografico
ANNO: 2016
REGIA: Roschdy Zem
ATTORI: Omar Sy, Noémie Lvovsky, James Thiérrée, Frédéric Pierrot
SCENEGGIATURA: Cyril Gely
FOTOGRAFIA: Thomas Letellier
MONTAGGIO: Monica Coleman
MUSICHE: Gabriel Yared
PAESE: Francia
DURATA: 110 Min



Trama
Francia, 1897. Rafael Padilla, nero di origine cubana, è uno dei freaks di Monsieur Delvaux, direttore artistico di un piccolo circo di provincia. Esibito tra la donna cannone e l'uomo più alto del mondo, Rafael impersona con pelle maculata e osso tra i capelli il mito del selvaggio famelico, terrorizzando sulla pista donne e bambini. Ma George Footit, clow bianco di professione, intravede in lui un potenziale e gli propone di formare un duo comico.
Lasciata la provincia per la Ville Lumière, George e Rafel incontrano un successo sbalorditivo. Col nome di Chocolat, diventa il primo artista nero della scena francese ma lontano dalle paillettes la vita presenta il conto e la Francia la sua intolleranza. Delazione e arresto innescano un processo di consapevolezza della propria condizione che coinciderà con il fallimento di una carriera. 

Recensione
Prigioniero del modo in cui gli altri lo vedevano (e lo rappresentavano), Chocolat è soccorso da George Footit, clown bianco con cui Chocolat formerà per quindici anni un formidabile duo. Le virtù pedagogiche di Mister Chocolat, che svolge una relazione umana e professionale, rende noto un destino sconosciuto, riemerge la stagione degli imperi coloniali e delle 'esposizioni' ossessionate dalla spettacolarizzazione del guardato, non sono però sufficienti da sole a risollevare un film che resta costantemente in superficie e a cui manca un punto di vista.
Il biopic di Roschdy Zem è un prodotto irrigidito e impacciato, che non ragiona mai in termini di messa in scena, che non ci dice nulla del suo protagonista se non che fu un povero diavolo buono, vittima della sue debolezze (la passione per le donne e il gioco) e di una società esclusivista, che decise un bel giorno di recitare Shakespeare per uscire dalla sua condizione di bestia da circo. Ma la cosa più bizzarra è che Mister Chocolat finisce per riproporre gli stereotipi che vorrebbe denunciare. Sotto i lineamenti di Omar Sy, Chocolat non è che una marionetta priva di profondità psicologica, che porta a coscienza e diventa portavoce dei propri diritti con due bicchieri di assenzio e uno scambio di battute in prigione.
Sul tema della spettacolarizzazione dell'orrore coloniale poi, Mister Chocolat non aggiunge molto ed elude la riflessione sul ruolo dello spettatore compresa da Kechiche. Roschdy Zem non riesce ad afferrare il suo protagonista, a cogliere l'ambiguità del ridere che suscita, ad applicare alla materia uno stile rigoroso (Mister Chocolat è un film agghindato), a ragionare sulla responsabilità dello sguardo o sullo sguardo responsabile. Disinnescato è pure Omar Sy, incredibilmente fuori parte e battuto, in senso proprio e figurato, dal James Thierrée, attore, acrobata, ballerino, mimo 'caduto' sulla pista del circo a quattro anni. Nipote di Charlie Chaplin, melange di splendore e malinconia, è il punctum del film, di cui rende indispensabile la visione.  Marzia Gandolfi

Approfondimenti

Fuocoammare


ven 29_4 ore 21.15

Chiude il Cineforum il film di Gianfranco Rosi che è stato premiato con l’Orso d’oro al festival internazionale del cinema di Berlino

GENERE: Documentario
ANNO: 2016
REGIA: Gianfranco Rosi
SCENEGGIATURA: Gianfranco Rosi
FOTOGRAFIA: Gianfranco Rosi
MONTAGGIO: Jacopo Quadri
PAESE: Italia, Francia
DURATA: 108 Min







Trama
Gianfranco Rosi racconta Lampedusa attraverso la storia di Samuele, un ragazzino che va a scuola, ama tirare sassi con la fionda che si è costruito e andare a caccia di uccelli. Preferisce giocare sulla terraferma anche se tutto, attorno a lui, parla di mare e di quelle migliaia di donne, uomini e bambini che quel mare, negli ultimi vent'anni, hanno cercato di attraversarlo alla ricerca di una vita degna di questo nome trovandovi spesso, troppo spesso, la morte.

Recensione
Per comprendere appieno un film di Gianfranco Rosi è prioritariamente indispensabile liberarsi da una sovrastruttura mentale alla quale molti hanno finito con l'aderire passivamente e in modo quasi inconscio ed indolore. Si tratta del format dell'inchiesta giornalistico-televisiva che si concretizza in immagini scioccanti, in interviste più o meno interessanti finalizzate a un impianto (in particolare sulla tematica delle migrazioni) ideologicamente preconfezionato. O si è pro o si è contro la presa in carico del fenomeno e su questa base si costruisce la narrazione.
Rosi, come il Salgado che abbiamo potuto conoscere grazie a Il sale della terra diretto da Wim Wenders, si allontana in maniera netta da quanto descritto sopra a partire dalla scelta, fondamentale, di aborrire il cosiddetto documentario 'mordi e e fuggi' che vede la troupe giungere sul luogo, pretendere di capire in fretta o comunque di mettere in ordine i propri pregiudizi e ripartire quando pensa di 'avere abbastanza materiale'. Il regista è rimasto per un anno a Lampedusa entrando così realmente nei ritmi di un microcosmo a cui voleva rendere una testimonianza assolutamente onesta.
Samuele è un ragazzino con l'apparente sicurezza e con le paure e il bisogno di capire e conoscere tipici di ogni preadolescente. Con lui e con la sua famiglia entriamo nella quotidianità delle vite di chi abita un luogo che è, per comoda definizione, costantemente in emergenza. Grazie a lui e al suo 'occhio pigro', che ha bisogno di rieducazione per prendere a vedere sfruttando tutte le sue potenzialità, ci viene ricordato di quante poche diottrie sia dotato lo sguardo di un'Europa incapace di rivolgersi al fenomeno della migrazione se non con l'ottica di un Fagin dickensiano che apre o chiude le frontiere secondo il proprio tornaconto. Samuele non incontra mai i migranti. A farlo è invece il dottor Bartolo, unico medico di Lampedusa costretto dalla propria professione a consatatare i decessi ma capace di non trasformare tutto ciò, da decine d'anni, in una macabra routine, conservando intatto il senso di un'incancellabile partecipazione. Rosi non cerca mai il colpo basso, neppure quando ci mostra situazioni al limite. La sua camera inquadra vita e morte senza alcun compiacimento estetizzante ma con la consapevolezza che, come ricordava Thomas Merton, nessun uomo è un'isola e nessuna Isola, oggi, è come Lampedusa. Giancarlo Zappoli 

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God's Not Dead


martedì 26_4 ore 21.15
mercoledì 27_4 ore 18.00 e 21.15

GENERE: Commedia , Drammatico , Family
ANNO: 2014
REGIA: Harold Cronk
ATTORI: Willie Robertson, David A.R. White, Shane Harper, Kevin Sorbo, Korie Robertson, Marco Khan, Dean Cain
SCENEGGIATURA: Chuck Konzelman, Cary Solomon
MONTAGGIO: Vance Null
MUSICHE: Will Musser
PAESE: USA
DURATA: 113 Min




Trama
Ispirato ad un avvenimento realmente accaduto, il film racconta di una matricola universitaria che sfida un prestigioso professore di filosofia, rischiando ben più della propria carriera accademica, per difendere la tesi a lui più cara: l'ESISTENZA di DIO.

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Una notte con la regina


gio 21_4 ore 21.15
sab 23_4 ore 21.15
dom 24_4 ore 18.00 e 21.15
lun 25_4 ore 21.15

GENERE: Commedia
ANNO: 2015
REGIA: Julian Jarrold
ATTORI: Sarah Gadon, Bel Powley, Emily Watson, Rupert Everett, Jack Reynor, Jack Gordon, Roger Allam
SCENEGGIATURA: Kevin Hood, Trevor De Silva
FOTOGRAFIA: Christophe Beaucarne

MUSICHE: Paul Englishby
PAESE: Gran Bretagna
DURATA: 97 Min





Trama 
È la sera dell'8 maggio 1945, giornata della vittoria degli Alleati contro la Germania nazista. Giorgio VI si appresta a parlare all'Inghilterra via radio, superando la sua balbuzie: è lo stesso discorso del re celebrato dal film di Tom Hooper. Ma le sue due figlie Elizabeth - futura regina Elisabetta II - e Margaret scalpitano per unirsi al caos gioioso che si è riversato per le strade di Londra. La loro mamma, Elisabetta I, è fortemente contraria ma papà Giorgio acconsente a mandare le ragazze al ballo che si terrà all'Hotel Ritz, scortate da due guardie reali. Appena arrivate al Ritz però Margaret, la sorella più intraprendente, riesce ad eludere la sorveglianza delle guardie e sgattaiola fuori dall'hotel, tuffandosi nel fiume di londinesi in festa. Al suo inseguimento si lancia Elizabeth, anche lei depistando i due chaperon.

Recensione

Una notte con la regina trae ispirazione da un episodio realmente accaduto - l'uscita di Elizabeth e Margaret, all'epoca di soli 19 e 14 anni, dalla residenza reale la sera della vittoria per recarsi al ballo del Ritz - e inventa un'avventura per le due principesse (aumentandone un po' l'età anagrafica) che comporta un inseguimento fra autobus, l'excursus in un bordello e l'incontro tra Elizabeth e un giovane aviatore, Jack (come il protagonista di Titanic), che non sa di avere a che fare con una principessa (come il giornalista di Vacanze romane). È un esercizio in immaginazione e creatività che richiede una certa sospensione dell'incredulità, soprattutto per quanto riguarda le due guardie reali ubriacone e donnaiole, ma che si rivela una divertente e per certi versi commovente cavalcata nella nostalgia per un'epoca lontana più semplice ed un cinema più incline al sogno. La ricostruzione d'ambiente, popolata da centinaia di comparse in costume, ha il sapore della messinscena teatrale o della favola disneyana, ma a rendere moderna la narrazione sono i dialoghi, ispirati nel vocabolario e nella enunciazione alle commedie sofisticate anni '40, ma carichi di senno di poi e colorati dalla nostra sensibilità contemporanea. Gran parte del sottotesto riguarda l'ingiustizia del sistema di caste inglese che, anche in tempo di guerra, manda avanti i suoi paria e tiene al caldo i suoi bramini.
Sarah Gadon è un'efficace ingénue nei panni di Elizabeth, ma a rubare la scena, ogni singola scena, è Bel Powley nei panni di Margaret, goffa e pasticciona, incosciente e maliziosa, affamata di vita e di emozioni forti eppure ingenua e teneramente naif. Rupert Everett è un re Giorgio apparentemente impassibile ma in realtà visibilmente fragile ed Emily Watson è la saggia e severa Elisabetta I.
Se la traccia narrativa che riguarda Elizabeth ricalca la sceneggiatura di Dalton Trumbo per il film di William Wyler, quella che riguarda Margaret attinge alla screwball comedy e prefigura un'eroina alla Judy Holliday (per non dire alla Mae West). Non guasta che, accanto a lei, per un tratto dell'avventura di una notte ci sia l'impareggiabile Roger Allam nei panni del proprietario di un locale a metà fra lo speakeasy e la casa di tolleranza, un uomo scevro da ogni ipocrisia britannica e imbevuto di pragmatico opportunismo.
Conditio sine qua non per apprezzare fino in fondo questa favola è soprattutto la comprensione del rapporto di profondo amore e familiarità che gli inglesi hanno con la famiglia reale, non privo di spirito critico ma ricco di genuina devozione patriottica. Paola Casella  

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A testa alta


ven 22_4 ore 21.15

GENERE: Drammatico
ANNO: 2015
REGIA: Emmanuelle Bercot
ATTORI: Rod Paradot, Catherine Deneuve, Benoît Magimel, Sara Forestier
SCENEGGIATURA: Emmanuelle Bercot, Marcia Romano
FOTOGRAFIA: Guillaume Schiffman
MUSICHE: Éric Neveux
PAESE: Francia
DURATA: 120 Min





Trama
Malony è stato abbandonato da sua madre alla età di 6 anni e da allora fa dentro e fuori da istituti e la giudice dei minori Florence viene costantemente chiamata a decidere del suo futuro. Il ragazzo viene affidato al tutoring di Yann, un educatore che comprende le sue difficoltà avendo avuto un'infanzia difficile. Il ragazzo ha una bassissima autostima e neppure le attenzioni che gli rivolge Tess, figlia di una insegnante di un istituto, sembrano inizialmente rassicurarlo.

Recensione
Raccontare un ragazzo 'difficile' non è un'impresa facile soprattutto sul grande schermo. Perché se non sei i Dardenne o Gus Van Sant (che si sono conquistati da tempo sul campo il riconoscimento critico per poterlo fare) il rischio del mancato consenso è sempre in agguato. Come sembra essere successo per questo film selezionato per l'apertura del Festival di Cannes 2015 ed accolto con il silenzio alla proiezione per la stampa internazionale. Perché in questi casi finisce con il verificarsi uno strano (e preoccupante) fenomeno. I critici più conservatori e parte di quelli più progressisti finiscono con il ritrovarsi sullo stesso fronte, che è poi quello della reazione negativa. I primi perché fanno una lettura ideologica e ritengono che per certi 'casi' non si debba poi provare troppa comprensione. I secondi perché, se la sceneggiatura lascia intravedere una possibile soluzione positiva, attivano in automatico la definizione 'buonismo' e con quella risolvono la questione.
Emmanuelle Bercot fortunatamente sembra non preoccuparsi per questo tipo di reazioni e ci offre, grazie anche alla straordinaria prestazione del giovanissimo Rod Paradot, un ritratto più che verosimile di un percorso di formazione costantemente minato e rimesso in discussione da chi dovrebbe portarlo avanti. Qualche volta si tratta di adulti che non comprendono o si limitano ad 'applicare' la legge ma spesso è chi dovrebbe essere recuperato che rifiuta le attenzioni, le opportunità e talvolta anche l'amore che gli vengono offerti ritenendosi non in grado di gestirlo anche se solo a livello inconscio. È quanto accade a Malony in questa vicenda che è frutto di un lungo lavoro di ricerca al fianco di giudici minorili e di educatori. Se è buona regola vedere qualsiasi film dall'inizio, in questo caso la stessa diventa cogente. Quel bambino di 6 anni che assiste al difficile confronto tra sua madre (che ha in braccio il fratellino) e la giudice sta completando l'introiezione di innumerevoli sensi di colpa e di inadeguatezza che saranno alla base della sua adolescenza tumultuosa in cui risultati che sembrano definitamente acquisiti possono essere rimessi totalmente in discussione da una frase o da un gesto. Spesso dietro a quelle reazioni ci sono delle richieste inespresse di un aiuto a cui non sempre è umanamente facile corrispondere. Emmanuelle Bercot ci invita a fare almeno lo sforzo di capirne il senso.  Giancarlo Zappoli

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Risorto


gio 14_4 ore 21.15
sab 16_4 ore 21.15
dom 17_4 ore 18.00 e 21.15

 GENERE: Drammatico
ANNO: 2016
REGIA: Kevin Reynolds
ATTORI: Joseph Fiennes, Tom Felton, María Botto, Cliff Curtis, Peter Firth
SCENEGGIATURA: Kevin Reynolds
FOTOGRAFIA: Lorenzo Senatore
MONTAGGIO: Steve Mirkovich
MUSICHE: Roque Baños
PAESE: USA
DURATA: 107 Min






Trama
L'epica storia della Resurrezione e delle settimane che seguirono, attraverso gli occhi del non credente Clavius, un tribuno militare di alto rango. Insieme al suo aiutante Lucius, vengono istruiti direttamente da Ponzio Pilato per assicurarsi che i seguaci più radicali di Gesù non rubino il suo corpo. Quando il corpo scompare, Clavius ne inizia la ricerca per smentire le voci che il Messia sia risorto ed evitare quindi una pericolosa rivolta a Gerusalemme.
 

Sicario


ven 15_4 ore 21.15

 GENERE: Drammatico , Thriller
ANNO: 2015
REGIA: Denis Villeneuve
ATTORI: Emily Blunt, Josh Brolin, Jon Bernthal, Benicio Del Toro, Jeffrey Donovan, Raoul Trujillo, Maximiliano Hernández, Daniel Kaluuya, Dylan Kenin, Julio Cedillo
SCENEGGIATURA: Taylor Sheridan
FOTOGRAFIA: Roger Deakins
MONTAGGIO: Joe Walker
MUSICHE: Jóhann Jóhannsson
PAESE: USA
DURATA: 121 Min




Trama
Un'imboscata dell'FBI rivela molto piu' di quanto era previsto: lo spettacolo orripilante di decine di cadaveri nascosti nei muri e con la testa sigillata in sacchetti di plastica. Per allargare la squadra che va a caccia dei mandanti di quel massacro la CIA arruola Kate, la giovane agente dell'FBI che ha partecipato all'imboscata rivelatrice, anche se lei è un'esperta di rapimenti mentre la squadra combatte da tempo contro il cartello messicano della droga. È l'inizio di una discesa agli inferi che coinvolgerà tutti i servizi segreti statunitensi (e la coscienza di un Paese) disposti a trasgredire ogni regola e a sacrificare ogni parvenza di umanità pur di mantenere il controllo (ma senza alcuna volontà di debellare il Male).

Recensione
Il regista canadese Denis Villeneuve, dopo l'excursus fra i conflitti alimentati dai fondamentalismi religiosi in Medio Oriente ne La donna che canta, prosegue il percorso di denuncia degli Stati Uniti controllori (fallibili) del mondo iniziato con Prisoners, il suo primo film "americano" . I temi sono identici, qui più estremizzati: la volontà di mantenere un ordine a tutti i costi e la consapevolezza di trovarsi sempre e comunque di fronte ad un caos inarginabile, l'incapacità di proteggere i figli (propri e altrui) dall'escalation di violenza che non guarda in faccia nessuno, la progressiva deumanizzazione di chi si fa carico di "fare pulizia".
In Sicario la deumanizzazione prende due forme: quella cinica e istrionica di Matt, il team leader della missione contro il cartello messicano, interpretato da Josh Brolin con pericoloso carisma emulativo, e il killer del titolo, un mercenario colombiano che combatte per chi paga e nel contempo persegue un suo personale obiettivo, che ha il viso segnato e lo sguardo ambiguo di Benicio Del Toro. Fra di loro, vaso di coccio destinato a incrinarsi più volte, Emily Blunt nei panni di Kate, fragile anche fisicamente, decisa a non giustificare l'ingiustificabile ma disposta a prestarsi come esca. In un mondo in cui tutti usano tutti, Kate è supremamente utilizzabile e i suoi scrupoli servono solo a renderla un perfetto specchietto per le allodole.
Villeneuve fa di tutto per superare se stesso, registicamente parlando, inventandosi sequenze che devono moltissimo a The Hurt Locker e Zero Dark Thirty (entrambi girati da una donna che sa come non farsi usare), ma non riesce ad elevare il discorso già compiutamente espresso in Prisoners, con meno fuochi di artificio e meno grandguignole. L'universo di Sicario, privo di pietà e di senso, è letteralmente senza testa (scopo dell'operazione CIA-FBI è quello di decapitare il cartello messicano, Kate rischierà l'osso del collo e le decisioni sul destino delle persone vengono prese molto da "cervelli" più in alto rispetto ai corpi che cercano di sopravvivere in basso). "Non lasciateci all'oscuro", chiede un personaggio a Matt, e quello lo schernisce: "Hai paura del buio?". Come ricorda Sicario attraversando piu' volte le frontiere fra Messico e Stati Uniti, fra brutalità e civiltà (solo apparente), ci sono confini che è meglio non attraversare, e il momento di maggiore pericolo è quello del ritorno. Paola Casella

Truth - il prezzo della verità


gio 7_4 ore 21.15
sab 9_4 ore 21.15
dom 10_4 ore 18.00 e 21.15

Locandina Truth - Il prezzo della verità GENERE: Biografico , Drammatico
ANNO: 2015
REGIA: James Vanderbilt
ATTORI: Robert Redford, Cate Blanchett, Elisabeth Moss, Topher Grace, Dennis Quaid, Bruce Greenwood, David Lyons, John Benjamin Hickey
SCENEGGIATURA: James Vanderbilt
FOTOGRAFIA: Mandy Walker
MONTAGGIO: Richard Francis-Bruce
PAESE: Australia, USA
DURATA: 125 Min







Trama
Nel 2005 Dan Rather, celeberrimo anchorman del network televisivo americano CBS, rassegnò le sue dimissioni in seguito alla controversia esplosa dopo la messa in onda di un servizio che metteva in discussione l'appartenenza dell'allora presidente George W. Bush alla Guardia Nazionale Aerea durante la guerra nel Vietnam. Responsabile di quel servizio era Mary Mapes, una produttrice televisiva che, per il programma giornalistico "60 Minutes", aveva realizzato molti storici scoop con grande intuito giornalistico. Maples ha poi raccontato la storia di quella controversia in un memoriale che è la base su cui James Vanderbilt, sceneggiatore alla sua prima regia (nonché erede della celebre dinastia di bramini newyorkesi), ha strutturato il copione di Truth, solido e coinvolgente dramma nella tradizione americana del cinema hollywoodiano che esplora i rapporti tra politica e giornalismo.

Recensione
La messiscena è classica e rigorosa, anche se dichiaratamente di parte, ovvero dalla parte di Mary Mapes e di Dan Rather, e racconta con ritmo incalzante e continui colpi di scena ciò che succede in un network televisivo quando il gioco si fa duro e i duri cominciano a giocare. Ma al di là del resoconto della vicenda realmente accaduta, Truth è una riflessione su come sta cambiando la cronaca e come, in particolare, stia scomparendo il giornalismo di inchiesta: troppo costoso, troppo pericoloso, troppo soggetto al fuoco incrociato dei poteri forti e del popolo di Internet, che se da un lato ha fatto da cane da guardia della libertà di informazione (merito cui la sceneggiatura, colpevolmente, non fa cenno), dall'altro ha dato voce a centinaia di anonimi troll e lanciatori di fango, ancor più velenosi quando il bersaglio appartiene al sesso femminile.
In modo artificiale ma efficace, la sceneggiatura di Vanderbilt semina nella prima parte tutti gli ami che andrà a recuperare nella seconda, compresi gli accenni al passato oscuro della Mapes, figlia di un padre retrogrado e violento, e all'importanza del coraggio per un giornalista davvero intenzionato a raccontare quella verità che dà titolo al film (e che Mapes, con ingenuità e un certo grado di faziosità, presupponeva essere unica). La verità è al centro della storia anche perché, nel grande circo multimediatico, sembra contare meno di un'opinione strillata, o di uno scandalo ben confezionato. Spesso dunque si perde di vista la sostanza dei fatti, o la gravità di certe azioni, per dare spazio alle querelle e alle chiacchiere, e quando questo succede a farne le spese è la democrazia.
La regia di Vanderbilt è scolastica nel senso migliore del termine, perché privilegia una narrazione lineare che rinuncia ai tocchi (ma anche ai vezzi) autoriali che un Oliver Stone, ad esempio, avrebbe senz'altro utilizzato per raccontare questa storia. Le complicazioni della trama sono semplificate dagli stessi espedienti visivi che caratterizzano i programmi televisivi di approfondimento politico, e il montaggio serve ad aggiungere spettacolo e pathos ad una storia altrimenti troppo didascalica.
Truth si colloca su un crinale storico, quello fra informazione vecchio stile, affamata di scoperte e coraggiosa fino all'incoscienza, e informazione nell'epoca in cui le notizie non si cercano ma rimbalzano di sito in sito, di blog in blog, senza che chi le ripropone si prenda la responsabilità di verificarne la veridicità (ma di certo si prende il gusto di fare le pulci alle rivelazioni altrui). Il rischio, afferma il film, è quello di dimenticare l'imperativo deontologico della seconda (e terza, e quarta) domanda per concentrarsi su sterili querelle e gogne mediatiche sempre utili a chi vuole che le notizie, quelle vere, passino in secondo piano.
Cate Blanchett è efficace come sempre nel ruolo di Mary Mapes, ma risente dell'impostazione classica hollywoodiana della sceneggiatura che le toglie quella libertà di movimento necessaria ad utilizzare le sue corde più sottili. Perfettamente in parte, invece, il liberal Robert Redford, che mette i suoi quasi ottant'anni a frutto nell'incarnare la gravitas (ma anche la fragilità fisica) di un giornalista duro e puro entrato a far parte del mito americano. Paola Casella

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La felicità è un sistema complesso


ven 8_4 ore 21.15

 GENERE: Commedia
ANNO: 2015
REGIA: Gianni Zanasi
ATTORI: Valerio Mastandrea, Hadas Yaron, Giuseppe Battiston, Paolo Briguglia, Maurizio Donadoni
FOTOGRAFIA: Vladan Radovic
PAESE: Italia
DURATA: 117 Min







Trama
Enrico Giusti è il re delle cessioni. Intermediario per un'azienda che acquista società in crisi, avvicina i suoi clienti, quasi sempre vanesi e inconcludenti, ne guadagna la fiducia e ne 'risana' la vita, facendoli ripartire in Costa Rica o agli antipodi. Figlio di un padre imprenditore, che ha abbandonato la sua famiglia per il Canada in seguito a un fallimento finanziario, e fratello maggiore di Nicola, eterno studente che come il genitore si risolve nella fuga, Enrico ripara il trauma infantile assistendo e scampando aziende da gestioni disastrose. La morte tragica di una coppia di imprenditori trentini, che lasciano un figlio diciottenne e una figlia tredicenne orfani e 'al comando' dell'impresa familiare, e l'arrivo imprevisto della fidanzata israeliana, sedotta e abbandonata dal fratello, sconvolgeranno per sempre la sua vita. Una vita in passivo e in cerca di riscatto.
Eredità, tradizione, continuità, c'è tutto questo nella nuova commedia di Gianni Zanasi. La felicità è un sistema complesso cerca nuovi equilibri ma è nello squilibrio che trova il suo punto di forza e di attrazione, avvitandosi intorno al suo protagonista, che stima debiti e crediti di una vita. La sua vita trascorsa a subire l'eredità paterna e a compensarla attraverso un lavoro 'creativo' che si illude di combattere il sistema dall'interno ma è il sistema economico, forma sublimata della guerra dove i mercati si conquistano estromettendone altri, la concorrenza si schiaccia o si ricatta, ad assimilarlo fino a smorzarne desideri e intenzioni.

Recensione
In guerra permanente, l'Enrico di Valerio Mastandrea conosce bene la sua posizione e la giustifica. Almeno fino a quando un incidente, un trasalimento del destino, non capovolge letteralmente l'inquadratura e radicalmente la sua vita. La variabile è incarnata da una giovane donna e due ragazzini che dimostreranno, ciascuno a suo modo, che non è sufficiente assumere su di sé il peso dell'eredità per farla davvero propria ma è sempre necessario, contro di essa, un gesto eccentrico. Perché il conflitto fra le generazioni è sano se produce differenza. Differenza liricamente riprodotta da quella 'torta di noi' che è ancora e non è più la torta della nonna. Impastata in cucina o cantata in un pub, la torta ideale di Enrico 'riconsidera' il senso della tradizione e della continuità rispetto alla sua provenienza ma allo stesso tempo rompe con il familismo.
Con un salto puro e (in)cosciente, Zanasi segna daccapo il movimento di rottura del suo protagonista. 'Rubato' dalla locandina di Non pensarci, il tuffo in piscina di Mastandrea ritrova al suo personaggio lo slancio di volere davvero dentro sequenze che sembrano alimentarsi con un'energia autonoma e interna. Tra il principio di prestazione e l'illusoria uscita dal mondo, che il predatore aziendale di Giuseppe Battiston insegue con l'eroina o un giro in kayak, Enrico assume la questione della responsabilità evasa fino a quel momento con discorsi fatti e argomentazioni deboli che si infrangono sotto lo sguardo franco di Hadas Yaron, personaggio che lega ogni atto alle sue conseguenze. Con Filippo e Camilla prende in carico invece la genitorialità, funzione fino a ieri 'ereditata' e oggi esercitata, procedendo per agnizioni e riconoscendo alla fine le persone per quelle che sono e non per quello che credeva che fossero.
Valerio Mastandrea è il volto umano e affidabile di un film che fa della dilatazione temporale la sua direttiva poetica principale. Asse costitutivo e concettuale, la dilatazione (melodica) 'scivola' o levita i personaggi, producendo una sospensione che sfiora la morte e anticipa la vita. Materia grezza nelle mani di Zanasi, il tempo è malleabile e scorre in avanti, spostandosi indietro come il moonwalk di Michael Jackson eseguito da Enrico, una commedia esistenziale imprevedibile e scompaginata che chiude sul risveglio del protagonista. Un Valerio Mastandrea virtuoso dell'understatement e latore di un'ironia senza forzature e così naturale da nascondere la propria infallibile profondità esistenziale. Conquista intellettuale o esperienza dei sensi, la felicità per Zanasi rimuove la proprietà (quella che ha abolito la forma etica delle azioni) e 'mescola' sentimenti. Perché soltanto la mancanza di possesso o la gestione responsabile del 'bene' rendono possibile e corrente l'amore. Marzia Gandolfi

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