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Visualizzazione dei post da aprile, 2011

HABEMUS PAPAM



venerdì 06_05 ore 21.15
sabato 07_05 ore 21.15
domenica 08_05 ore 18 e 21


REGIA: Nanni Moretti
SCENEGGIATURA: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Federica Pontremoli
ATTORI: Nanni Moretti, Michel Piccoli, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Margherita Buy, Franco Graziosi, Cecilia Dazzi,
MUSICHE: Franco Piersanti
PAESE: Italia 2011
GENERE: Commedia, Drammatico
DURATA: 104 Min

Sito Ufficiale









I cardinali riuniti in Conclave nella Cappella Sistina procedono all'elezione del nuovo Papa. Smentendo tutti i pronostici viene nominato il cardinale Melville il quale accetta con titubanza l'elezione ma, al momento di presentarsi alla folla dal balcone centrale della basilica di San Pietro, si ritrae. Lo sgomento assale i cristiani in attesa ma, ancor più, i cardinali che debbono cercare di porre rimedio a questo evento mai verificatosi sotto questa forma. Si decide, pur con tutte le perplessità imposte dalla dottrina, di far accedere ai palazzi apostolici lo psicoanalista più bravo per tentare di far emergere le cause che hanno spinto l'alto prelato al diniego e favorirne un ripensamento. Lo psicoanalista fa però un riferimento alla moglie come la terapeuta più brava (dopo di lui). Il portavoce della Santa Sede decide allora di far uscire il Papa dalle Mura vaticane per avere anche un altro intervento che risolva la questione. Che invece si complica perché il Papa, approfittando di un momento di distrazione, scompare per le vie di Roma.
Con Habemus Papam siamo di fronte al film più maturo di un regista che ha saputo conservare intatti il proprio segno inconfondibile e le tematiche che gli stanno da sempre a cuore integrandoli con grande intelligenza e sensibilità a uno sguardo che si allarga a una dimensione che afferma di non condividere ma che qui osserva con la giusta dose di ironia che si fonde con un profondo rispetto.
Non è necessario fare riferimento a La messa è finita per leggere questo film. Erano altri tempi ed altro cinema. Anche per Nanni. Che qui torna con forza sul tema della profonda solitudine dell'essere umano ma sa che non la si può ipostatizzare assolutizzandola. C'è una bellissima scena (che potremmo definire ‘morettiana doc') in cui, mentre sta facendo giocare i cardinali a pallavolo, l'analista afferma che la tremenda verità che Darwin ci ha lasciato è che nulla ha un senso. Proprio in quel momento lui, terapeuta privo dell'augusto paziente, sta cercando di darne uno a quegli uomini che non vengono descritti né alla Dan Brown né ridicolizzati. Si sorride e si ride certo anche delle loro debolezze ma sono e restano delle persone. Il Papa poi (interpretato da un sempre più grande Michel Piccoli) non è un uomo che dubita della propria fede come sarebbe stato facile pensare. Non è Pietro che, invitato da Cristo a camminare sull'acqua per raggiungerlo, affonda perché di fatto non crede al potere del suo Signore. Questo Papa, dallo sguardo intenso e dal sorriso luminoso, non è un pavido ma un umile. Conosce i propri limiti e anche le proprie passioni. Come quella del teatro che ha covato da sempre (qui il rimando, cambiato di segno, a Wojtyla sembra trasparente). È da questa consapevolezza che, progressivamente, gli deriva una grande forza. La forza di chi sa dire di no a Dio non per paura ma perché è convinto di non poterlo servire, attraverso l'umanità, come sarebbe necessario leggendo i segni dei tempi. Il Papa di Moretti si interroga e ci interroga, laici e credenti. Ogni volta che un film ci pone dei quesiti di fondo ci aiuta di fatto a sentirci meno soli e a liberarci, almeno un po', dal più volte citato "deficit di accudimento". Giancarlo Zappoli

BORIS

domenica 24_04 ore 18 e 21
sabato 25_04 ore 18 e 21


REGIA: Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo
ATTORI: Francesco Pannofino, Pietro Sermonti, Caterina Guzzanti, Carolina Crescentini, Luca Amorosino, Valerio Aprea, Paolo Calabresi,
FOTOGRAFIA: Mauro Marchetti
MONTAGGIO: Massimiliano Feresin
MUSICHE: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
PAESE: Italia 2011
GENERE: Commedia
DURATA: 108 Min








René Ferretti ha fatto tanta brutta televisione. Ad essere precisi l'ha subita, per ottemperare alle richieste al ribasso delle produzioni, alle ridotte capacità professionali della sua troupe storica e all'immensa negazione degli attori a sua disposizione, paragonabile soltanto alla misura dei loro capricci. Eppure, un giorno, il momento di dire “basta” arriva anche per lui, di fronte alla richiesta di girare a ralenti la corsa nei prati di un giovanissimo Ratzinger. Tutti a casa, tutti in crisi, tutti in bolletta. Almeno finché il cinema non bussa alla porta. A Ferretti non sembra vero: un film in pellicola, serio, di denuncia. L'adattamento del saggio best-seller “La Casta”, il racconto di sprechi, scandali e privilegi immotivati della classe politica italiana. Peccato che il mondo del cinema non sia molto diverso…
Il salto di Boris dal piccolo al grande schermo, ma soprattutto da un pubblico di nicchia al grande pubblico, “laurea” definitivamente i suoi tre autori con lode, per l'umorismo finissimo (anche laddove fa della volgarità il suo humus), lo sguardo implacabile, la scrittura diretta e coraggiosa, la capacità di scelta (nell'abbondanza da loro stessi prodotta, in fase di sceneggiatura e di riprese) e soprattutto l'eleganza e la coerenza con cui sono passati dal ritrarre la televisione in televisione al fotografare il cinema nel cinema. Non di parodia si tratta, infatti, spessissimo, ma di fotografia vera e propria, ritoccata ad arte e virata sul comico.
Sono tante le battute o le scene del film che potrebbero essere estrapolate come costole per offrire un'idea dell'organismo nel suo insieme; dal produttore cinematografico che spiega: “non c'ho i sordi per tutta ‘sta sensibilità”, al regista che paventa: “non si esce dalla televisione, è come la mafia, non se ne esce se non morti”. Ma è nella scena in cui Antonio Catania alias Lopez immagina il destino di René qualora lo abbandonasse per passare alla concorrenza e, dopo avergli fatto chiudere gli occhi, gli riappare davanti uguale identico a pochi secondi prima esclamando: “eccola la concorrenza!”, che il film si rivela maggiormente. Nella terribile verità di quello sketch ci sono, infatti, sia un'indicazione di tono, cinico, dissacrante, spoetizzante, sia l'indicazione sulla natura dell'umorismo in gioco –si ride per non piangere- sia la lucidità e la schiettezza di sguardo e parola rispetto all'argomento trattato, vale a dire lo stile, che fanno di Boris qualcosa di unico in Italia.
La prima vera serie televisiva italiana di qualità (che aveva per soggetto la pessima qualità della televisione italiana) si congeda dagli schermi, parrebbe, con questo maxi episodio dedicato al mondo del cinema nostrano, massacrandone il mito con straordinaria capacità di sintesi e umorismo, nonostante il cinema non solo abbia già raccontato spesso il suo dietro le quinte ma soprattutto abbia sempre avuto maggior autoironia rispetto alla nipotina televisione. Marilita Loy, l'attrice che ha fatto della sua insicurezza un'arma micidiale e parla così piano che non la sente nemmeno il microfono, o la combutta di scenografo, segretaria di edizione e direttore della fotografia, che stanno sul set di René per i soldi ma poi lo piantano in asso per andare a fare Virzì, “Valdo e l'acqua cotta”, sono cose che non si dimenticano e restano “negli occhi del cuore”. Quando arrivano Biascica, Itala, Duccio e Lorenzo, su un'utilitaria strombazzante, non si può che fare il tifo per loro: non i criptocialtroni ma i cialtroni veri.
Non si esce dalla televisione, René. Marianna Cappi

NESSUNO MI PUÓ GIUDICARE


venerdì15_04 ore 21.15
sabato 16_04
ore 21.15
domenica 17_04 ore 18 e 21



 REGIA: Massimiliano Bruno
SCENEGGIATURA: Massimiliano Bruno, Edoardo Falcone
ATTORI: Paola Cortellesi, Raoul Bova, Rocco Papaleo, Anna Foglietta, Caterina Guzzanti,
MUSICHE: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
PAESE: Italia 2011
GENERE: Commedia
DURATA: 95 Min










Che l’Italia avesse due facce e che la solidarietà, il senso dell’amicizia e l’umanità fossero soprattutto dalla parte della gente semplice, degli esclusi e degli emarginati lo aveva già rivendicato Ferzan Ozpetek ne Le fate ignoranti, storia - più triste che allegra - dell’apertura mentale di una donna borghese.
A 10 anni di distanza ci riprova, servendosi della lente deformante della commedia, Massimiliano Bruno, regista di Nessuno mi può giudicare. Attraverso la plausibile disavventura di una nouvelle riche di Roma Nord che per non finire sul lastrico si improvvisa escort, lo sceneggiatore di Fausto Brizzi lascia da parte buonismi e sentimentalismi e, da ragazzo di Pietralata, riflette senza moralismi sul presente di un paese in cui non c’è più tempo per i pregiudizi perché ciò che conta è arrivare alla fine della giornata.
La presa di coscienza di queste mutate condizioni permette  - felicemente! - al film di giustificare il ricorso al mestiere più antico del mondo, togliendo al regista l’imbarazzo di alludere a un’attualità politica che scotta e di cui non vogliamo più sentir parlare.
Risultato non facile, a cui contribuiscono sia una scrittura fresca e innovativa che una protagonista femminile in grado di cambiare continuamente registro e di fare dell’autoironia e della goffaggine le proprie carte vincenti.

Forte di una robusta formazione televisiva e teatrale e dotata di una buona dose di talento, nonché aiutata da un’amicizia pluridecennale con Massimiliano Bruno, Paola Cortellesi dà un tocco di leggerezza in più al film, dimostrando al “pubblico bue” che una donna può far ridere anche quando è bella e sexy. Proprio come faceva Monica Vitti.
Eppure, questa versatilità dell’interprete principale non sempre rende giustizia a Nessuno mi può giudicare, perché se l’evoluzione del personaggio in termini di tolleranza e profondità interiore è plausibile (i guai non aiutano forse a crescere?), viceversa è poco probabile che una donna che inizialmente parla come la Simona Marchini delle trasmissioni di Arbore lasci di colpo da parte il romanesco e il birignao man mano che la sua vita di trasforma in un viaggio all’inferno, tanto più se viene inserita in un milieu popolare.
Diverso il caso del personaggio di Raoul Bova, che non solo non si snatura, ma offre a colui che lo impersona l’opportunità di raggiungere - in scena - la verità, proprio come era successo ne La nostra vita di Daniele Luchetti. Bova, insomma, dà il meglio di sé quando non è costretto a sparare o a fare il romatic-lead nelle commedie sofisticate, ed è bene che i nostri registi se ne accorgano. Carola Proto