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Selma - La strada per la libertà


sab 28_2 ore 21.15
dom 1_3 ore 18.15 e 21.00


GENERE: Drammatico, Storico
ANNO: 2014
REGIA: Ava DuVernay
SCENEGGIATURA: Paul Webb
ATTORI: Tim Roth, David Oyelowo, Giovanni Ribisi, Cuba Gooding Jr., Oprah Winfrey, Carmen Ejogo, Tessa Thompson, Alessandro Nivola, Tom Wilkinson, Common
FOTOGRAFIA: Bradford Young
MONTAGGIO: Spencer Averick
PAESE: Gran Bretagna, USA
DURATA: 128 Min










Trama
Nella primavera del 1965 un gruppo di manifestanti, guidati dal reverendo Martin Luther King, scelsero la cittadina di Selma in Alabama, nel profondo sud degli Stati Uniti, per manifestare pacificamente contro gli impedimenti opposti ai cittadini afroamericani nell'esercitare il proprio diritto di voto.

Recensione
L'afroamericana 42enne Ava DuVernay, miglior regista al Sundance Film Festival del 2012 per Middle of Nowhere, sceglie a sua volta quell'episodio storico come cartina di tornasole della battaglia per i diritti civili in America e offre un ritratto complesso e sfaccettato di una delle personalità più influenti e meno cinematograficamente documentate del passato americano. DuVernay realizza una serie di piccoli miracoli: primo fra tutti togliere MLK dall'agiografia per restituirci la sua umanità, comprensiva di dubbi, sconfitte e cedimenti, senza per questo (o anzi, proprio per questo) sminuire la sua statura etica e politica e la sua importanza nell'evoluzione di una coscienza civile collettiva. L'interpretazione di David Oyelowo (già protagonista di Middle of Nowhere), incomprensibilmente privata di una candidatura all'Oscar, è da brividi, soprattutto in lingua originale, durante la riproposizione dei discorsi pubblici del Dottor King che iniziano in tono sommesso e si gonfiano di travolgente potenza retorica, culminando nei toni trascinanti della predica che ricordano al pubblico la formazione religiosa del pastore protestante e la convinzione che ha sostenuto la sua capacità di resistere pacificamente a umiliazioni e violenze, spingendolo verso un traguardo alto e collettivo - una lezione quanto mai adatta ai nostri tempi su come un credo dovrebbe essere strumento di elevazione spirituale e di rifiuto della barbarie, non di aggressione e oppressione.
La storia raccontata da Selma restituisce alla politica il suo significato superiore. Le scelte di King sono dettate dal bene comune, il suo infallibile istinto gli fa compiere gesti anche impopolari ma di lungimiranza storica inconfutabile, e illustra la necessità (e fondamentale nobiltà) della negoziazione politica indirizzata verso un fine ultimo elevato. La capacità di King di non accontentarsi del successo temporaneo per tenere lo sguardo fisso sulla meta finale è un saggio narrativo (anche questo adatto ai nostri tempi) su ciò che differenzia un leader da un politicante. Parallela la sua determinazione a non sacrificare vite ed entusiasmi, da lui stesso suscitati, all'altare dell'opportunità politica, e la sua volontà, spesso impopolare fra i "fratelli neri", di cercare un consenso universalmente condiviso a sostegno dei diritti civili, componente imprescindibile della sua gestione illuminata. Tutto questo lavoro pedagogico sarebbe importante ma non cinematograficamente memorabile se DuVarnay non l'avesse veicolato attraverso una forma filmica che combina resoconto documentario (con commoventi spezzoni finali, anche della storica marcia su Washington del '63) e racconto intimo dei travagli personali dei personaggi, facendoci sentire fisicamente la loro paura nel farsi parte della storia e rendendo contemporanea, hic et nunc, una vicenda a noi cronologicamente lontana, le cui ricadute sono però assai visibili nel presente di tutti. La regista mette a nudo il cuore segreto dell'America, si infiltra dietro porte chiuse per riportare conversazioni segrete e dare contezza di confessioni sussurrate. Anche la scelta di mostrare il diverso peso che la protesta per i diritti civili ha rappresentato nella vita delle diverse generazioni, e del maschile e femminile, declina la storia (magistralmente articolata dallo sceneggiatore, Paul Webb), e la Storia, secondo coordinate anagrafiche e di genere, e delinea la capacità del movimento per i diritti civili di essere seminale per il futuro, ma anche determinante per il presente di chi era già adulto, o magari anziano, ai tempi di MLK.
La cifra artistica della DuVernay risiede nella sua capacità muscolare di attaccare frontalmente un mito, e una vicenda spartiacque, senza alcun timore reverenziale e con un profondo rispetto della complessità degli eventi e delle persone, senza lasciarsi spaventare dall'ampiezza dell'arazzo ma senza nemmeno perdere di vista la precisione del dettaglio, e nel conferire alla storia, all'interno di un impianto narrativo classico, una dimensione onirica e allucinata a metà fra l'orrore e la fiaba in alcuni passaggi-chiave, come l'omicidio delle quattro ragazzine nell'esplosione della chiesa di Birmingham o la confessione "metafisica" dei tradimenti fatta alla moglie dal reverendo. E nella sequenza finale la regista si concede lo sfizio di attingere al western, con il risultato di potenziare ulteriormente la statura mitologica dell'evento clou di Selma, codificato attraverso un genere che fa parte della costruzione dell'èpos cinematografico yankee. La tecnica registica della DuVernay è, in un aggettivo, seduttiva, nel senso che attira gli spettatori dentro il racconto impedendo ogni distanza emotiva, e li affabula attraverso la potenza di immagini sensuali anche quando racconta episodi "di cronaca", per restituire a personaggi resi bidimensionali dai libri di Storia, come il presidente Lyndon Johnson, una terza dimensione fatta di umanità fragile e fallibile. Selma è genuinamente emozionante, non manipola né le coscienze né i sentimenti, ma li risveglia dallo stesso torpore di cui sono imbevute alcune scene del film, che ci ricordano come anche i grandi della Storia siano stati uomini spaventati dalla responsabilità delle loro decisioni.
Selma ripassa l'abc di ciò che serve, a livello umano e politico, per scardinare un sistema, e quanto questo può costare, a livello individuale, ma anche quanto ne valga la pena, a livello collettivo e di "decisione del proprio destino come esseri umani". Paola Casella

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Shaun, Vita da pecora

Cinema Junior
dom 1_03
ore 14.45 e 16.30
dom 8_03 ore 14.45 e 16.30


GENERE: Animazione, Avventura, Family
ANNO: 2015
REGIA: Mark Burton, Richard Starzack
SCENEGGIATURA: Mark Burton, Richard Starzack

PRODUZIONE: Aardman Animations, StudioCanal
DISTRIBUZIONE: Koch Media
PAESE: Francia, Gran Bretagna
DURATA: 85 Min

 






Trama
La pecora Shaun e i suoi amici decidono di prendersi un giorno di riposo alla fattoria e fanno addormentare il fattore (un gioco, per delle pecore). Ma la roulotte in cui il fattore riposa si avvia da sola sulla strada che porta alla città, e in seguito a una contusione l'uomo subisce un trauma che gli fa perdere completamente la memoria. Shaun e compagni, inseguendo la roulotte, arrivano a loro volta in città, ma poiché il fattore è prima ricoverato in ospedale, poi diventa parrucchiere di grido (grazie alla sua abilità di tosatore), le pecore faticano a trovarlo. Riusciranno a riportare il loro amico alla fattoria e a riprendere la loro routine?

Recensione
Tratto dall'omonima serie televisiva di successo planetario, Shaun, vita da pecora - Il film è un classico prodotto dallo studio di animazione Aardman (come Wallace & Gromit, per intenderci) realizzato in claymation, cioè con creature di plastilina filmate in stop-motion. Ciò che caratterizza le produzioni Aardman, oltre la tecnica, è lo humour britannico che si esprime senza parole, attraverso azione, espressioni, situazioni comiche. Shaun, vita da pecora è l'ennesima conferma di quel talento: ci si meraviglia per l'inventiva inesauribile e la capacità di realizzare scene di slapstick degne di Chaplin - memorabili quella al ristorante, in cui le pecore, travestite da esseri umani, cercano di farsi servire il pranzo (e addentano i menù), o quella del coro improvvisato "a cappella".
Ogni personaggio è fortemente caratterizzato, a cominciare dal geniale e carismatico Shaun, per proseguire con tutti i personaggi della serie - il fattore, il cane Bitzer, le pecore gemelle, Hazel e Nuts, la grassa Shirley, Timmy e la sua mamma con i bigodini. Ma ci sono anche personaggi nuovi ed efficaci cme l'accalappiatore Trumper e la randagia Slip.
Il ritmo comico, spesso quello della farsa, è impresso dalla regia e dal montaggio, ma comincia evidentemente in una sceneggiatura che non si limita ad allungare un episodio della serie, o ad allinearne una decina, ma costruisce una storia con pathos e humour. Il risultato è un film d'animazione godibilissimo a tutte le età in cui si ride fino alle lacrime, ci si commuove, e si esce di sala saltellando sulla canzone dei titoli di coda. Paola Casella

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Pride


ven 27_02 ore 21.15

 GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO: 2014
REGIA: Matthew Warchus
SCENEGGIATURA: Stephen Beresford
ATTORI: Bill Nighy, Imelda Staunton, Dominic West

PRODUZIONE: Calamity Films
DISTRIBUZIONE: Teodora Film
PAESE: Gran Bretagna
DURATA: 120 Min







Trama
Londra, 1984. Joe partecipa tra mille timidezze e ritrosie al Gay Pride e si unisce alla frangia più politicizzata del corteo, già proiettata sulla successiva battaglia in difesa dei minatori in sciopero contro i tagli della Thatcher. Guidati dal giovane Mark, i LGSM (Lesbians and Gays Support The Miners) cominciano il loro difficile percorso di protesta, che li conduce in Galles, nella remota comunità di Dulais. Superata l'iniziale ritrosia, tra attivisti gay e minatori nascerà una sincera amicizia e un'incrollabile solidarietà umana.

Recensione

Uno spunto narrativo dal potenziale micidiale che ha sorprendentemente atteso trent'anni prima di essere trasposto su grande schermo. Matthew Warchus - il sottovalutato Simpatico e un notevole curriculum teatrale alle spalle - raccoglie la sfida, forzando la verità storica (la solidarietà era molto più articolata e diversificata, non coinvolgeva solo una comunità gallese e un gruppo di attivsti londinese) quel tanto che basta per rendere Pride un possibile campione d'incassi. Di quelli destinati in egual misura a essere amati e detestati, per la capacità di concentrare cliché e situazioni già viste in anni di cinema popolare britannico, con in mente solo il grande pubblico privo di pretese intellettuali.
Chi ha adorato i balletti di Full Monty, il sogno di Billy Elliot e le tragicomiche vicende di Trainspotting si ritroverà tra mura amiche, dove il cinico e smaliziato cinefilo difficilmente arriverà ai titoli di coda di Pride. Warchus rinuncia da subito allo stupore, sceglie l'alveo confortevole del genere codificato e lo sfrutta al massimo, puntando su un cast adeguatamente variegato (il Dominic West di The Wire a fianco di un sorprendente Paddy Considine) e giocando la propria vis comica, così come i climax drammatici, sull'accettazione della "diversità", sia essa abitudine sessuale, estrazione proletaria o semplice provenienza gallese.
Una sceneggiatura accorta, che inserisce quasi subito il pilota automatico e pigia i tasti emozionalmente giusti, senza concedersi sorprese: i traumi, i punti di svolta del plot, sono quelli ampiamente previsti. La diffidenza iniziale degli operai si tramuta in accoglienza gioiosa, specie quando i gay rivelano la loro naturale attitudine al ballo (cliché quasi imperdonabile, di cui Warchus si nutre abbondantemente), e i percorsi individuali dei protagonisti seguono il loro iter naturale, con l'immancabile figlio che trova il coraggio di fare coming out con i propri genitori e pagarne le conseguenze. Minimo lo spazio dedicato alla contestualizzazione storica nell'era Thatcher - l'inizio della fine per il Secondario e per la classe operaia - benché lo spettro dell'Aids incomba come un inquietante monito contro la libertà dei costumi sessuali.
Astutamente tenuta in secondo piano la disfatta dei minatori, in favore di una marcia comune in occasione del gay pride che sa di utopia rivoluzionaria consolatoria almeno quanto l'epilogo recente de I miserabili. Emanuele Sacchi

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La teoria del tutto


sab 21_2 ore 21.15
dom 22_2 ore 18.15 e 21.00


GENERE: Biografico, Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2014
REGIA: James Marsh
SCENEGGIATURA: Anthony McCarten
ATTORI: Eddie Redmayne, Felicity Jones, Emily Watson, Charlie Cox, Harry Lloyd, David Thewlis, Adam Godley, Simon McBurney, Enzo Cilenti
FOTOGRAFIA: Benoît Delhomme
PAESE: Gran Bretagna
DURATA: 123 Min




Trama
Università di Cambridge, 1963. Stephen è un promettente laureando in Fisica appassionato di cosmologia, "la religione per atei intelligenti". Jane studia Lettere con specializzazione in Francese e Spagnolo. Si incontrano ad una festa scolastica ed è colpo di fulmine, nonché l'inizio di una storia d'amore destinata a durare nel tempo, ma anche a cambiare col tempo. Del resto il tempo è l'argomento preferito di Stephen, che di cognome fa Hawking, e lascerà il segno nella storia della scienza. In particolare, l'uomo persegue l'obiettivo scientifico di spiegare il mondo, arrivando ad elaborare la formula matematica che dia un senso complessivo a tutte le forze dell'universo: quella "teoria del tutto" che dà il titolo al film. La teoria del tutto però non si concentra sull'aspetto accademico o intellettuale della vita di Hawking ma privilegia l'aspetto personale e l'evoluzione parallela di due forze dell'universo: l'amore per la moglie e i figli, e la malattia, quel disturbo neurologico che porterà al graduale decadimento dei muscoli dello scienziato e lo confinerà su una sedia a rotelle. La contrapposizione di vettori riguarda anche le convinzioni ideologiche di Stephen e Jane: lui crede solo alle verità dimostrabili, lei nutre una profonda fede in Dio. 

Recensione

James Marsh, regista premio Oscar per lo splendido documentario Man on Wire, sceglie una narrazione molto convenzionale per raccontare una storia eccezionale. Conscio della difficoltà di rendere appetibili al grande pubblico la decadenza fisica di un uomo e l'eccellenza accademica del suo cervello, Marsh fa leva sui sentimenti e costruisce una narrazione mainstream che non rende giustizia alla sua originalità di autore.
Ciò che eleva La teoria del tutto al di sopra della mediocrità è la performance dei due attori protagonisti: la luminosa Felicity Jones, pugno di ferro in guanto di velluto, e Eddie Redmayne, straordinario sia nell'incarnare il declino fisico di Hawking che soprattutto nel canalizzare, principalmente attraverso lo sguardo, quella dolcezza consapevole e ironica che l'ha reso un'icona internazionale. La dolcezza, in generale, è la cifra narrativa principale del film, abbinata a quell'anelito per ciò che è magico, miracoloso ed inspiegabile, e ciò che permette alla natura umana di trionfare contro ogni logica e ogni teoria.
Valeva per Philippe Petit che camminava su un filo sospeso fra le Torri Gemelle, vale per Stephen Hawking, cui erano stati diagnosticati due anni di vita e che invece è oggi un ultrasettantenne pieno di voglia di vivere, e di raccontare l'universo a modo suo.
Paola Casella

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Due giorni, una notte

ven 20_02 ore 21.15

Ospite della serata: Don Albino Bizzotto


 GENERE: Drammatico
ANNO: 2014
REGIA: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
SCENEGGIATURA: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
ATTORI: Marion Cotillard, Olivier Gourmet, Fabrizio Rongione, Catherine Salée, Christelle Cornil
FOTOGRAFIA: Alain Marcoen
MONTAGGIO: Marie-Hélène Dozo
PAESE: Belgio
DURATA: 95 Min




Trama
Sandra ha un marito, Manu, due figli e un lavoro presso una piccolo azienda che realizza pannelli solari. Sandra 'aveva' un lavoro perché i colleghi sono stati messi di fronte a una scelta: se votano per il suo licenziamento (è considerata l'anello debole della catena produttiva perché ha sofferto di depressione anche se ora la situazione è migliorata) riceveranno un bonus di 1000 euro. In caso contrario non spetterà loro l'emolumento aggiuntivo. Grazie al sostegno di Manu, Sandra chiede una ripetizione della votazione in cui sia tutelata la segretezza. La ottiene ma ha un tempo limitatissimo per convincere chi le ha votato contro a cambiare parere.

Recensione

I Dardenne fecero il loro esordio con un lungometraggio di finzione nel panorama cinematografico mondiale nel 1996 con La promesse in cui si trattava il tema del lavoro clandestino. Con il successivo Rosetta tornarono ad affrontare l'argomento occupazione conquistando non solo una Palma d'oro a Cannes ma anche e soprattutto una legge a tutela del lavoro giovanile che prese il nome del film in quanto originata dalle discussioni che in Belgio questo aveva suscitato. Sono solo due esempi dell'attenzione portata all'argomento dai due registi che ora torna al centro del loro cinema. Gli appassionati (cinefili e non) ricorderanno certo lo straordinario esordio di Sidney Lumet dietro la macchina da presa. Si intitolava La parola ai giurati e in esso Henry Fonda doveva convincere una giuria, in gran parte favorevole a una condanna per parricidio, a mutare parere. La condanna che i Dardenne individuano oggi è quella, endemica, della perdita del posto di lavoro. Venute meno le tutele, con l'assenza nelle piccole aziende del nucleo sindacale, le decisioni restano appannaggio dei proprietari. Oppure, come in questo caso, possono essere subdolamente delegate a una guerra tra poveri che spinga ognuno a guardare ai propri bisogni azzerando qualsiasi ideale di solidarietà. Quella solidarietà che i due registi riescono ancora a rinvenire nella famiglia (quella di Sandra con un marito solido al fianco e i bambini che l'aiutano a individuare gli indirizzi dei colleghi da cercare per convincerli a cambiare decisione). Anche se non per tutti è così. Il percorso della protagonista ci pone di fronte alle situazioni più diverse: c'è chi si nega, chi ha paura, chi ricorda un suo gesto di generosità del passato. Le etnie di provenienza sono le più diverse ma il senso di insicurezza profonda accomuna tutti. I Dardenne non hanno mai edulcorato la loro rappresentazione della realtà e non lo fanno neppure in questa occasione. C'è chi cambia idea così come c'è chi si irrigidisce ancora di più. Poi c'è Sandra. Questa giovane madre incline al pianto e alla disistima di se stessa che nella sua ricerca di consensi ritrova progressivamente la forza di reagire senza umiliarsi, di chiedere comprensione per sé conservandola per gli altri. Sono così i personaggi dei Dardenne. Veri perché fragili. Veri perché umani.  Giancarlo Zappoli

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Hungry Hearts


sab 14_02 ore 21.15
dom 15_02 ore 18.15 e 21.00

 GENERE: Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2014
REGIA: Saverio Costanzo
SCENEGGIATURA: Saverio Costanzo
ATTORI: Adam Driver, Alba Rohrwacher, Roberta Maxwell, Jake Weber, David Aaron Baker, Victoria Cartagena, Toshiko Onizawa, Dennis Rees
FOTOGRAFIA: Fabio Cianchetti
PAESE: Italia
DURATA: 109 Min









Trama
Mina e Jude si incontrano per la prima volta in un'angusta toilette di un ristorante cinese. Da lì nasce una relazione che darà alla luce un bambino e li porterà al matrimonio. Dal colloquio con una veggente a pagamento Mina si convince che il suo sarà un figlio speciale che andrà protetto da ogni impurità. Inizia a coltivare ortaggi sul terrazzo di casa e per mesi non lo fa uscire imponendo regole alimentari che ne impediscono la regolare crescita. Jude decide di opporsi a queste scelte portando di nascosto il figlio da un medico che mette in evidenza la gravità della situazione. Mina però cede solo apparentemente alle richieste del coniuge e il conflitto si fa più acuto.


Recensione

Il disagio, il malessere esistenziale sono da sempre al centro del cinema di Saverio Costanzo. Che si tratti dei palestinesi di Private, dei seminaristi di In memoria di me o dei giovani de La solitudine dei numeri primi la sua macchina da presa inquadra situazioni che sono al contempo estreme e quotidiane. È quanto accade anche in questo film che trae ispirazione dal romanzo "Il bambino indaco" di Marco Franzoso in cui Costanzo mette a frutto la propria profonda conoscenza delle dinamiche del thriller per porla al servizio di una riflessione profonda sulla genitorialità al tempo degli OGM ma non solo.
Il filosofo e sociologo Zygmund Bauman ci ricorda che: "La nostra è un'epoca nella quale i figli sono, prima di ogni altra cosa e più di ogni altra cosa, oggetti di consumo emotivo. Gli oggetti di consumo soddisfano i bisogni, desideri o capricci del consumatore e altrettanto fanno i figli. I figli sono desiderati per la gioia dei piaceri genitoriali che si spera arrecheranno il tipo di gioie che nessun altro oggetto di consumo, per quanto ingegnoso e sofisticato, può offrire". È questo tipo di consumo che Mina (precocissima orfana di madre e con un padre con cui non ha più contatti) sta cercando, anche se vorrebbe evitarne inizialmente, l'avveramento. Costanzo non vuole fare il fustigatore di teorie e/o credenze più o meno diffuse (osservanza vegana compresa) perché di fatto spinge il suo sguardo decisamente molto più in là.
Mina non è una Rosemary polanskiana più o meno consapevolmente gravida di demoni interiori. È una donna che dimentica di essere tale (quindi annullando anche la propria sessualità che era in precedenza vitale e solare) in funzione di una 'proprietà', quella del figlio, che diviene totalizzante. Il punto di non ritorno è quando utilizza l'aggettivo possessivo più improprio ("mio") nei confronti del neonato. Da quel momento Jude viene estromesso (con sentenza passata in giudicato nella mente della compagna) dalla condivisione che è propria dell'essere genitori. Per far ciò non è necessario essere vittime di ossessioni nutrizionistiche. È sufficiente ritenere di essere gli unici depositari del sapere 'cosa è bene' per l'essere umano in formazione rifiutando qualsiasi confronto. Il cordone ombelicale non è solo un elemento fisiologico. È fatto di sensibilità, di cultura, di influssi sociali tra i quali è sempre più difficile discernere. I cuori affamati del titolo sempre più spesso rischiano di divorare, con la pretesa dell'amore, ciò che dovrebbe costituire il senso del loro stesso pulsare. Costanzo sa come descrivere questo processo. Giancarlo Zappoli

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Minuscule - La valle delle formiche perdute

Cinema Junior
dom 15_02
ore 14.45 e 16.30
dom 22_02 ore 14.45 e 16.30

 GENERE: Animazione, Avventura, Family
ANNO: 2014
REGIA: Thomas Szabo, Hélène Giraud

PRODUZIONE: Futurikon, Entre Chien et Loup, Futurikon Production II
DISTRIBUZIONE: Academy2
PAESE: Belgio, Francia
DURATA: 89 Min









Trama

Tra i resti di un pic-nic abbandonato in fretta da una coppia in procinto di avere un figlio, c'è una scatola di latta, piena di zollette di zucchero, che impegna tutte le forze di un gruppo di formiche di nere, decise a trasportarla nel loro formicaio. Poco lontano, una neonata coccinella, curiosa del mondo, ha smarrito la sua compagnia e ne trova un'altra in quella delle formiche nere. L'amicizia che la giovane coccinella stringe con una delle formiche, a capo della spedizione, è tale che la coccinella non abbandonerà il gruppo nemmeno quando questo si troverà inseguito e poi attaccato senza tregua da un intero formicaio di formiche rosse, guerriere organizzate e pronte a tutto.

Recensione

Minuscule è un viaggio emozionante nella grandezza del piccolo. Occorre superare una soglia e abbandonare alcune comodità per entrare appieno nel piccolo mondo dei suoi personaggi, dove il tempo e lo spazio hanno coordinate altre, la legge di natura è durissima, la vita breve e intensa. Thomas Szabo e Hèlène Giraud, i demiurghi della situazione, si sono imposti a loro volta delle leggi, delle regole di comportamento audiovisivo che fanno la bellezza e l'originalità dell'opera e vanno dal rifiuto del dialogo, in favore di un utilizzo ricercato e sofisticato dello strumento sonoro in chiave evocativa, imitativa ed emotiva, alla scelta di stilizzare al massimo le possibilità espressive dei loro insetti, relegandole quasi esclusivamente agli occhi, espediente che richiama la figura del mimo con il suo portato di ironia e comicità ma anche di attitudine per il dramma.
Rispetto alla serie televisiva, il film è una sorta di Assalto al treno di Porter, un salto in lungo narrativo in termini di avventura e superamento della formula con la morale, ferma restando, però, la regola delle riprese dal vero, sulle quali si innesta il lavoro cartoonesco in computer grafica. In questo senso, il paragone con il kolossal del Signore degli Anelli, che gli autori stessi hanno sottolineato, va al di là dell'ambientazione high fantasy, con una varietà di popoli di diverse lingue e dimensioni, creature orrorifiche e misteriose e una netta divisione dell'universo in Bene e Male, ma trova elementi di comunanza anche nella tecnica produttiva ibrida e nella scelta di una location che corrisponde alle dimensioni scenografiche ideali del racconto.
In fondo, però, né l'inseguimento spettacolare tra cielo, terra e acqua (che ricorda, tra gli altri, quelli di Semola e Merlino made in Disney) né il contributo importante della musica, organizzata come un'opera vera e propria, in cui ogni personaggio ha la sua voce, potrebbero molto senza la forza del racconto, nel quale un piccolo esserino combatte a rischio della propria vita per la salvezza di un popolo che non è nemmeno il suo. E ricordarci che abitiamo un mondo che non è solo nostro. Marianna Cappi

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I toni dell'amore - Love is strange


ven 13_02 ore 21.15

 GENERE: Drammatico
ANNO: 2014
REGIA: Ira Sachs
SCENEGGIATURA: Ira Sachs, Mauricio Zacharias
ATTORI: Marisa Tomei, John Lithgow, Alfred Molina, Cheyenne Jackson, Darren Burrows, Charlie Tahan, Christian Coulson, John Cullum, Harriet Sansom Harris
FOTOGRAFIA: Christos Voudouris
MONTAGGIO: Affonso Gonçalves, Michael Taylor
PAESE: Francia, USA
DURATA: 98 Min





Trama
Ben e George, l'uno settantunenne, l'altro intorno ai sessanta, vivono insieme da 39 anni, e le loro esistenze sono profondamente interconnesse: la prima scena del film li vede dormire insieme, braccia e gambe intrecciate, come è intrecciata la loro quotidianità in un appartamento di Manhattan elegantemente decorato. Ben è un pittore, George insegna pianoforte e dirige il coro dei ragazzi di una scuola cattolica. Tutti sembrano accettare serenamente la loro convivenza: gli amici, i parenti, i genitori degli studenti di George, il preside della scuola cattolica. Ma quando Ben e George decidono di coronare la loro storia d'amore con un matrimonio, l'idillio si spezza. La Chiesa cattolica, che aveva dimostrato tanta privata tolleranza, licenzia George in tronco per aver pubblicamente ufficializzato l'esistente, trattandolo come se "essere se stessi fosse disdicevole", come sintetizza l'insegnante con quieta lucidità. L'ammanco dello stipendio di George crea un'emergenza domestica: i neo coniugi non possono più permettersi la loro bella casa e devono trovare una soluzione più adeguata alla nuova situazione economica. E poiché la loro casa viene subito acquistata mentre quella futura non è così facilmente reperibile, i due sono costretti a dividersi e a farsi ospitare dai membri della loro cerchia: Ben alloggerà presso il nipote Elliott, George presso una coppia di poliziotti. Entrambi scopriranno "come sa di sale... lo scendere e 'l salir per l'altrui scale", sentendosi l'uno invaso dal caos che improvvisamente lo circonda (George), l'altro "di troppo" rispetto al precario equilibrio della famiglia che lo accoglie (Ben).

Recensione
Qualunque sitcom o film piacione hollywoodiano avrebbe raccontato questa storia come una farsa, con tanto di siparietti (o battutacce) gay. Molti film indipendenti avrebbero invece forzato l'aspetto pedagogico, accentuando in positivo il valore trasformativo della presenza di Ben e George nelle "vite degli altri". Ira Sachs, uno dei registi americani indipendenti più riconoscibile per toni e obiettivi artistici, non cade invece in nessuna delle due trappole, scegliendo di raccontare la vita come è, non come vorremmo che fosse, o accompagnata dalle risate registrate. Dunque il disagio di tutti i personaggi appare autentico, il dispiacere di Ben e George nel rimanere lontani è palpabile, le difficoltà logistiche di trovare casa in una delle città più concupite del pianeta, malgrado la crisi immobiliare, sono reali: I toni dell'amore è anche la quintessenza della New York story, imbevuta di genuino amore per la città, cartina di tornasole della nostra epoca estetizzante e crudele.
Sachs racconta una storia d'amore profondo in toni gentili e pazienti chiedendo al pubblico di esserlo altrettanto, e di dare alla visione del suo film tutta la cura e l'attenzione necessari per non cedere alla lentezza e all'apparente mancanza di svolte narrative. In realtà è proprio nelle quiete transizioni fra una scena e l'altra che risiede il senso e lo stile della narrazione, una sorta di malinconica leggerezza che ha i suoi tempi e, come dice George a una sua studentessa, "non si possono imporre i propri tempi a Chopin". Momenti apparentemente poco importanti vengono giustapposti nel misurato crescendo di un pathos straziante, istantanee di quotidianità scansano il melodramma senza negare la tragedia romantica che è in atto: due uomini avanti negli anni costretti ad affrontare, per la prima volta da soli dopo quarant'anni insieme, la perdita di reddito e di status, di un tetto sopra la testa, di un'armonia che credevano "per sempre".
Proprio in questo sta l'universalità della loro storia, nell'illustrazione riconoscibile di quanto sia facile, oggi, perdere in un attimo le proprie certezze, e quanto sia fragile la rete di affetti che ci circonda nel momento in cui quelle certezze vengono meno. Sachs non condanna nessuno, nemmeno la Chiesa, ma con estrema delicatezza e infinita dolcezza dello sguardo ci fa innamorare dei suoi due protagonisti, interpretati con inarrivabile immedesimazione da John Litgow e Alfred Molina, e ci fa soffrire con loro: si chiama empatia, ed è merce rara, di questi tempi. Paola Casella

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Unbroken

 
sab 7_02 ore 21.15
dom 8_02 ore 18.15 e 21.00
 
 
GENERE: Drammatico, Guerra
ANNO: 2014
REGIA: Angelina Jolie
SCENEGGIATURA: Ethan Coen, Joel Coen, Richard LaGravenese
ATTORI: Domhnall Gleeson, Garrett Hedlund, Alex Russell, Jai Courtney, Jack O'Connell, John Magaro, Finn Wittrock, Takamasa Ishihara, Luke Treadaway, Maddalena Ischiale, Vincenzo Amato
FOTOGRAFIA: Roger Deakins
MONTAGGIO: William Goldenberg, Tim Squyres
MUSICHE: Alexandre Desplat
PAESE: USA
DURATA: 137 Min





Trama
Un dramma epico che racconta l'incredibile storia dell'atleta olimpionico ed eroe di guerra, Louis "Louie" Zamperini, che insieme ad altri due membri dell'equipaggio, è riuscito a sopravvivere su una zattera per 47 giorni, in seguito ad un disastroso incidente aereo durante la Seconda Guerra Mondiale, per poi essere catturato dalla Marina giapponese e spedito in un campo di prigionia. 
 
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Amore, cucina e curry

ven 6_02 ore 21.15

GENERE: Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2014
REGIA: Lasse Hallström
SCENEGGIATURA: Steven Knight
ATTORI: Helen Mirren, Manish Dayal, Charlotte Le Bon, Om Puri, Amit Shah, Farzana Dua Elahe, Dillon Mitra, Aria Pandya
FOTOGRAFIA: Linus Sandgren
MONTAGGIO: Andrew Mondshein
MUSICHE: A.R. Rahman
PAESE: India, USA
DURATA: 122 Min






Trama
In Francia, l'autorevole e rispettata chef Mallory è sempre più preoccupata per la vicinanza al suo ristorante di un piccolo bistrot indiano, un concorrente che potrebbe portarle via clienti. Iniziando una guerra contro gli indiani e il loro locale, Mallory scoprirà lo straordinario talento del giovanissimo Hassan. A poco a poco, i due diventeranno amici e Mallory lo guiderà nella conoscenza della raffinata cucina francese.

Approfondimenti
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