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Visualizzazione dei post da ottobre, 2016

Sole Alto


ven 04_11 ore 21.15

 GENERE: Drammatico
ANNO: 2015
REGIA: Dalibor Matanic
ATTORI: Tihana Lazovic, Goran Markovic, Nives Ivankovic, Dado Cosic, Stipe Radoja
SCENEGGIATURA: Dalibor Matanic
MONTAGGIO: Tomislav Pavlic
PRODUZIONE: Kinorama, Gustav Film, See Film
DISTRIBUZIONE: Tucker Film
PAESE: Croazia
DURATA: 123 Min





Trama
1991. Jelena e Ivan si amano stanno per lasciare i paesi in cui vivono per trasferirsi a Zagabria. Ma lei è serba e lui croato e i primi segnali dell'esplodere dell'odio etnico non aiutano questo loro progetto. 2001. Dopo il conflitto la giovane serba Nataša torna con la madre nella casa in cui avevano vissuto e in cui la guerra ha lasciato profonde ferite che segnano anche gli animi. Ante, croato, accetta di lavorare nell'edificio per riattarlo ma la ragazza non sopporta la sua presenza. 2011. Luka, croato, torna al paese in occasione di una festa dopo una lunga assenza. Va a trovare i genitori che non vede da tempo ma, soprattutto, decide di recarsi a casa di Marija, serba con la quale ha avuto molto di più di una relazione.

Recensione
Sembra appartenere ad un lontano passato il conflitto che ha insanguinato i Balcani tanto che le generazioni più giovani spesso ne sanno poco se non addirittura nulla. È a loro in particolare che si rivolge Dalibor Matanic con questo film che si inscrive, senza ombra di dubbio, nel ristretto gruppo di opere che hanno saputo cogliere nel profondo lo specifico del conflitto che tra il 1991 e il 1995 insanguinò in maniera orribile l'ex Jugoslavia ma anche, e questo è il suo straordinario pregio, le dinamiche che sono proprie di ogni guerra civile. Lo fa attraverso tre storie in cui il rapporto amoroso diviene cartina al tornasole per evidenziare la sofferenza ma anche la possibilità di una speranza che tragga origine dall'accettazione dell'altro visto come persona e non come appartenente a questa o quella etnia o a questo o quello schieramento politico.
Si potrebbe lecitamente pensare ad un archetipo narrativo classico, a un Romeo e Giulietta rivisitati nella contemporaneità ma non è così. Perche Matanic ha conosciuto sulla sua pelle la realtà che porta sullo schermo ed era pienamente consapevole del fatto che, nei Balcani, il film avrebbe potuto avere un'accoglienza contrastata perché i lutti non sono stati dimenticati e non tutte le ferite si sono rimarginate. Ma proprio perché questo film guarda oltre ha il coraggio di ricordarci, in un periodo in cui l'intolleranza sembra tornare a dominare le dinamiche mondiali, che si può guardare alla realtà in modo diverso. Lo fa con una scelta anche cinematograficamente non facile. Perché sceglie gli stessi due straordinari giovani interpreti per tutte e tre le storie costringendo lo spettatore a pensarli come diversi (con un diverso passato, con differenti modi di guardare al presente e al futuro in periodi cronologicamente ben distinti). Al contempo però ci chiede anche di pensarli 'uguali', uguali a milioni di ragazzi e ragazze che vivono o hanno vissuto in situazioni di conflitto in cui chi preferisce odiare pensa di semplificare la vita appiccicando ad ognuno un etichetta che lo renda immediatamente riconoscibile come amico o nemico e su questa base (e solo su questa) decidere se eliminarlo o affiancarglisi.
Matanic non ci propone un embrassons nous retorico o quantomeno utopico. Conosce il prezzo che tutti debbono pagare prima, durante e dopo un conflitto ma pensa anche che sia possibile andare oltre pur non dimenticando il passato. Per fare questo è necessario che la luce sia allo zenit, che il sole sia alto, nonostante tutte le nubi che lo possono nascondere alla vista della società e dei singoli. Giancarlo Zappoli

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Deepwater - Inferno sull'oceano


gio 27_10 ore 21.15
sab 29_10
ore 21.15
dom 30_10
ore 18.00 e 21.15


GENERE: Drammatico , Azione
ANNO: 2016
REGIA: Peter Berg
ATTORI: Mark Wahlberg, Kurt Russell, Kate Hudson, Dylan O'Brien, John Malkovich, Gina Rodriguez, Brad Leland, J.D. Evermore, Joe Chrest
SCENEGGIATURA: Matthew Michael Carnahan, Matthew Sand
FOTOGRAFIA: Enrique Chediak
MUSICHE: Steve Jablonsky
PAESE: USA
DURATA: 97 Min





Trama
Il 20 aprile 2010 sulla piattaforma trivellatrice semisommergibile Deepwater Horizon, situata al largo della costa della Lousiana, 126 lavoratori si sono trovati immersi nel peggior scenario possibile: una devastante esplosione, che ha causato un inferno di fuoco, undici vittime e uno sversamento di greggio nell'oceano riconosciuto come il più grave disastro ambientale della storia.
Mentre le televisioni di tutto il mondo si sono concentrate per mesi sulla portata del danno all'ecosistema, il film di Peter Berg torna sulla piattaforma nel Golfo del Messico (ricostruita, poiché la British Petroleum si è ben guardata dall'offrire supporto alla produzione) per raccontare la giornata degli uomini e dell'unica donna sulla Deepwater, la lotta strenua per la sopravvivenza e gli atti di estremo coraggio che si sono verificati in quell'occasione. Il risultato è un disaster movie avvincente e intelligente, che ha saputo indovinare la giusta dimensione, un equilibrio riuscito tra dramma umano e componente spettacolare, e nel quale non c'è spazio per la vaghezza tecnica e logistica che in molti blockbuster funziona da alibi e da riempitivo.

Recensione
Oggettivando il pericolo sempre in agguato su questo genere di impianti in una serie di piccoli contrattempi che si rivestono così, automaticamente, della suspence del presentimento, e presentando la forza d'animo dei personaggi che lavorano sulla piattaforma come una verosimile qualità di partenza, quasi una dote, che si portano dietro per necessità oltre che per virtù, Berg prepara con cura il terreno per l'esplodere dell'imprevisto come una catastrofe annunciata ma anche come un campo di guerra, dove regna il cameratismo e un senso di condivisione della sorte.
Deepwater non racconta, perciò, la vicenda di un uomo ordinario - Mike Williams, capo tecnico elettronico della Transocean - alle prese con una situazione straordinaria, o lo fa solo in apparenza, mentre racconta in realtà di un uomo e di un gruppo di persone dal coraggio quotidianamente straordinario, tali da meritare che le loro gesta riempiano un film e che tale film non sia frutto di un romanzo di fantasia sfrenata e catastrofica ma di una serie di dettagliate interviste ai protagonisti e contenga perciò una dimensione di realismo che si fa apprezzare.
Un buon disaster movie, dunque, che poggia su basi tragicamente reali, che non sbandiera istanze generiche né gronda retorica (eccezion fatta per il finalissimo, più a rischio in questo senso). E anche un film sulla responsabilità e le sue due facce: quella penale, di chi ha preso rischiose scorciatoie in nome del profitto, e quella morale, di chi, invece, non si è affrettato ad abbandonare gli altri alla comoda speranza di un colpo di fortuna. Marianna Cappi  

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Il Clan


ven 28_10 ore 21.15
 

GENERE: Drammatico
ANNO: 2015
REGIA: Pablo Trapero
ATTORI: Guillermo Francella, Peter Lanzani
SCENEGGIATURA: Pablo Trapero
MONTAGGIO: Alejandro Carrillo Penovi, Pablo Trapero
PAESE: Argentina, Spagna
DURATA: 108 Min







Trama
Argentina inizio anni 80. All'apparenza una famiglia come le altre che vive nel tranquillo paesino di San Isidro, in realtà un vero e proprio clan che si guadagna da vivere con i sequestri di persona. Arquímedes, il patriarca, è a capo delle operazioni. Alejandro, il suo figlio più grande, è una star del rugby che gioca nel mitico team argentino "Los Pumas". E' lui che adesca le vittime dei rapimenti tra i giovani rampolli dell'alta società. I crimini del clan dei Puccio, famiglia che gode della protezione del regime militare, riescono a passare inosservati nella loro costante ferocia programmatica, ma prima o poi finiscono con il coinvolgere tutti in una crescente spirale di violenza, dove è colpevole anche chi assiste in silenzio. Ispirato ad un episodio realmente accaduto, il film racconta insieme alla storia di una famiglia anche quella di un intero Paese, nella sua delicatissima fase di transizione dalla feroce dittatura militare ad una fragile democrazia.

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La vita possibile

gio 20_10 ore 21.15
sab 22_10
ore 21.15
dom 23_10
ore 18.00 e 21.15


 GENERE: Drammatico
ANNO: 2016
REGIA: Ivano De Matteo
ATTORI: Margherita Buy, Valeria Golino, Andrea Pittorino, Caterina Shulha, Bruno Todeschini
SCENEGGIATURA: Valentina Ferlan, Ivano De Matteo
FOTOGRAFIA: Duccio Cimatti
MONTAGGIO: Marco Spoletini
MUSICHE: Francesco Cerasi
PAESE: Italia
DURATA: 107 Min





Trama
In fuga da un marito violento, Anna e il figlio Valerio sono accolti a Torino in casa di Carla, attrice di teatro e amica di Anna di vecchia data. I due cercano di adattarsi alla nuova vita tra tante difficoltà e incomprensioni, ma l'aiuto di Carla e quello inaspettato di Mathieu, un ristoratore francese che vive nel quartiere, gli faranno trovare la forza per ricominciare.

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Fiore

ven 21_10 ore 21.15


GENERE: Drammatico
ANNO: 2016
REGIA: Claudio Giovannesi
ATTORI: Daphne Scoccia, Josciua Algeri, Valerio Mastandrea, Gessica Giulianelli
SCENEGGIATURA: Claudio Giovannesi
PAESE: Italia
DURATA: 110 Min

NOTE: Presentato al Festival di Cannes 2016 nella Quinzaine des Réalisateurs.




Trama
Carcere minorile. Daphne, detenuta per rapina, si innamora di Josh, anche lui giovane rapinatore. In carcere i maschi e le femmine non si possono incontrare e l'amore è vietato: la relazione di Daphne e Josh vive solo di sguardi da una cella all’altra, brevi conversazioni attraverso le sbarre e lettere clandestine. Il carcere non è più solo privazione della libertà ma diventa anche mancanza d'amore. FIORE è il racconto del desiderio d'amore di una ragazza adolescente e della forza di un sentimento che infrange ogni legge.

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Café Society

gio 13_10 ore 21.15
sab 15_10
ore 21.15
dom 16_10
ore 18.00 e 21.15


GENERE: Commedia , Sentimentale
ANNO: 2016
REGIA: Woody Allen
ATTORI: Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Steve Carell, Blake Lively, Jeannie Berlin, Sheryl Lee, Corey Stoll, Parker Posey, Anna Camp, Stephen Kunken, Paul Schneider, Ken Stott, Paul Schackman, Sari Lennick, Don Stark, Gregg Binkley, Anthony DiMaria
SCENEGGIATURA: Woody Allen
FOTOGRAFIA: Vittorio Storaro
PAESE: USA
DURATA: 96 Min






New York, anni Trenta. Bobby Dorfman lascia la bottega del padre e la East Coast per la California, dove lo zio gestisce un'agenzia artistica e i capricci dei divi hollywoodiani. Seccato dall'irruzione del nipote e convinto della sua inettitudine, dopo averlo a lungo rinviato, lo riceve e lo assume come fattorino. Bobby, perduto a Beverly Hills e con la testa a New York, la ritrova davanti al sorriso di Vonnie, segretaria (e amante) dello zio. Per lui è subito amore, per lei no ma il tempo e il destino danno ragione al sentimento di Bobby che le propone di sposarlo e di traslocare con lui a New York. Ma il vento fa (di nuovo) il suo giro e Vonnie decide altrimenti. Rientrato nella sola città in cui riesce a pensarsi, Bobby dirige con charme il "Café Society", night club sofisticato che diventa il punto di incontro del mondo che conta. Sposato, padre e uomo di successo, anni dopo riceve a sorpresa la visita di Vonnie. Con lo champagne, Bobby (ri)apre il cuore e si (ri)apre al dolce delirio dell'amore.
Commedia del piacere negato, Café Society è la cronaca di una storia d'amore mancata che ribadisce quello che per Woody Allen conta da sempre: il cinema, le donne, se stesso. Se stesso soprattutto perché la singolarità dell'autore risiede nella persistenza con cui ha dato centralità a un personaggio fino a mostrarne la crisi e lo svanire (Harry a pezzi, Hollywood Ending). È una persistenza che evidentemente appartiene al comico ma che Allen conduce sul piano della biografia seriale, declinata in diversi nomi, diverse professioni, diverse età e persino diverse età del secolo. E l'epoca questa volta è la seconda metà degli anni Trenta, Allen non precisa l'anno esatto ma è la Storia a collassare nel cinema e a depositare rovine nella commedia (i coniugi che hanno cenato con Adolf Hitler) attraverso la voce over dell'autore che si ritaglia il ruolo di narratore, misurando un dramma sentimentale con un dramma sociale. Non calca la scena del suo locale e fuori campo ci racconta una nuova storia, la storia di Bobby Dorfman in cui esprime ancora una volta il suo eroe romantico, falso perdente, schlemiel solo presunto e incarnato superbamente da Jesse Eisenberg. A lui, che arde di esaltazione amorosa e voluttuosa ironia, Allen delega se stesso, un se stesso più giovane e insicuro, ancora afflitto dai problemi con le donne, che crede ancora alle parole definitive e non crede più alle scene madri. Fuori dall'ombra in cui ha costruito i suoi migliori ruoli e sovraesposto nella luce accecante della California, Eisenberg pronuncia con esitante eloquio parole meditate e consapevolmente sbilanciate al di là di se stesse, sciolte nella fluidità del dialogo e sostenute da un sottotesto ritmico di meravigliosa resa comica.
Ma Café Society è tuttavia anche il trionfo dell'immagine autosufficiente. Tra grazia e catastrofe, tra guerra e pace, tra Los Angeles e New York, tra esterni e interni, Allen dimostra cosa sa fare col dialogo e cosa saprebbe fare senza perché il suo è un film di décor sovradimensionato e sovraffollato, figurativamente audace. Dopo aver rivitalizzato il cinismo di Billy Wilder (Irrational Man), con Café Society riemerge lo splendore sofisticato di Ernst Lubitsch svolgendo l'intermittenza amorosa di due personaggi inquieti lungo una superficie scintillante che lascia affiorare l'emozione, rimanda la realtà e approccia la morte non con l'arroganza di un giovane uomo che crede di aver scoperto i segreti dell'universo (Amore e guerra) ma con la saggezza di un vecchio signore che sa bene che il solo viatico contro l'estinzione sono i ricordi. Quelli che disegnano il suo intimo skyline, quello concreto della sua infanzia (Brooklyn) e quello accessibile solo con l'immaginazione e la fotografia di Vittorio Storaro (Manhattan).
Frammento di un unico e articolato biopic, Cafè Society rilancia la città-isola come il migliore dei mondi possibili, abitato in un breve incontro di sapore leaniano da Bobby e Vonnie, antenati di Alvy e Annie (Io e Annie) che ci lasciano allo stesso modo ostaggi di un sentimento e ci congedano in un clima di rinuncia e di struggimento da mélo. Ma l'impossibilità di compiere il desiderio, di trovarsi o pensarsi in due, stempera nella possibilità di richiamare alla memoria il primo amore ogni giorno della vita e nella certezza che l'oggetto di quell'amore lo ricambi nel medesimo istante. Istante perduto nel tempo e sciolto sul volto di neve di Kristen Stewart. Marzia Gandolfi

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Al di là delle montagne

ven 14_10 ore 21.15

GENERE: Drammatico
ANNO: 2015
REGIA: Zhangke Jia
ATTORI: Zhao Tao
SCENEGGIATURA: Zhangke Jia
FOTOGRAFIA: Nelson Yu Lik-wai
MONTAGGIO: Matthieu Laclau
MUSICHE: Yoshihiro Hanno
PAESE: Cina, Francia
DURATA: 120 Min




Trama
Fenyang, 1999. La Cina è a un passo dal nuovo secolo e da Macao, ultima colonia portoghese in Asia. Mentre il Paese si appresta a ristabilire la propria sovranità, Tao, una giovane donna di Fenyang, non sa decidere a chi appartenere. Corteggiata da Zhang, proprietario di una stazione di servizio che si sogna capitalista, e Lianzi, minatore umile che estrae speranze e carbone, Tao prova a fare chiarezza nel cuore. Tra una corsa in macchina e un piatto di ravioli al vapore, sceglie Zhang e getta nella disperazione Lianzi, che abbandona casa e città. Quindici anni, un matrimonio e un figlio dopo, Tao è separata e sola, Lianzi ha un cancro e Zhang vive a Pechino con un'altra donna. Cinico e ricco ha ottenuto l'affidamento del figlio, che ha chiamato come la valuta americana (Dollar) e ha deciso di far crescere in Australia. Terra promessa dall'altra parte del Mondo, l'Australia diventa la patria di Dollar che maggiorenne e inquieto ha deciso di ritrovare sua madre e la Cina. A ostacolarlo c'è Zhang, che non ha mai imparato l'inglese e non ha parole per raggiungere il suo ragazzo. A casa e sotto la neve, attende da sempre Tao.

Recensione
La mutazione accelerata del (suo) mondo è l'oggetto ideale del cinema di Jia Zhangke. Registrare una realtà che evolve sotto gli occhi con tale velocità e tali proporzioni è la sua vocazione e in un certo senso quella del cinema (delle origini). Dopo il gigantismo del cantiere di Still Life, che conduceva a conseguenze gigantesche, Jia Zhangke svolge una relazione d'amore attraverso gli anni e le trasformazioni economiche del suo Paese. Cuore centrale della storia è ancora una volta Fenyang, città natale dell'autore e punto di ancoraggio estetico e sociale del suo cinema. La sua produzione artistica, avviata nel 1995 e rimasta a lungo clandestina in Cina, testimonia da sempre la fragilità dell'uomo sottomesso a volontà che lo doppiano. Funambolo su un filo teso tra fiction e documentario, l'autore è ritrattista e paesaggista insieme di sentimenti forti emersi da una società in crisi. Vedere i suoi film è come accedere a un laboratorio estetico, un diapason che produce un suono puro, frequenze armoniche che accordano tecnica digitale e finzione, documentario e lirismo elettrico, (iper)sensibilità poetica e interazione tra uomini e ambiente.
Se il suo cinema precedente minacciava l'assorbimento dell'individuo nelle metamorfosi capitaliste, Al di là delle montagne realizza la minaccia e la spiega lungo un'asse temporale che contempla presente, passato e futuro. Sospeso tra la certezza di quello che è stato, il film apre sul Capodanno del 1999, e l'ipotesi di quello che potrà essere, il film chiude sull'inverno del 2025, Al di là delle montagne materializza l'ambizione cinese nella figura di Zhang. Indietro restano Lianzi, senza lavoro e in compagnia del suo cancro, Tao, corpo nazione indecisa sulla strada da prendere al debutto e poi votata al consumo, e Dollar, il prezzo pagato alla conversione economica. Dopo aver reso conto di milioni di persone povere e profughe e aver registrato centinaia di città e siti archeologici sommersi, il regista affronta i flussi migratori e disloca per la prima volta i suoi personaggi al di là dei confini cinesi. L'Australia diventa la terra promessa di Zhang e la terra straniera di Dollar, dentro un melodramma superbo su due generazioni che non riusciranno più a comunicare. In fondo al loro silenzio, che ormai parla soltanto la lingua inglese, resiste la tradizione incarnata da Tao, punto fermo del film che prepara ravioli e 'riconosce' la voce cara. Dentro un contesto (sur)reale, dentro città simbolo della cultura classica cinese ridotte a cantieri, Zhangke accomoda tre personaggi in cerca di qualcosa, forse l'amore, forse una famiglia, forse il successo, forse la propria identità, forse una finestra verso il mondo esterno, che ha smesso di essere clandestino e contempla adesso l'occidentalità pop dei Pet Shop Boys.
Come nella canzone "Go West" i personaggi cercano una nuova frontiera e di questa ricerca il regista fa un gioco plastico e narrativo, che produce uno smarrimento emozionale attraverso uno sguardo critico. Come in Still Life osserviamo volti rivelati in piani densi e corpi in bilico sul vuoto. Se ieri era un vuoto reale provocato da una diga, oggi è quello ideale prodotto dall'esodo. Come il fiume Yangtze la Tradizione è interrotta e la geografia (umana) alterata. I tempi cambiano, gli uomini passano ma resta il cinema a mostrarceli.
Marzia Gandolfi  

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Il sogno di Francesco

gio 6_10 ore 21.15
sab 8_10 ore 21.15
dom 9_10 ore 18.00 e 21.15


GENERE: Biografico , Storico
ANNO: 2016
REGIA: Renaud Fely, Arnaud Louvet
ATTORI: Elio Germano, Jérémie Renier, Alba Rohrwacher, Stefano Cassetti, Thomas Doret, Yannick Renier, Eric Caravaca
SCENEGGIATURA: Renaud Fely, Arnaud Louvet, Julie Peyr
FOTOGRAFIA: Léo Hinstin
PAESE: Francia, Belgio, Italia
DURATA: 88 Min
prima visione!





Trama
Assisi, 1209. Francesco ha appena subito il rifiuto da parte di Innocenzo III di approvare la prima versione della Regola, che metterebbe i fratelli al riparo dalle minacce che gravano su di essi. Intorno a lui, tra i compagni della prima ora, l'amico fraterno Elia da Cortona guida il difficile dialogo tra la confraternita e il Papato: per ottenere il riconoscimento dell'Ordine, Elia cerca di convincere Francesco della necessità di abbandonare l'intransigenza dimostrata finora, accettando di redigere una nuova Regola. Ma che cosa resterebbe del sogno di Francesco? La loro amicizia riuscirà a resistere al confronto tra gli ideali e i compromessi necessari?

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The Witch



Maratona Horror al Cinema Marconi
Venerdì 7 ottobre 2016, dalle ore 21.30

L'associazione Arte del Sogno anticipa ad ottobre il tradizionale venerdì per gli appassionati del brivido, con la IX edizione della cine-maratona horror.

Tema di quest'anno sono Le Streghe

Proiezione di 3 film. Si inizia con The Witch
Durante gli intervalli sarà offerto un buffet.
Seguici per tutti gli aggiornamenti.
La biglietteria apre alle ore 21.00

biglietto unico € 8,00 - inizio proiezioni ore 21.30

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GENERE: Horror
ANNO: 2016
REGIA: Robert Eggers
ATTORI: Anya Taylor-Joy, Ralph Ineson, Kate Dickie, Harvey Scrimshaw, Ellie Grainger, Lucas Dawson
SCENEGGIATURA: Robert Eggers
PAESE: USA
DURATA: 90 Min






Trama
New England, 1630. Il rigido e bigotto William, che si difende fieramente sostenendo di aver solo praticato il verbo di Cristo, viene giudicato da una corte e allontanato dalla co-munità assieme a sua moglie Katherine e ai loro cinque figli. I reietti si sistemano in una piccola fattoria solitaria ai confini di un fitto bosco. La figlia maggiore Thomasin ha dei dubbi, si sente peccatrice. Porta Sam, il fratellino neonato, a giocare vicino al bosco, ma il bambino le viene misteriosamente sottratto. Inoltre, il raccolto va male. Perciò William de-cide di cercare cibo nel bosco assieme al figlio Caleb, che, turbato dalla scomparsa del fratellino, si fa domande sul Bene e sul Male, sul peccato e su dove egli sia destinato, se Inferno o Paradiso. Thomasin mostra ulteriori segni di turbamento: per spaventarla, dice alla sorellina Mercy d'essere la strega del bosco e di aver sacrificato Sam al diavolo. Ca-leb è sconcertato dalle parole della sorella maggiore, ma Thomasin non può rassicurarlo. Di fronte alle ristrettezze, i genitori pensano di mandare Thomasin a servizio presso un'altra famiglia. Caleb, turbato dalla prospettiva (è molto legato alla sorella), cerca una soluzione e va nel bosco di notte con Thomasin per trovare cibo. Ma solo Thomasin fa ritorno e per la famiglia l'orrore si avvicina.



Recensione

Cupo e ossessivo, il film rappresenta con tagliente efficacia il difficile rapporto tra una famiglia espulsa dalla collettività, una natura misteriosa e opprimente dai mille segreti e il soprannaturale che aleggia sfuggente quale possibile spiegazione a ciò che viene rite-nuto inspiegabile.
Le dinamiche interne alla famiglia, gravata dal peso del Peccato in cui sente di vivere e spaventata dal contatto con un ambiente ostile e dalle privazioni della povertà, tendono a una progressiva disgregazione, cui il patriarca William cerca di resistere con la forza di una fede che la moglie, provata dagli avvenimenti, mette sempre più in discussione. Le angosce, i dubbi e le paure si riflettono come in uno specchio deformato nell'oscurità del bosco ritornando sotto la forma occulta di manifestazioni magiche e stregonesche che possono o meno essere reali. Sospetto e superstizione completano la terribile parabola umana, facendo travisare i fatti e generando un clima di negatività invincibile, nel quale tutti si accusano e nessuno crede a nessuno in un crescente parossismo paranoico. Su tutto, l'incapacità degli esseri umani di comprendere la loro posizione nella natura delle cose.
Immerso nelle tenebre notturne rischiarate solo dalla pallida luce delle candele o nel de-bole chiarore di giornate nelle quali i raggi del sole sembrano non mai farsi strada tra le livide nuvole, il film impressiona figurativamente, con una eleganza quasi pittorica che riflette l'oscurità piombata sulle anime dei suoi protagonisti (la fotografia di Jarin Blaschke è uno dei punti di forza del film).
Notevole esordio nel lungometraggio per Robert Eggers che dimostra uao mano sicura e uno stile austero e raffinato, capace di gestire alla perfezione l'equilibrio costante tra la realtà e la sua trasfigurazione, in bilico tra la concretezza della natura e la magia che da essa scaturisce. Una certa lentezza appesantisce a tratti la visione, ma è fisiologica al na-turale procedere della vicenda: è un horror atipico, un classico film d'atmosfera in cui non succede molto e tutto sta nei dettagli (la finezza di alcune notazioni, come l'attrazione provata da Caleb per Thomasin, è esemplare), nel tempo sospeso dell'attesa.
Ottima prova del cast, convinto e convincente. Tra tutti emerge Anya Taylor-Joy nei panni della fragile Thomasine, determinata a salvarsi a ogni costo e a trovare una nuova ragio-ne di vita. Rudy Salvagnini  

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recensione cinematografo.it

Marina Abramović – The Space In Between

 

 martedì 4 ottobre ore 21.15 

 

 

 

Dopo il successo delle scorse stagioni che hanno portato al cinema oltre 400 mila spettatori, la stagione della Grande Arte torna nelle sale italiane con un’importante novità. Il cartellone della nuova stagione, che sarà svelato a fine estate, esplorerà non solo l’arte rinascimentale (italiana e internazionale), i grandi movimenti pittorici e i più amati artisti dell’Ottocento, ma si aprirà quest’anno anche ai grandi performer contemporanei.

A inaugurare questo nuovo ciclo ci sarà una delle più originali artiste viventi, Marina Abramović, protagonista di THE SPACE IN BETWEEN. MARINA ABRAMOVIĆ AND BRAZIL di Marco Del Fiol, che sarà nelle sale italiane solo il 3, 4 e 5 ottobre distribuito da Nexo Digital e I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection.
In questo docu-film la Abramović parte alla ricerca di nuovi stimoli creativi e viaggia attraverso le vibranti comunità religiose del Brasile per fare esperienza dei rituali sacri e svelare il suo processo creativo. Il sincretismo del Brasile più profondo si fa per lei percorso personale e artistico e racconto per immagini, in un seducente intreccio di profondità e ironia. Tra cerimonie di purificazione e trip psichedelici, Marina riflette sulle affinità tra performance artistiche e rituali e si mette totalmente a nudo, in un tragitto anche interiore nei meandri del suo passato. Un film autenticamente “in between”, sospeso tra arte e vita, tra road movie e spiritual thriller, capace di parlare al cuore dello spettatore e al suo inestinguibile bisogno, consapevole o inconsapevole, di spiritualità.
Nata a Belgrado nel 1946, la Abramović è una delle artiste più importanti del nostro tempo. All’inizio degli anni Settanta studia presso l’Accademia di Belle Arti di Belgrado, dove comincia a sperimentare la performance come forma di arte visuale. Esplorando i limiti fisici e mentali del suo essere, la Abramović approfondisce così il tema della trasformazione emotiva e spirituale e si dedica alla creazione di opere capaci di rendere rituali semplici azioni della vita quotidiana, come stare sdraiati o seduti, sognare e pensare. Nel 1974 viene conosciuta anche in Italia, dove presenta la sua performance Rhytm 4 nella galleria Diagramma di Luciano Inga Pin a Milano. Nel 1976 Marina Abramović lascia la Jugoslavia per trasferirsi ad Amsterdam. Nello stesso anno inizia la collaborazione e la relazione con Ulay, artista tedesco, nato tra l’altro nel suo stesso giorno. I due termineranno il loro rapporto dodici anni dopo, nel 1989, con una camminata lungo la Grande Muraglia Cinese: Marina decide di partire dal lato orientale della muraglia sulle sponde del Mar Giallo, mentre Ulay dalla periferia sud occidentale del deserto del Gobi. I due cammineranno novanta giorni e si incontreranno a metà strada dopo aver percorso entrambi duemila e cinquecento chilometri per dirsi addio. Negli anni ottanta viaggia in Australia e nei deserti di Thar e del Gobi e in Cina; dal 1992 tiene workshop, conferenze, mostre personali e collettive in tutto il mondo fino a vincere nel 1997 la Biennale di Venezia con la performance Balkan Baroque, dove per tre giorni pulisce una montagna di ossa bovine in un rituale di purificazione e di denuncia delle stragi che avvenivano nei Balcani.  Nella primavera del 2010 arriva la prima grande retrospettiva negli Stati Uniti al Museum of Modern Art di New York, dove esegue anche la performance The artist is present documentata dall’omonimo documentario. Due anni dopo, nel 2012, è stato il momento della doppia mostra al PAC e alla Galleria Lia Rumma di Milano, dove l’artista ha mostrato tutti i nuovi lavori e svelato al mondo The Abramović Method.
THE SPACE IN BETWEEN. MARINA ABRAMOVIĆ AND BRAZIL di Marco Del Fiol sarà nelle sale italiane solo il 3, 4 e 5 ottobre distribuito da Nexo Digital e I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection e con i media partner Sky Arte HD e MYmovies.it.