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Visualizzazione dei post da novembre, 2009

Il debutto di The Road To Big Whiskey nei cinema italiani




Siamo orgogliosi di darvi in anteprima questa notizia.


Dopo l´anteprima della proiezione del documentario Dave Matthews Band: The Road To Big Whiskey, con sottotitoli in italiano, durante il Weekend On The Rocca organizzato da Con-Fusion, siamo orgogliosi di annunciare il debutto di The Road To Big Whiskey nei cinema italiani, con proiezioni gratuite o ad offerta libera.

La prima proiezione si terrà venerdi 8 Gennaio 2010 a Padova, alle ore 20.30 presso il Cinema Marconi, sito in Via Gauslino 7 a Piove di Sacco (Padova).

Grazie di cuore a tutti i membri di Con-Fusion che si sono adoperati per aver reso possibile tutto questo: a Carla Melis per la traduzione, a Livio Piubeni, Luca Russo ed Emanuele Signori per l´editing del video coi sottotitoli, a Roberto Marigo ed all´Associazione "L´arte del Sogno" per l´organizzazione dell´evento di Padova.

Filmato da Sam Erickson, che conosce profondamente la band da circa 20 anni ed ha fotografato e filmato tutte le sessions in studio della band, la storia di The Road to Big Whiskey inizia dal presente, ma contiene materiale inedito tratto dalla collezione personale di Erickson. Interviste, immagini e video della band dal vivo; la nascita di alcuni pezzi di Big Whiskey; la toccante e straordinaria partecipazione del sassofonista LeRoi Moore, tragicamente scomparso l´estate scorsa, rendono questo documentario la più completa biografia della Dave Matthews Band, raccontata dal punto di vista della band e di chi ruota intorno ad essa da anni.

Anche i fan più accaniti della band troveranno notizie, immagini ed informazioni finora inedite. Per chi non conosce la Dave Matthews Band, sarà uno dei migliori modi di entrare in contatto intimamente col cuore e l´anima della migliore jam band al mondo e della sua crew. Imperdibile.

Avremo modo di tenervi aggiornati.

Going west

Lunedì letterario.
Buon inizio settimana!



Film per il New Zeland Book Council diretto da Andersen M Studio

The Horribly Slow Murderer with the Extremely Inefficient Weapon



Vi presentiamo questo geniale cortometraggio che rimbalza per la rete già da qualche tempo.
Sedetevi comodi e prendetevi dieci minuti di pausa...ne vale la pena!
Maggiori informazioni sul sito del regista Richard Gale.

Il canto di Paloma

ven 27_11 ore 21.15

Regia: Claudia Llosa
Anno: 2009
Titolo Originale: La teta asustada
Durata: 94 min
Origine: SPAGNA, PERU'
Genere: DRAMMATICO









Trama Appena nata, Fausta ha contratto una malattia nota come il "latte del dolore", un disturbo che colpisce solo le donne peruviane violentate o rapite durante gli anni della lotta terrorista. Sebbene quel terribile periodo sia ormai passato, Fausta non ha alcuna intenzione di ricordarlo, ma alla morte della madre si trova obbligata ad affrontare e superare le sue paure. Si scopre così che per impedire a chiunque di usarle violenza Fausta ha inserito nel suo corpo una patata, a mo' di scudo. L'improvviso decesso della madre spingerà la ragazza ad intraprendere un viaggio che la porterà, dopo un lungo percorso personale, ad abbandonare le sue paure e a conquistare la libertà.

Critica "Interpretato da Magaly Solier, nel suo Paese nota come cantante (canta in lingua quechua), il film è la storia di un ritorno alla vita: perché, afferma la regista, anche dopo episodi così atroci bisogna sforzarsi di ritrovare un equilibrio e la fiducia nel prossimo." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 13 febbraio 2009)

"L'italo-peruviana Claudia Llosa, in 'La teta asustada', alla lettera 'La tetta spaventata', ci porta nel mondo magico e insieme concreto, quotidiano, di una giovane andina che nella prima scena (magnifica) dà l'addio alla madre, vittima di uno stupro ai tempi del terrorismo, e che dopo scopriamo vivere... con una patata nella vagina per difendersi, secondo una superstizione locale, dalle violenze. Ironia della sorte, la malinconica ma bellissima Magaly Solier, quando non lavora come hostess in sfrenate e coloratissime feste di nozze popolari, uno spettacolo davvero insolito, sta a servizio da una nevrotica e altezzosa pianista alto borghese che le ruberà le note delle sue ingenue, ammalianti nenie popolari, ma non l'anima. Un film di cui si potrebbe parlare a lungo, se mai qualcuno avrà il coraggio di comprarlo per l'Italia. "(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 14 febbraio 2009)

"Ma invece di scegliere un racconto tradizionale, dove i piccoli e grandi fatti quotidiani aiutano lo spettatore a capire la psicologia (e le paure) della protagonista, la regista sceglie un'altra strada, meno esplicita, fatta solo di allusioni, di particolari significativi. E una linea narrativa che si preoccupa soprattutto di giustapporre l'universo chiuso della villa dove Fausta presta servizio al poverissimo barrio della periferia di Lima dove invece la ragazza abita con lo zio e gli altri membri della famiglia. Così da una parte una macchina da presa abbastanza incombente cerca le paure e le angosce di Fausta dentro le azioni quotidiane del lavoro (...) mentre dall'altra inquadrature più larghe e composite inseriscono Fausta nel mondo familiare del barrio, fatto di riti stereotipati e usanze identitarie. Che la regista osserva con lo sguardo dell'antropologo, di cui conosce perfettamente il valore sociale di promozione e gratificazione (le scene di matrimonio, specialmente il «sì collettivo» e la «processione» dei regali), ma anche la capacità di cementare e gratificare l'unità del gruppo familiare. (...) Il film procede così, registrando più che veramente mettendo a confronto due mondi che faticano a comunicare, di cui non nasconde le ingenuità e le perfidie, ma che acquistano una consistenza narrativa soltanto in funzione della "presa di coscienza" di Fausta, finalmente capace di confrontarsi con le proprie ossessioni solo quando comincia a prendere coscienza dei propri "diritti" (almeno quelli che la sua ricca padrona vorrà all'improvviso negare). Senza voler per forza risolvere ogni cosa ma aprendo finalmente lo sguardo della sua protagonista a un sorriso di speranza." (Paolo Mereghetti, "Corriere della Sera, 8 maggio 2009)

Note - ORSO D'ORO AL 59. FESTIVAL DI BERLINO (2009).
- IL FILM HA RIPORTATO ALLA LUCE UN TRAGICO PERIODO DELLA STORIA DEL PERÙ. FONDATA NEL 2001 LA "COMMISSIONE PER LA VERITÀ E LA RICONCILIAZIONE" HA REGISTRATO SETTANTAMILA CASI DI OMICIDI E ALTRETTANTI DI STUPRI E RAPIMENTI COMMESSI DAGLI ANNI 80 FINO AL 2000.

Cartone

Buon inizio settimana!



Cortometraggio "Cardboard" dell' olandese Sjors Vervoort, realizzato con sagome di cartone dipinte e piazzate per la città.

via

Aspettando Motel Woodstock

Aspettando il film Motel Woodstock in programmazione questa sera al cinema Marconi di Piove di Sacco, concediamoci un buon ascolto.







Titoli di coda...che passione

Vi presentiamo un divertente uso dei titoli di coda proposto in questo videoclip
di una canzone di Lenny Kravitz, realizzato dal regista Keith Schofield


















cliccate sull'immagine per vedere il video.

L'uomo che fissava le capre


sab 21_11
ore 21.15
dom 22_11 ore 18.00, 21.00
dom 29_11 ore 18.00, 21.00


REGIA: Grant Heslov
SCENEGGIATURA: Peter Straughan
FOTOGRAFIA: Robert Elswit
MONTAGGIO: Tatiana S. Riegel
PRODUZIONE: BBC Films, Smoke House
PAESE: USA 2009
GENERE: Commedia
DURATA: 90 Min
FORMATO: Colore




Bob Wilton è un giornalista pavido e impacciato, abbandonato dalla moglie e a caccia dello scoop della vita. Inviato di guerra in Iraq nel tentativo disperato e maldestro di attirare l'attenzione della fedifraga consorte, Wilton incontra lo stralunato Lyn Cassady, soldato Jedi e monaco guerriero appartenente alla New Earth Army, un'unità sperimentale dell'esercito americano che vuole "combattere" le guerre col flower power. In grado di attraversare i muri e di fermare con lo sguardo il cuore di una capra, abili nel leggere nel pensiero del nemico e nel dissolvere le nuvole nel cielo, l'esercito hippy, fondato dallo stupefacente Bill Django, accoglie tra le sue fila il giornalista, iniziandolo al lato nobile della Forza. Tra rapimenti, vagheggiamenti e dosi massicce di LSD, Bob Wilton scriverà il suo articolo e ristabilirà l'equilibrio nella Forza.
Ispirato (forse) a un'incredibile storia vera e trasposto (innegabilmente) dal libro di Jon Ronson, L'uomo che fissa le capre è una commedia demenziale, nera e dissacrante verso quei monumenti intoccabili dell'autorità trattata spesso con reverenza (America's Army). La scrittura efficace di Grant Heslov, sceneggiatore di Good Night, and Good Luck e osservatore lucido dei costumi americani, si fa immagine demitizzante nel suo film d'esordio. Anche questa volta i tempi sono giusti e le intenzioni incoraggianti.
Il sapore del cinema americano d'impegno è ribadito dalle pagine e dallo sguardo del regista-sceneggiatore, che tratta con acuto cinismo argomenti serissimi e assesta una tipica vicenda da film di guerra dietro il filtro di una comicità irresistibilmente illogica. Pienamente a proprio agio nelle situazioni comiche, Heslov realizza col sorriso e attraverso una storia "realmente accaduta" un quadro molto critico della politica americana, popolata, ieri come oggi, da individui perfettamente amorali.
Abile nel sondare le ambiguità dell'esercito e i retroterra inquieti della scena militare, L'uomo che fissa le capre dà corpo a soldati (super)eroi e a una società divisa tra paura e patriottismo, guerre coloniali e senso civile, responsabilità e vendette. Come l'ufficiale "illuminato" di Jeff Bridges, che è stato in Vietnam da ragazzo e che non vuole assistere a un nuovo massacro, che ha lottato in quella guerra con le pallottole e che adesso vuole combattere con fiori, parole e gocce di LSD sciolte nel rancio.
L'uomo che fissa le capre disinnesca la serietà della guerra e dei suoi "corpi speciali" attraverso dialoghi sagaci e l'intensità burlesca dei suoi attori, George Clooney, Ewan McGregor, Jeff Bridges e Kevin Spacey, tutti perfettamente in parte.
Un film che produce il piacere assoluto della visione, pieno zeppo di trovate eccellenti: parodie, new age, giochi linguistici, citazioni, filosofia "star wars", che dimostrano una volta ancora che il cinema può essere più esplosivo della polvere da sparo. Marzia Gandolfi


Motel Woodstock

ven_20_11 ore 21.15 - proiezione in digitale


Regia: Ang Lee
Sceneggiatura: James Schamus
Fotografia: Eric Gautier
Montaggio: Tim Squyres
Produzione: Focus Features
Distribuzione: Bim Distribuzione
Paese: USA 2009
Genere: Commedia, Musicale
Durata: 110 Min







lliot Theichberg lavora come arredatore al Greenwich Village ed è impegnato sul fronte del riconoscimento dei diritti degli omosessuali. Ha però un grosso problema perchè i suoi genitori Jake e Sonia (due ebrei fuggiti dall'Europa dell'Est) stanno per perdere, a causa dei debiti, il decrepito motel che gestiscono a Catskill. Le soluzioni non sembrano a portata di mano fino a quando giunge la notizia che gli organizzatori di un'importante manifestazione musicale si sono visti ritirare l'autorizzazione dalla municipalità di Wallkill. Elliot telefona, offre il motel come base e presenta il vicino proprietario di un terreno di 600 acri. I ‘mitici' 3 giorni di Pace e Musica stanno per realizzarsi.
Ci sono film d'occasione che tali sono e tali rimangono. Si sfrutta cioè l'opportunità di un anniversario per tuffarsi nella rievocazione nostalgica o illustrativa di un evento. Ricorrendo i quarant'anni da quando ebbe luogo l'epocale concerto di Woodstock si poteva pensare che un Ang Lee in surplace avesse accettato di fare un film quasi su commissione. Non è affatto così. Quasi fosse tornato alle sue origini conosciute in Occidente (ricordate Banchetto di nozze?) il regista coglie l'occasione per rileggere da un punto di vista inusuale l'epopea di Woodstock non rinunciando a uno sguardo critico, anche se sorridente, nei confronti dell'istituzione familiare.
Woodstock ha rappresentato per lui gli ultimi momenti di innocenza di una civiltà che metteva piede sulla Luna ma stava affontando un futuro carico di incognite. Il raccontare il grande evento collettivo dal punto di vista di Elliot Tiber vuol dire scegliere lo sguardo di colui che ci vide un'opportunità personale ancor prima di rendersi conto del valore che quei tre giorni avrebbero finito con l'assumere per la cultura tout court. Tiber ha scritto con Tom Monte il libro "Taking Woodstock. A True Story of a Riot, A Concert and a Life" ed Ang Lee prende le mosse dalla sua testimonianza non per raccontare il concerto (lo ha già fatto con grande adesione Michael Wadleigh che aveva tra gli aiuti un ragazzo che si chiamava Martin Scorsese) ma per descrivere una società. Lo fa attraverso una moltitudine di personaggi e di figuranti ognuno dei quali finisce con il rappresentare una delle facce di quel prisma che erano gli Stati Uniti all'epoca.
Si sorride e si ride (grazie anche alla superba caratterizzazione di Imelda Staunton nei panni della taccagna e iperattiva madre di Elliot). Ma soprattutto si percepiscono la vitalità e l'energia di un universo giovanile che, nonostante il Vietnam o forse anche grazie a quell'orrore insensato, sentiva ancora il bisogno di credere in un'utopia pacifista che sembrava però traducibile in realtà. Ang Lee non ha alcuna intenzione di proporre una lettura acritica dell'epoca. Ecco allora che al seguito dell'ideatore trasgressivo simile a un Jim Morrison in versione hippie ci sono le limousine nere da cui escono manager in giacca e cravatta. Come afferma Woody Allen si chiama Show Business perchè senza il business non c'è lo show. Alla fine resta però la sensazione di un sipario calato su uomini e donne forse ingenui ma sicuramente sinceri nelle loro aspirazioni. Una tipologia di esseri umani di cui, nonostante tutti gli eccessi loro attribuibili, il mondo ha sempre bisogno.
Giancarlo Zappoli

Aspettando venerdì #3

Terminiamo questa presentazione dei registi di questa sera con u'altro cortometraggio
di Hanno Hoffer, "Aiuto umanitario".



prima parte


seconda parte

Aspettando venerdì #2

Ecco al secondo appuntamento per conoscere i registi del film di venerdì Racconti dell'età dell'oro.
Oggi presentiamo "Zapping" di Cristian Mungiu.


prima parte


seconda parte

Aspettando venerdì...

In attesa del film collettivo Racconti dell'età dell'oro di venerdì, vi proponiamo alcuni cortometraggi realizzati dagli stessi registi.

Cominciamo oggi con il cortometraggio "Dincolo" di Hanno Höfer.

prima parte

seconda parte

Julie & Julia

sab 14_11 ore 21.15
dom 15_11 ore 18.00 e 21.00



REGIA: Nora Ephron
GENERE: Biografico, Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
CAST: Amy Adams, Meryl Streep,
Jane Lynch, Stanley Tucci, Mary Lynn Rajskub,
Vanessa Ferlito, Dave Annable,







1949. Julia Child si è appena trasferita a Parigi per seguire il marito addetto culturale dell'ambasciata americana. Nella nuova città è ammaliata dalla cucina francese e per combattere la noia inizia un corso professionale per diventare cuoca. La passione la travolgerà, tanto da scrivere un libro che, dopo le tortuose vicende per pubblicarlo, diventerà la Bibbia per qualsiasi americano che voglia imparare a cucinare. Tutt'oggi la Child è una leggenda negli Stati Uniti.
Nel 2002, Julie Powell si è appena trasferita nel Queens, sopra una pizzeria. All'università era tra le più promettenti ma la sua vita, alla soglia dei 30 anni, è in un limbo da quando ha rinunciato a completare il suo romanzo. Riuscirà a trovare un senso alla sua esistenza grazie al libro di Julia Child, aprirà un blog e racconterà la sua sfida: completare le 524 ricette della sua eroina in 365 giorni.
Ha fortissimi toni femminili Julie & Julia. Nora Ephron lo ha tratto dal libro autobiografico della Powell, facendone un film che segue in parallelo le esistenze di due personaggi che, benché siano separati da 50 anni, hanno moltissimi punti di contatto. Ne esce fuori una commedia dai tempi comici perfetti, sostenuta da due interpretazioni sontuose: la Streep ormai non sorprende più, se non fosse per l'accento straordinariamente divertente, il francese incerto e una verve ironica che rappresenta la novità assoluta della stagione.
Mentre Meryl ha un personaggio senza lati oscuri e forse fin troppo solare, alla Adams è affidata Julia Powell, una donna del nostro tempo, con tutti i dubbi, le paure e l'esigenza di esprimersi. Se la Street/Child è semplicemente innamorata del cibo e piano piano si immerge con la sua energia in questa nuova missione, la Adams/Powell cerca e trova nelle ricette di mezzo secolo prima il nutrimento adatto per il suo animo insoddisfatto.
Il risultato finale è un piatto in cui non tutti gli ingredienti sono nella giusta proporzione ma dal sapore godibilissimo. Stefano Cocci

Racconti dell'età dell'oro

ven 13_11, ore 21.15



REGIA: Cristian Mungiu, Ioana Uricaru,
Hanno Höfer, Răzvan Mărculescu, Constantin
GENERE: Commedia, Storico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Romania
CAST: Diana Cavaliotti, Radu Iacoban, Vlad Ivanov,
Tania Popa, Liliana Mocanu, Alexandru Potocean,
Teo Corban,





Storie di vita ordinaria in Romania sotto il regime comunista di Ceausescu. La visita dell'ispettore, la fotografia del leader da ritoccare, un maiale consegnato erroneamente vivo da tagliare, l'imbottigliamento dell'aria: cinque leggende urbane bizzarre, ridicole, commoventi. Sono I racconti dell'età dell'oro, quegli ultimi quindici anni di dittatura che hanno visto il paese in ginocchio per la fame e la povertà.
Film collettivo alla maniera della commedia all'italiana degli anni di Risi e Monicelli, concepito collettivamente e non a staffetta, vede alla guida Cristian Mungiu, su tutt'altro registo rispetto a 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, che firma uno dei cortometraggi, in compagnia di Höfer, Marculescu, Popescu e Ioana Uricaru.
Lirico all'esordio, grottesco in materia di comunicazioni di massa, poi comico e surreale, l'umorismo della disperazione (ma non nella disperazione, perché sono passati gli anni) prende di mira l'obbedienza cieca, le acrobazie di un popolo che s'impone di soddisfare le richieste più arbitrarie e teme l'assurdo (se il premier francese nella foto ha il cappello e Ceausescu no potrebbe sembrare un gesto di rispetto verso il capitalismo e non deve accadere).
Il neorealismo è un modello presente ma parcheggiato a latere: le operette di Mungiu e colleghi cercano il riso; sembrano dire “non eravamo cattivi, solo un po' scemi, e ci alimentavamo a vicenda”; sono curate e talvolta furbette; guardano nello specchietto retrovisore, non sudano per l'urgenza. Eppure riescono a ridisegnare un mondo, mettendo in scena generazioni diverse e differenti reazioni, plaudendo in silenzio alla sana ironia dei giovani e scuotendo talvolta troppo affettuosamente la testa rispetto alla follia dei vecchi, spesso masochista.
Contenitore ideale e raccordo tra gli episodi è l'immagine delle scale interne di un condominio, riprese da un'angolatura affacciata sul vuoto che suggerisce la vertigine di chi osserva e la distanza di chi si muove in senso contrario, in salita, sotto sforzo.
L'immagine che questi Tales of the golden age restituiscono del loro paese di provenienza è in molti modi “corretta”, come la fotografia di Ceausescu: il colore della disperazione è stato limato fino a sparire, il carattere popolare enfatizzato. Ma la capacità di (far) sorridere è assodata e anche quella dietro la macchina da presa. Marianna Cappi

Flip book

Vi presentiamo questo video che interpreta in modo originale il classico flip book


regia di Superelectric ed André Maat

Chop cup

Le apparenze ingannano!

CHOP CUP from :weareom: on Vimeo.



qui il "making of":

CHOP CUP - Making of from :weareom: on Vimeo.

Praxinoscopio

Vi segnaliamo queste due interpretazioni attuali del praxinoscopio

Moray McLaren - We Got Time
video di David Wilson Creative


Questo il making-of:


Lo studio Post Typography per Johns Hopkins Film Fest




























Qui lo si può vedere in funzione.



Teza

ven 06_11 ore 21.15


REGIA: Haile Gerima
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ Germania, Etiopia, Francia
GENERE: Drammatico
CAST: Aron Arefe, Abiye Tedla, Takelech Beyene,
Teje Tesfahun, Nebiyu Baye, Mengistu Zelalem, Wuhib Bayu







Etiopia, 1990. Anberber è tornato al suo villaggio senza una gamba e con la testa affollata dai fantasmi. Lasciata l'Etiopia imperiale di Haile Selassie e rientrato in quella socialista di Haile Mariam Menghistu, Anberber ha studiato medicina nella Germania degli anni Settanta, interessata da una massiccia immigrazione africana e percorsa da tensioni e discriminazioni razziali. Il suo sogno più grande è quello di ritrovare l'abbraccio materno e di prendersi cura del suo popolo, afflitto dalle carestie e vessato da secoli di regimi dispotici. Rimpatriato e presa coscienza del disordine politico e sociale in cui versa il suo paese, scampa a un linciaggio e cerca conforto nel villaggio natio. Dentro il capanno e davanti al fuoco scoprirà la propria impotenza di fronte alla dissoluzione dei valori umani. Nel focolare domestico brucerà il suo passato e divamperà il desiderio di costruire il presente.
Dopo aver raccontato la resistenza etiopica degli anni Trenta all'esercito dell'Italia mussoliniana (Adwa), il regista etiope Haile Gerima ricostruisce e rilegge la storia del suo Paese all'indomani del golpe militare che destituì l'imperatore Haile Selassie e promosse il regime marxista di Haile Mariam Menghistu. Rifugiando il suo protagonista, un intellettuale formato in Germania, nel villaggio natio, Gerima sviluppa il racconto su tre piani temporali. Presente, passato e sogno si interrompono e intervengono l'uno sull'altro fino a ri-comporre la storia di un uomo dentro la Storia del suo Paese. Il racconto orale dell'emigrato di Aaron Arefe assume su di sé i conflitti e le convulsioni della storia ed è caratterizzato dal sentimento dominante della nostalgia: per l'infanzia africana, età idilliaca e disgiunta dal reale in cui il protagonista si rifugia alla ricerca della sua forza rigenerante; per la giovinezza europea, età dell'imitazione e dell'assimilazione in cui si ritaglia un posto approfittando dei vantaggi offerti dal vecchio continente; per la piena maturità del ritorno, età della riaffermazione della propria identità culturale in cui impegnarsi nella ricostruzione e nella rinascita del proprio paese.
Alle fughe dell'immaginario, nel realismo magico e in quello onirico, Gerima affida invece il compito di rappresentare la lacerazione interiore del protagonista, che non crede più alla possibilità di cambiare qualcosa. Anberber realizza il tradimento dei governi autoctoni e prende atto dell'unico risultato tangibile: il passaggio dei poteri dall'élite bianca all'élite nera e l'incremento consistente della violenza e della corruzione. Stessi privilegi dei potenti, stesso interesse esclusivo di una classe sociale, stesso disprezzo per il popolo. Teza, attraverso il racconto orale, i canti popolari e l'iconografia stilizzata, descrive l'educazione intellettuale di un uomo condotta e sospesa fra due continenti, fra l'Africa e l'Europa, fra il miraggio dell'occidente e il difficile ritorno al paese di origine.
Restando inchiodato al suo personaggio, Gerima traduce la storia collettiva in un volto, specchiandolo nel proprio passato alla ricerca della propria identità individuale e sociale. Teza è un altro frammento di memoria restituito dal regista etiope, intimamente coinvolto nella realtà politica e sociale del suo Paese, di cui riferisce sempre con un attenzione al di fuori di qualsiasi retorica nazionalistica. Ponendo in primo piano l'instabilità politica dell'Etiopia (prima, durante e dopo l'indipendenza), i problemi causati dalle amministrazioni autoctone e l'impatto distruttivo prodotto dalla cultura cristiana-occidentale e dal pensiero marxista su quella tradizionale, l'autore africano affronta la reale situazione e impegna il suo personaggio a costruire una nuova società, ponendo letteralmente mano (e gessetto) ai problemi che l'affiggono. Marzia Gandolfi