ven 29_11 ore 16.00 - 18.00
GENERE: Drammatico
REGIA: Benjamin Avila
SCENEGGIATURA: Benjamin Avila, Marcelo Müller
ATTORI: Natalia Oreiro, Ernesto Alterio, César Troncoso, Christina Banegas, Teo Gutiérrez Moreno, Mayana Neiva, Violeta Palukas, FOTOGRAFIA: Iván Gierasinchuk
MONTAGGIO: Gustavo Giani
PRODUZIONE: Historias Cinematograficas Cinemania, Habitacion 1520 Producciones, Antartida Produccions
PAESE: Brasile, Spagna, Argentina 2011
Trama
uan ha dodici anni e ha condotto una parte della sua vita in esilio. Nel
1979 torna, con i genitori e la sorellina di un anno, nel suo paese,
l'Argentina. Il ragazzino è stato costretto a vivere lontano da casa per
la condizione di clandestinità dei genitori, guerriglieri peronisti
dell'organizzazione dei Montoneros, oppositori della dittatura militare
di Videla, che ha rovesciato con un golpe il governo Peron nel 1976. Il
padre e la madre di Juan sono adesso convinti che sia giunto il momento
di alzare il tiro e portare la resistenza nel cuore dell'Argentina. Il
ritorno in patria è, però, rischioso: sono latitanti ricercati dalle
autorità e devono, quindi, vivere nascosti, sotto falsa identità. Anche
Juan ha un nuovo nome. Per i suoi compagni di scuola e per la ragazzina
di cui si innamorerà, si chiamerà Ernesto, come il Che.
Recensione
È un'infanzia rubata quella raccontata dal regista argentino Benjamín
Ávila nel suo primo lungometraggio. Una condizione che ha il
preziosissimo valore della testimonianza. La sconvolgente storia del
dodicenne Juan si basa, infatti, su eventi realmente accaduti al regista
da piccolo. Già questo basterebbe a rendere
Infanzia Clandestina
un film necessario. Di opere sull'eroismo della resistenza contro le
dittature nel mondo ne abbiamo viste tante, ma l'originalità di questo
film sta nel diverso punto di vista, che ci permette di osservare il
microcosmo partigiano dall'interno, senza filtri, se non quello di un
bambino che partecipa alla resistenza scrutandola dal punto di
osservazione privilegiato della propria età. E così la mette a nudo,
svelandone in maniera impietosa le contraddizioni e le assurdità. Lo
sguardo indagatore di Juan, che è lo sguardo bambino del regista, non
condanna ma neppure assolve. Non ci suggerisce cosa è giusto o
sbagliato, perché nelle guerre - clandestine o ufficiali che siano - non
può esserci giustizia. Nell'Argentina di fine anni Settanta, da una
parte ci sono interessi, dall'altra convinzioni. Eppure, anche queste
possono condurre sul terreno minato dell'insensatezza.
Juan è stato educato sulla base di valori e princìpi ferrei, senza
dubbio nobili, eroici e coraggiosi, ma intransigenti. Insegnamenti che
forgiano il carattere del ragazzo, ideali che respingono con forza
l'egoismo mediocre e timoroso del qualunquismo individualista, ma che
rasentano l'assurdo se applicati aprioristicamente alla vita reale.
Quella vita che i genitori hanno tolto a Juan, per la devozione totale a
una causa. Lottano per il bene comune, per garantire al proprio paese
un futuro migliore. Chiusi nel loro mondo di credenze incrollabili, il
serio padre e la passionale madre di Juan donano al figlio l'amore di
una famiglia unita, ma lo privano della possibilità di una vita e una
crescita normali. All'inizio, avere un nome falso o una casa con
nascondiglio può essere un gioco. Ma non sono un gioco le riunioni
clandestine dei guerriglieri, le commemorazioni dei caduti, le armi, la
paura che mamma e papà possano non tornare a casa. Juan non discute la
scelta di vita imposta dai genitori, vi aderisce, non ha la maturità
tale da poter fare diversamente. Ma, nel momento in cui assapora la
possibilità di una vita normale, con dei compagni di gioco e la scoperta
emozionante del primo amore, qualcosa si spezza nella relazione
simbiotica con i genitori. È giusto privare un bambino di tutto questo? È
giusto sacrificare la felicità individuale o la serenità della propria
famiglia, per mettersi al servizio di una collettività che non ha il
coraggio di fare altrettanto?
Infanzia Clandestina pone domande
complesse e non dà risposte, se non nell'insegnamento fondamentale che
il magnetico zio Beto, anche lui guerrigliero, tramanda al nipote Juan,
esortandolo a non tradire mai se stesso, qualunque cosa decida di fare
nella vita.
Al valore di tematiche così importanti si aggiungono meriti
squisitamente cinematografici: un cast sempre all'altezza del difficile
compito, una sceneggiatura ben scritta - che sa far ridere e piangere
subito dopo, senza mai appesantire, anche nelle situazioni più
drammatiche - e una regia sicura, non invadente, ma capace di soluzioni
peculiari, come l'uso del disegno animato nelle sequenze più violente,
quelle che la mente di un bambino non può concepire, persino quando i
suoi occhi ne diventano testimoni innocenti.
Annalice Furfari