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Visualizzazione dei post da ottobre, 2012

Io e Te

giov 1_11 ore 21,15
sab 3_11 ore 21,15
dom 4_11 ore 18,00 – 21,00


GENERE: Drammatico
REGIA: Bernardo Bertolucci
ATTORI: Jacopo Olmo Antinori, Tea Falco, Sonia Bergamasco, Pippo Delbono, Veronica Lazar, Tommaso Ragno
FOTOGRAFIA: Fabio Cianchetti
MONTAGGIO: Jacopo Quadri
MUSICHE: Franco Piersanti
PAESE: Italia 2012
DURATA: 97 Min






Trama
l quattordicenne Lorenzo ha palesi difficoltà di rapporto con i coetanei tanto che si avvale dell'aiuto di uno psicologo. Un giorno coglie al volo un'occasione unica: finge di partire per la settimana bianca con la sua classe mentre invece si rifugia nella cantina di casa con una ben organizzata scorta di cibarie e le letture preferite. Non sa che di lì a poco proprio nel suo dorato rifugio irromperà Olivia, la sorellastra venticinquenne che non vede da lungo tempo. Olivia è tossicodipendente e sta tentando di ripulirsi. Nel frattempo soffre di crisi di astinenza e non fa nulla per lasciare tranquillo Lorenzo.





Recensione
Bernardo Bertolucci torna a fare cinema dopo una lunga assenza causata dalle conseguenze della malattia che lo ha costretto su una sedia a rotelle. Se il suo sguardo non può più avvalersi direttamente della posizione eretta il suo cinema sembra avvantaggiarsene. È come se il suo occhio interiore avesse deciso di mettersi al livello dei giovani soggetti presi in considerazione invece di guardarli dall'alto di una memoria troppo vincolata dalla forma come in The Dreamers.
Grazie a un casting accurato, che gli ha permesso di scegliere due corpi e due volti che si imprimono immediatamente nella memoria dello spettatore, Bertolucci può tornare a uno dei suoi temi preferiti: quello dell'irruzione di un elemento esterno (sia esso storico o individuale) che mette in discussione uno status quo imponendo una revisione totale di ciò che si riteneva acquisito o l'esplosione di ciò che era stato accuratamente ricoperto da ipocrisie o autoconvincimenti. A differenza delle formiche dalla vita sociale rigidamente strutturata Lorenzo e Olivia sono due personalità che hanno cercato, ognuna a suo modo, di sfuggire al vivere comune. Sarà una cantina (luogo delegato alla paura e/o alla morte nel cinema di genere) a riaprirli se non al mondo almeno alla possibilità di prendere in considerazione opzioni diverse. Se Lorenzo, come un armadillo in gabbia, era convinto di salvarsi compiendo un ripetitivo percorso solitario, Olivia aveva cercato di annullarsi nel confondersi con i muri ai quali sovrapponeva la propria immagine fotografica. Una polvere simile alla calce di quegli stessi muri ma dai micidiali effetti aveva invece cominciato a confondersi con lei finendo per confonderla.
Bertolucci, in un prologo in cui accenna a un immaginario rapporto incestuoso madre/figlio, sembra voler prendere le distanze da un certo suo cinema avviluppato su se stesso (vedi La luna) per affermare la necessità di guardare invece alle tante (troppe) solitudini di cui il mondo adulto a volte sembra non cogliere la confusa ma pressante richiesta di aiuto. Se questo è l'inizio di una nuova fase del suo fare cinema non le si può che dare il benvenuto. Giancarlo Zappoli
 
Approfondimenti

Hunger

ven 2_11 ore 21,15


GENERE: Drammatico
REGIA: Steve McQueen
SCENEGGIATURA: Steve McQueen, Enda Walsh
ATTORI: Michael Fassbender, Liam Cunningham, Stuart Graham, Lalor Roddy, Liam McMahon, Laine Megaw, Brian Milligan, Helena Bereen
Ruoli ed Interpreti
PAESE: Gran Bretagna 2008
DURATA: 96 Min







Trama
Irlanda del Nord, 1981. Il Primo Ministro Margaret Thatcher ha abolito lo statuto speciale di prigioniero politico e considera ogni carcerato paramilitare della resistenza irlandese alla stregua di un criminale comune. I detenuti appartenenti all'IRA danno perciò il via, nella prigione di Maze, allo sciopero "della coperta" e a quello dell'igiene, cui segue una dura repressione da parte delle forze dell'ordine. Il primo marzo, Bobby Sands, leader del movimento, decreta allora l'inizio di uno sciopero totale della fame, che lo condurrà alla morte, insieme a nove compagni, all'età di 27 anni.

Recensione
Il britannico Steve McQueen ha con l'immagine un rapporto estremamente fisico, che qui porta all'estremo, dal fisico al fisiologico, poiché le armi della contestazioni sono dapprima i rifiuti del corpo e poi il corpo stesso, ultima risorsa a disposizione e ultimo baluardo di libertà: quella di poter scegliere di disporre di sé, della propria vita e della sua fine. Ed è tutto attorno a questo percorso insostenibile del libero arbitrio del protagonista che si muove Hunger, con una struttura originale e studiata, cerebrale, ma che procede verso la nudità (la coltre di neve, poi la coperta poi il lenzuolo/sudario), anzi la scarnificazione, e cerca la provocazione utile, vitale, morale, non quella sterile dello shock immediato e presto dimenticato.
Regista dell'espressività, che dà spazio alla materia e lo toglie alla parola, mettendo il dialogo al centro dell'opera e lì soltanto, nel piano-sequenza di 20 minuti che spezza il silenzio del prima e anticipa quello del dopo, McQueen lascia che il faccia a faccia tra Michael Fassbender e Michael Cunningham dica tutto quello che si può dire sull'argomento: dopo di ché, ancora, la scelta è privata, personale, ma questa volta chiama in causa anche lo spettatore. Da artista della contemporaneità quale è, infatti, Mc Queen non si limita a dipingere sulla tela ma instaura una relazione interattiva con l'altro lato dello schermo. Non è certo un cinema della grande illusione, il suo, se mai è un cinema della ferita dolorante, come avverte una delle prime immagini, quella delle nocche distrutte della guardia carceraria.
Lo stile è tutto ed è posto in evidenza senza remore, perché al servizio di una causa, con la stessa esposizione all'ambiguità o all'incomprensione che affronta il protagonista in scena. Marianna Cappi 

Approfondimenti
Rassegna stampa
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W l'Italia

prima visione!
 
sab 27_10 ore 21.15
dom 28_10 ore 18.00-21.00

GENERE: Commedia
REGIA: Massimiliano Bruno
SCENEGGIATURA: Massimiliano Bruno, Edoardo Falcone
ATTORI: Raoul Bova, Michele Placido, Rocco Papaleo, Ambra Angiolini, Alessandro Gassman, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli, Sarah Felberbaum,
FOTOGRAFIA: Alessandro Pesci
MONTAGGIO: Patrizio Marone
MUSICHE: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
PAESE: Italia 2012
DURATA: 111 Min





Un importante senatore di origine meridionale è un politico corrotto, senza scrupoli né ideali. Quando viene colpito da una malattia che intacca parte del suo cervello, si trasforma piano piano in un'altra persona. Più giusto e più corretto con gli altri, diventa anche il promotore di una singolare iniziativa: creare l'articolo 140 della Costituzione per sancire il diritto di ogni cittadino a conoscere la verità che si nasconde dentro le mura dei palazzi della politica.
"Michele Placido è un politico arrogante, emblema di un'Italia porchereccia e dei congiuntivi sbagliati, con tre figli (Ambra Angiolini, Alessandro Gassman e Raoul Bova), ciascuno portatore di un male sociale dei nostri tempi". Così Massimiliano Bruno presenta il suo secondo lungometraggio alla regia, dopo l'esordio folgorante di Nessuno mi può giudicare con Paola Cortellesi e dopo i successi da sceneggiatore con Fausto Brizzi e Marco Martani (Notte prima degli esami, Ex).

Gli equilibristi

ven_26_10 ore 21.15


GENERE: Commedia, Drammatico
REGIA: Ivano De Matteo
ATTORI: Valerio Mastandrea, Barbora Bobulova, Maurizio Casagrande, Rolando Ravello, Rosabell Laurenti Sellers, Grazia Schiavo, Antonio Gerardi, Antonella Attili, Stefano Masciolini, Francesca Antonelli, Damir Todorovic, Daniele La Leggia, Pierluigi Misasi, Paola Tiziana Cruciani
PAESE: Italia 2012
DURATA: 100 Min







Trama
Giulio (Valerio Mastandrea), 40 anni, impiegato al Comune di Roma, casa in affitto, auto a rate, una figlia rockettara (Rosabell Laurenti Sellers, brava), un bambino trasparente e una moglie (Barbora Bobulova). La ama, ma l’ha tradita: una scappatella con una collega. Scoperto, i due provano a rimanere insieme, ma lei non ce la fa, Giulio se ne deve andare. Prima dalla madre di un amico, poi in una pensioncina vicino alla stazione di Termini, ma è solo l’inizio della fine: i soldi non bastano mai, apparecchio ai denti per il piccolo, Barcellona per la figlia, le rate, la mala vita dei povericristi… Prima un doppio lavoro, con frutta e verdura scaricate la notte, poi la fuga dalla pensione, le notti in macchina, la mensa della Comunità di Sant’Egidio… Che ne è di papà
 
Recensione
Domanda buona per Gli equilibristi di Ivano De Matteo, che scrive con Valentina Ferlan, già in Concorso agli Orizzonti di Venezia e ora in sala con Medusa. Un dramedy, per dirla all’americana, che potremmo considerare il versante serio, ovvero drammatico e simpatetico, di Posti in piedi in Paradiso: la separazione e i suoi fratelli coltelli, affidati a un Mastandrea in stato di grazia. E’ difficile resistere alla sua discesa agli inferi, che non ha nulla di patetico e urlato, solo il lento declino della realtà, la sua condizione di padre solo: una colpa, una scappatella, e una vita intera per pagarla, fino all’indifferenza, all’abulia, al no future dei clochard.
De Matteo, con un occhio al grande pubblico (non necessariamente strizzato), indora la pillola, sfornando battute romanesche e simpatici siparietti, ma il dolore c’è e la regia - con qualche parentesi estatico-stilosa incongrua - si accoda compunta. Se il divorzio - sentiamo - è per i ricchi, per i poveri c'è la solidarietà, e la camera indaga tra i bassifondi multietnici capitolini, dove Giulio si lascia andare.
Gli equilibristi ha un suo pregevole equilibrio: non è questione di sensi di colpa atavici o cattolici, ma prima di (dis)fare penserete a Mastandrea su quella panchina, fesso e senza più un senso. Solo come un cane, solo come un padre solo.

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Tutti i santi giorni


sab 20_10 ore 21.15
dom_21_10 ore 18.00 - 21.00


GENERE: Commedia
REGIA: Paolo Virzì
ATTORI: Luca Marinelli, Federica Victoria Caiozzo, Micol Azzurro, Claudio Pallitto, Stefania Felicioli, Franco Gargia, Giovanni La Parola, FOTOGRAFIA: Vladan Radovic
MONTAGGIO: Cecilia Zanuso
MUSICHE: Federica Victoria Caiozzo
PAESE: Italia 2012
DURATA: 102 Min






Trama
Guido è una persona gentile. Dotto e appassionato di lingue antiche e agiografia protocristiana, è portiere d'albergo e compagno innamorato di Antonia, che sveglia ogni santo giorno col caffè, due cucchiai d'amore e l'illustrazione di santi, eroi e martiri. Impiegata in un autonoleggio col talento per la musica, Antonia ricambia Guido col medesimo trasporto. Precari nella vita ma saldi nei sentimenti, Antonia e Guido spendono i loro giorni a troppe fermate d'autobus da Roma, condividendo affanni e giardino con un vicinato greve che prova a sopravvivere tra una partita della 'maggica' e un figlio sempre in arrivo. A non arrivare mai è invece il loro bambino, desiderato e cercato con ostinazione e pianificazione tra luminari in odore di santità e ginecologhe progressiste. Assistiti, nella fecondazione artificiale e nel quotidiano tangibile, dal loro inalienabile amore, Antonia e Guido si perderanno per ripartire un'altra volta, (ri)chiamando l'attacco della loro canzone.


Recensione
Si respira un'aria nuova nella commedia sentimentale di Paolo Virzì, che preferisce un percorso intimo, producendo la massima espressione di umanità incalzata da una realtà impoverita. Con toni morbidi ed eleganti che rivelano un chiaro intento introspettivo, Tutti i santi giorni è abitato da due ritratti complessi che si muovono tra espressioni d'amore e giornate niente affatto particolari. Perché Antonia e Guido vivono la dimensione liquida dell'impiego e agiscono nell'infinita e impersonale periferia romana, quella delle tangenziali, dei raccordi, dei centri commerciali, delle scale mobili, delle facciate a vetro, delle hall d'albergo, degli ospedali, delle stazioni. Diversamente da Tutta la vita davanti, di cui mantiene l'astrazione degli spazi, Tutti i santi giorni focalizza due protagonisti a partire dalla locandina con cui il film si presenta al pubblico. La affine disposizione prossemica dei personaggi dei film rivela una continuità e una congruenza nella produzione dell'autore livornese, sensibile alla rappresentazione dei precari in marcia verso un 'sol dell'avvenire' che tarda a venire. Comparando i due manifesti si osserverà alle spalle dei protagonisti l'assenza di quel quarto stato inscenato due commedie fa. Tutti i santi giorni, altrimenti da Tutta la vita davanti, si incunea in quel ceto medio che è ormai classe unica e focalizza un uomo e una donna indagati dal di dentro e dentro il rapporto costitutivo col mondo. Antonia e Guido praticano l'esercizio dell'impegno come replica alla dissimulazione e agli incubi nascosti nei meandri dell'identità e della società. Sono persone vere che dall'interno di questo immenso ceto medio mondiale muovono una lotta propositiva, magari apprensiva, magari impacciata, contro le trappole e le insidie del quotidiano, contro l'inarrestabile (s)volgersi dei giorni e del tempo, che il regista sospende sulle note di Thony. Vere e proprie romanze che lasciano emergere i tempi dell'innamoramento. Tutto si muove intimamente nella commedia romantica di Virzì, fino a toccare le corde più sensibili di un'umanità essenziale: amore, ragione, sentimento, libertà, destino, desiderio (di essere madre, di essere padre), dolore (di non esserlo). Ogni scelta di regia sembra essere dentro le possibilità delle vite dei protagonisti, interrogandosi su come si parla oggi d'amore e come si parla oggi l'amore. Quali i tempi e i ritmi di queste parole, interpretate con sorprendente e ironico sentimento da Thony e Luca Marinelli, 'numero primo' portatore di uno sguardo vibrante e ipersensibile. Attingendo alla migliore tradizione della commedia all'italiana, senza sfuggire il mélo nell'eccesso narrativo, nell'accentuazione dei caratteri e nella predilezione del tessuto urbano, Virzì infila una storia che sa ascoltare e sa aspettare, una storia sul superamento del dolore mentre si è nella 'tragedia' attraverso le relazioni umane, una storia sulla possibilità dei legami nella possibilità del deserto del reale. Scritta a sei mani con Francesco Bruni e Simone Lenzi, autore del romanzo a cui il film è liberamente ispirato, Tutti i santi giorni è una commedia umana per chi non ha fretta e paura intellettuale del pathos. Marzia Gandolfi

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C'era una volta in Anatolia

ven_19_10 ore 21.15

GENERE: Drammatico
REGIA: Nuri Bilge Ceylan
ATTORI: Muhammet Uzuner, Yılmaz Erdoğan, Taner Birsel
Ruoli ed Interpreti
PAESE: Turchia 2011
DURATA: 165 Min
FORMATO: Colore

Sito Ufficiale






Trama
Tre auto viaggiano nella notte nella provincia dell'Anatolia. Cercano qualcosa nell'oscurità: ogni collina, ogni albero potrebbero essere il luogo giusto. Sono un commissario con i suoi poliziotti, un procuratore e un medico, conducono il sospettato di un crimine alla ricerca del luogo dove avrebbe sepolto il cadavere. Vagano senza risultati, si fermano a mangiare dal sindaco di un paesino, poi riprendono la ricerca. All'alba trovano il corpo, lo caricano in auto e lo trasportano nella cittadina per farlo riconoscere dalla moglie ed eseguire l'autopsia.

Recensione
È un poliziesco molto anomalo il quarto film (su sei lungometraggi realizzati in carriera) che il regista turco Nuri Bilge Ceylan porta in concorso a Cannes, dove è stato già premiato per Uzak - Lontano e Le tre scimmie. Un'indagine lunga una notte che non serve a dare risposte sul crimine quanto, per i personaggi, a guardarsi intorno e guardarsi dentro. Bilge Ceylan fa un cinema di tempi dilatati (la pellicola supera le due ore e mezza) e di attenzione ai dettagli, riesce a esplorare l'animo dei suoi personaggi facendone uscire passato e sentimenti dai particolari. Il film è strutturato su tre parti, come in tre atti di Anton Checov (che il regista, autore della sceneggiatura con la moglie Ebru e con Ercan Kesal, cita nei titoli): nella prima il protagonista è il commissario Naci, nella seconda il procuratore Nusret, nella terza il medico Cemal. I dialoghi sembrano casuali, ma non lo sono, uno, quello più cruciale, viene interrotto e ripreso nel corso delle tre parti. Riguarda la storia di una donna che ha previsto la sua morte ed è deceduta esattamente il giorno che aveva predetto. Si scoprirà essere la moglie del procuratore, che ha preso una dose letale di droga. "Ho capito che a volte i suicidi sono atti di accusa verso chi resta" commenta il vedovo e il disilluso medico risponde: "lo sapevo già". Così il procuratore si compiace di "somigliare" a Clark Gable, si aggiusta a più riprese i capelli e i baffi, per mascherare un fallimento esistenziale. E così gli altri due protagonisti. Il sospettato sembra di gomma, non reagisce quasi mai, è solo un pretesto per far uscire gli altri. Solo la moglie del morto mostra una grande dignità, mentre il figlio, un ragazzino, scarica la rabbia tirando una pietra in fronte al colpevole. Bilge Ceylan, come d'abitudine, chiede molto allo spettatore ma lo proietta in un viaggio ai bordi dell'abisso, in un continuo su e giù dalle colline, dove gli indagatori finiscono per indagarsi. Non a caso un punto di svolta, poco dopo metà film, è trasporto del morto. Non disponendo di un mezzo adatto, devono riuscire a far stare il cadavere nel bagagliaio di una delle auto. Nel farlo, nel piegarlo, finiscono per trovarsi nei panni di un assassino che lo vuole occultare. Il regista prosegue un cammino autoriale molto personale e di spessore e con questo lavoro conferma le sue grandi capacità di scrittura e di messa in scena. Nicola Falcinella

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On the road

prima visione!

sab 13_10 ore 21.15
dom_14_10
ore 18.00 - 21.00
sab 20_10 ore 21.15
dom_21_10 ore 18.00 - 21.00

 GENERE: Biografico, Drammatico, Avventura
REGIA: Walter Salles
ATTORI: Sam Riley, Garrett Hedlund, Kristen Stewart, Kirsten Dunst, Viggo Mortensen, Amy Adams, Tom Sturridge, Danny Morgan, Alice Braga, Marie Ginette Guay, Elisabeth Moss
PAESE: USA 2012
DURATA: 137 Min

Sito Italiano
Sito Ufficiale







Trama
Stati Uniti. Seconda metà degli Anni Quaranta. Sal Paradise, dopo la morte di suo padre, incontra Dean Moriarty che un padre ce l'ha vivente anche se non sa dove. Sal è un newyorkese appassionato di letteratura e con aspirazioni da scrittore. Dean è giovane, bello e sposato con la disinibita e seducente Marylou che tradisce con la più 'borghese' Camille. I due uomini divengono subito amici comprendendo di condividere lo stesso desiderio di una vita liberata da vincoli e regole. La strada diventa così la casa che 'abitano' con Marylou. Hanno inizio innumerevoli peregrinazioni lungo le vie degli States e del Messico alla ricerca di un modo nuovo di vivere oltre che di se stessi.



Recensione

"On the Road" di Jack Kerouac è un libro che ha segnato un'intera generazione non solo sul piano letterario ma anche su quello di una ricerca di modalità di vita alternative. L'on the road è anche in fondo un genere cinematografico nel quale il viaggio diviene metafora di un movimento interiore che conduce a cambiamenti profondi. Quando in un film si rievocano poi personaggi come lo stesso Kerouac ma anche come Allen Ginsberg o William Burroughs (seppure sotto mentite spoglie) si può facilmente comprendere quanto l'operazione che prova a fondere questi elementi diventi complessa. Walter Salles ha deciso di affrontare la prova forte di almeno due altri film che implicavano l'immagine del viaggio: Central do Brasil e I diari della motocicletta. Portare sullo schermo lo spirito di ribellione di un'epoca evitando le trappole del biopic non è da tutti. La sceneggiatura si muove su una corda tesa sul baratro e riesce a conservare l'equilibrio narrativo dilatando i tempi di un film che avrebbe guadagnato da una maggiore asciuttezza. È il prezzo da pagare per descrivere la psicologia di personaggi complessi che commettono quelle che all'epoca erano considerate trasgressioni e che oggi sono viste come poco più che eccentricità. Salles si concentra sul rapporto tra Dean e Sal e sulla progressiva trasformazione di eventi e incontri in parole che non saranno più solo un diario privato ma si trasformeranno in un manifesto generazionale. Riesce così a trasmettere la sensazione, spiacevole forse ma necessaria, che per quante miglia di distanza si riescano a mettere tra se stessi e i luoghi, lo spazio che intercorre tra noi e noi stessi è sempre pari a un chilometro zero. Con tutti i tormenti e le contraddizioni che ciò comporta. In ogni epoca. 

Detachment - Il distacco


ven 12_10 ore 21,15



GENERE: Drammatico
REGIA: Tony Kaye
SCENEGGIATURA: Carl Lund
ATTORI: Adrien Brody, Lucy Liu, Bryan Cranston, Christina Hendricks, James Caan, Renée Felice Smith, Blythe Danner, Marcia Gay Harden,
PAESE: USA 2012
DURATA: 100 Min
FORMATO: Colore







Trama
Henry Barthes è un uomo solitario e introverso che insegna letteratura alle scuole superiori. Quando un nuovo incarico lo conduce in un degradato istituto pubblico della periferia americana, il supplente deve fare i conti con una realtà opprimente: giovani senza ambizioni e speranze per il futuro, genitori disinteressati e assenti, professori disillusi e demotivati. La diversità di Henry è evidente sin dal primo impatto con questo universo allo sbando. Il distacco e l'assenza di coinvolgimento emotivo gli consentono di conquistare il rispetto e la partecipazione di ragazzi difficili, che ben presto sconvolgeranno il mondo apparentemente controllato del docente.

Recensione
È un'autentica missione quella che vede impegnati gli insegnanti, a tutte le latitudini. Ancora di più lo è se il contesto sociale è caratterizzato dal degrado e dalla mancanza di prospettive. Ma laddove la scuola è l'unico punto di riferimento nei microcosmi di adolescenti che affrontano il faticoso cammino della crescita, questa missione rischia di infrangersi al cospetto dei fallimenti quotidiani. Allora il senso di impotenza e frustrazione polverizza ogni traccia dei primi entusiasmi e idealismi, giungendo a infettare anche vite private in lenta e inesorabile dissoluzione. Così, il desiderio di fare la differenza diventa vana velleità e lascia il posto alla resa.
Forse è per questo che il protagonista del film sceglie di continuare a fare il supplente, tentando, nel poco tempo di cui dispone, di impartire insegnamenti significativi agli studenti. Eppure, la passione che lo accende per la penna dei poeti sembra non riuscire a scalfire la sua vita. Il distacco emotivo, in cui Henry ha deciso di trincerarsi e farsi scudo dal mondo, cela un'antica ferita che torna a galla nel contatto con una prostituta-bambina scappata di casa e un'allieva sensibile e dotata di talento artistico, ma castrata da un padre oppressivo e ferita dall'arroganza dei compagni. Mentre afferra queste isole alla deriva, Henry salva se stesso e la propria anima. Ma l'impatto tra pianeti arrabbiati e fragili genera deflagrazioni irreversibili, ben rappresentate dall'immagine dell'aula vuota e sfasciata.
È intriso di profondo pessimismo e malinconica poesia questo film diretto dall'eclettico artista britannico Tony Kaye. La consapevolezza lucida e amara di un destino ancorato al dolore è scandita dalle parole immortali di scrittori con cui il supplente spiega la vita ai ragazzi e incarnata nello sguardo triste e lontano di un Adrien Brody sempre superbo. L'intero cast è all'altezza di una sfida impegnativa: cogliere le falle del sistema di istruzione americano e le tragiche conseguenze che si riverberano sulle vite di insegnanti e alunni. Il regista le ritrae in maniera non convenzionale, percorrendo la strada di uno stile personale e riconoscibile, con un avvio da documentario - con inserti di interviste video a docenti che imprimono un effetto di realismo - e uno svolgimento via via più drammatico. Notevoli anche le soluzioni visive, con il contrasto tra il bianco e nero degli inserti iniziali e una fotografia dai toni caldi. Quando poi le immagini parlano all'unisono con la musica, la magia del cinema è compiuta e arriva dritta al cuore. Annalice Furfari

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Cesare deve morire


ven 5_10 ore 21,15


GENERE: Documentario
REGIA: Vittorio Taviani, Paolo Taviani
SCENEGGIATURA: Paolo Taviani, Vittorio Taviani
PAESE: Italia 2012
DURATA: 76 Min
Sito Ufficiale

NOTE: Orso d'Oro per il miglior film al Festival di Berlino 2012.
Candidato a miglior film straniero agli Oscar 2013








Trama
Nel teatro all'interno del carcere romano di Rebibbia si conclude la rappresentazione del "Giulio Cesare" di Shakespeare. I detenuti/attori fanno rientro nelle loro celle. Sei mesi prima: il direttore del carcere espone il progetto teatrale dell'anno ai detenuti che intendono partecipare. Seguono i provini nel corso dei quali si chiede ad ogni aspirante attore di declinare le proprie generalità con due modalità emotive diverse. Completata la selezione si procede con l'assegnazione dei ruoli chiedendo ad ognuno di imparare la parte nel proprio dialetto di origine. Progressivamente il "Giulio Cesare" shakesperiano prende corpo.





Recensione
I fratelli Taviani erano certamente consapevoli delle numerose testimonianze, in gran parte documentaristiche, che anche in Italia hanno mostrato a chi non ha mai messo piede in un carcere come il teatro rappresenti un strumento principe per il percorso di reinserimento del detenuto. Quando poi si pensa a una fusione di fiction e documentario la mente va al piuttosto recente e sicuramente riuscito film di Davide Ferrario Tutta colpa di Giuda. I Taviani scelgono la strada del work in progress utilizzando coraggiosamente l'ormai antinaturalistico (e televisivamente poco gradito) bianco e nero. L'originalità della loro ricerca sta nella cifra quasi pirandelliana con la quale cercano la verità nella finzione. Questi uomini che mettono la loro faccia e anche la loro fedina penale (sovrascritta sullo schermo) in pubblico si ritrovano, inizialmente in modo inconsapevole, a cercare e infine a trovare se stessi nelle parole del bardo divenute loro più vicine grazie all'uso dell'espressione dialettale. Frasi scritte centinaia di anni fa incidono sul presente nel modo che Jan Kott attribuiva loro nel saggio del 1964 dal titolo "Shakespeare nostro contemporaneo". Ogni detenuto 'sente' e dice le battute come se sgorgassero dal suo intimo così che (ad esempio) Giovanni Arcuri è se stesso e Cesare al contempo e la presenza del regista Cavalli e dell'ex detenuto e ora attore Striano nel ruolo di Bruto non stonano nel contesto. Ciò che purtroppo diventa dissonante (anche se non inficia alle radici il valore dell'operazione) è la pretesa di far 'dire di sé' ai detenuti. Nei momenti in cui dovrebbero uscire dalla parte per rientrare in se stessi si avverte che è proprio allora che stanno recitando un copione che parla delle loro tensioni o delle loro attese. La ricerca della verità nella finzione si trasforma in finzione che pretende di palesare delle verità. Non era necessario. Shakespeare aveva già splendidamente ottenuto il risultato. Giancarlo Zappoli

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