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Big Eyes

gio 1_1 ore 18.00 e 21.00
ven 2_2 ore 21.15
sab 3_1 ore 21.15
dom 4_1 ore 18.00 e 21.00
mar 6_1 ore 18.00 e 21.00


 GENERE: Biografico, Drammatico
ANNO: 2014
REGIA: Tim Burton
SCENEGGIATURA: Scott Alexander, Larry Karaszewski
ATTORI: Christoph Waltz, Amy Adams, Krysten Ritter, Jason Schwartzman, Danny Huston, Terence Stamp








Trama
Quando carica la figlioletta sull'automobile e lascia il primo marito, Margaret Ulbrich è una giovane donna senza soldi, che dipinge per passione e per necessità quadretti semicaricaturali di bambini dagli occhi smodatamente grandi. Opere intrise di sentimentalismo e di un gusto kitsch, che raggiungeranno però un enorme e inaspettato successo quando a commercializzarle sarà Water Keane, secondo marito di Margaret e "wannabe artist" a tutti i costi. Spacciando i quadri della moglie per propri, per quasi un decennio, Walter costruisce un impero su un'enorme bugia, riuscendo ad abbindolare l'America intera. Finché Margaret non si ribella. Gli occhi sono lo specchio dell'anima, dicono. Eppure sotto gli occhioni dei milioni di "figli" dei Keane, si cela una delle più grandi frodi dell'arte contemporanea.
In un'epoca, a cavallo tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, in cui l'arte femminile non era presa in seria considerazione, il plagio che Walter opera ai danni della moglie si racconta come una storia d'amore della stessa epoca, di quelle che cominciano con la seduzione e finiscono per alzare la voce se lei fa resistenza. Ma il femminismo è alle porte e Margaret ne è a suo modo una pioniera.

Recensione

Tim Burton è amico della vera Margaret Keane, ha comprato alcune sue opere in tempi non sospetti, e forse è solo con la motivazione dell'affetto che si spiega questo nascondersi del regista dentro il suo stesso film fino a rendersi quasi introvabile. Eppure Burton c'è, la sua è la firma nel primo strato, quello coperto dall'autografo a olio del plagiatore, ma bisogna davvero pensare che abbia giocato a mascherarsi lui stesso, parlando di furto d'identità, per spiegare un film così maledettamente illuminato dalla luce del sole, dove i personaggi vestono mise colore pastello in case color pastello con piscina e angolo bar.
Mentre lascia che la biografia scritta dall'esperta coppia di sceneggiatori Scott Alexander e Larry Karaszewski proceda cronologica e fedele, e lascia altresì che Christoph Waltz furoreggi nell'arte dell'istrione, oltre la commedia e oltre la gigioneria, nell'incomparabile (s)vendita di sé che domanda il personaggio, Burton si nasconde in poche inquadrature, negli occhi di Amy Adams che guida e piange nell'unica scena notturna (che sono il sentimento ad ingrandire e non la matita o il trucco) o in quelli degli orfani del quadro "esagerato" (leggi mostruoso) che spariscono dentro la cassa di legno e lasciano il museo destinati ad un vero oblio. Marianna Cappi
 
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Il ragazzo invisibile

ven 19_12 ore 21.15
sab 20_12 ore 21.15
dom 21_12 ore 18.00 e 21.00
gio 25_12 ore 21.00
ven 26_12 ore 18.00 e 21.00
sab 27_12 ore 21.15
dom 28_12 ore 18.00 e 21.

GENERE: Fantasy
ANNO: 2014
REGIA: Gabriele Salvatores
SCENEGGIATURA: Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo
ATTORI: Ludovico Girardello, Valeria Golino, Fabrizio Bentivoglio, Kseniya Rappoport, Noa Zatta, Laura Sampedro, Aleksey Guskov
FOTOGRAFIA: Italo Petriccione
PAESE: Francia, Italia, Irlanda





Trama
Michele è un adolescente e vive a Trieste con la mamma Giovanna, poliziotta single ("Non zitella!") da quando il marito, anche lui poliziotto, è venuto a mancare. A scuola i bulletti della classe, Ivan e Brando, lo tiranneggiano e la ragazza di cui è innamorato, Stella, sembra non accorgersi di lui. Ma un giorno Michele scopre di avere un potere, anzi, un superpotere: quello di diventare invisibile. Sarà solo la prima di una serie di scoperte strabilianti che cambieranno la vita a lui e a tutti quelli che lo circondano.

Recensione

Gabriele Salvatores compie un altro salto nel vuoto cimentandosi con un film di genere nel genere: una storia di supereroi all'interno di un film per ragazzi, filone supremamente (e inspiegabilmente) trascurato in Italia. Quello di Michele è un classico viaggio di formazione che pone al pubblico, snocciolandole una dopo l'altra all'interno di una narrazione fluida e coesa, le grandi domande di chi si affaccia all'età adulta (e che continuano a riguardare anche il mondo dei "grandi"). Chi siamo? Di chi possiamo fidarci? A chi dobbiamo dare ascolto? Di chi (o che cosa) siamo figli? La nostra famiglia di elezione coincide con quella biologica? Quali sono i nostri veri talenti e come possiamo usarli in modo consapevole?
Salvatores sceglie, con molta onestà artistica, di ricordarci che il suo film deve rimanere accessibile in primis ai giovanissimi, e dunque non disdegna spiegazioni didascaliche e sottolineature esplicite, rifiutando lo snobismo dell'autore adulto che strizza l'occhio ai suoi coetanei. Il ragazzo invisibile resta però fortemente autoriale nelle scelte estetiche e narrative, che rispettano la composizione grafica del fumetto e l'iperrealismo (magico) del racconto fantastico.
La scelta del potere dell'invisibilità è ricca di valenze metaforiche, soprattutto per il cinema che è per definizione racconto del visibile, e visto che l'adolescenza è in genere il periodo di minima autostima e massimo narcisismo, essere invisibili diventa contemporaneamente un'aspirazione e uno spauracchio. Salvatores sceglie di filmare l'assenza nel momento stesso in cui rivendica il suo (anti)eroe come presenza innanzitutto fisica, e non sottrae il suo protagonista all'ambiguità di questo rapporto di attrazione e repulsione verso il proprio "non essere".
Gli effetti speciali de Il ragazzo invisibile sono artigianali nel senso migliore del termine: niente di fantasmagorico o strabiliante, piuttosto un recupero della meraviglia e dell'incanto infantile, sempre profondamente radicati nella concretezza di una quotidianità riconoscibile. Anche il montaggio si tiene lontano dalla frenesia da action movie hollywoodiano, ancor più se legato all'immaginario fumettistico.
Il ragazzo invisibile lavora soprattutto sulla costruzione dei personaggi e sulla semina dei grandi quesiti esistenziali di cui sopra, sempre enunciati a misura di adolescente. La sceneggiatura, del trio Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, attinge a molti capisaldi del cinema di genere senza diventare imitativa, e le innumerevoli citazioni, spesso d'autore - da Gremlins a Ferro 3, da Lasciami entrare ad Hanna (complice anche la somiglianza di Noa Zatta, la giovane attrice che interpreta Stella, con Saoirse Ronan), da Salt a Il sesto senso, da Spider Man a X-Men, da L'alieno a Grosso guaio a Chinatown. Anche l'intervento produttivo è competente, con un product placement discreto e un giusto equilibrio fra attenzione alle esigenze commerciali e rispetto della vocazione autoriale di Salvatores.
Il ragazzo invisibile racconta un corpo adolescente in cambiamento come cartina di tornasole e motore dell'evoluzione di un'intera comunità, creando un sottile distinguo fra talento e potere, appoggiandosi ad un'architettura narrativa solida e ad un'estetica precisa, apparentemente semplice e invece assai sofisticata nella cura dei dettagli, nel posizionamento delle luci, nella costruzione delle inquadrature e nella scelta "fumettistica" dei punti di ripresa. Una scommessa vinta per una sfida coraggiosa e infinitamente più complessa di quanto la sua superficie children friendly lasci intuire.  Paola Casella

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Trash


ven 12_12 ore 21.15
sab 13_12
ore 21.15
dom 14_12 ore 18.00 e 21.00

 GENERE: Thriller
ANNO: 2014
REGIA: Stephen Daldry
SCENEGGIATURA: Richard Curtis
ATTORI: Rooney Mara, Martin Sheen, Wagner Moura, Selton Mello, André Ramiro, José Dumont, Nelson Xavier, Stepan Nercessian
FOTOGRAFIA: Adriano Goldman
MONTAGGIO: Elliot Graham
PAESE: Gran Bretagna
DURATA: 115 Min




Trama
Rafael, Gardo e Gabriel detto Rato hanno 14 anni e vivono nelle favelas brasiliane, campando grazie allo smistamento dei rifiuti. Un giorno Rafael trova nella discarica un portafogli che contiene denaro, una foto con alcuni numeri sul retro, un calendario con l'immagine di San Francesco e una chiave. Subito dopo la polizia locale, per cui i ragazzini non nutrono né fiducia né simpatia, cala sulle favelas alla ricerca del portafoglio. Il gioco si fa duro, ma i nostri piccoli eroi non rinunciano a giocare. 

Recensione
Trash è l'adattamento cinematografico del romanzo omonimo per ragazzi scritto da Andy Mulligan, e il film è sceneggiato da Richard Curtis (sì, quello di Quattro matrimoni e un funerale e Love Actually) e diretto da Stephen Daldry (sì, quello di Billy Elliot e The Hours). Ci sono anche una troupe brasiliana e un produttore esecutivo, Fernando Meirelles, utili a certificare la "credibilità etnica" dell'operazione. Ma a reggere il timone è il talento, e il punto di vista, riconoscibilmente anglosassone di regista e autori, e la produzione britannica Working Title.
Il risultato è un film che è puro entertainment dalla confezione formale impeccabile ma dalle implicazioni etiche discutibili, non perché parla di polizia corrotta e giovani ladruncoli, ma perché osserva una realtà degradata attraverso lo sguardo del benessere angloamericano. Le concessioni all'estetica brasiliana, in particolare quella di City of God, cedono presto il passo ai canoni di genere del cinema d'azione yankee, da Traffic alla saga di Bourne, e in assoluto la pietra di paragone è The Millionaire, operazione altrettanto narrativamente coinvolgente e altrettanto accusabile di "colonialismo commerciale", con cui l'inglese Danny Boyle ha raccontato l'India degli slum.
Sia chiaro, dal punto di vista meramente cinematografico, Trash è un film eccezionale ed eccezionalmente godibile, a cominciare dai tre giovanissimi protagonisti scelti dalle favelas (quelle vere) con un casting fra migliaia di aspiranti, tutti e tre irresistibilmente carismatici e convincenti sia nella recitazione verbale che in quella fisica: tre action figure in miniatura a metà fra Oliver Twist e Huckelberry Finn, che ci trascinano nelle loro avventure picaresche tenendoci inchiodati alla sedia nella preoccupazione (adulta) per la loro incolumità, e allo stesso tempo convincendoci della loro insopprimibile capacità di sopravvivenza. I tre piccoli non-attori saltano dentro e fuori le inquadrature come cartoni animati (o come il ballerino Billy Elliot), e la cinepresa di Daldry (ma anche la cinematografia del direttore della fotografia brasiliano Adriano Goldman, sodale di Meirelles e veterano delle produzioni hollywoodiane) è abilissima nell'intercettarli in velocità, raccontandoceli per parti anatomiche: gambe e braccia di scattante magrezza, occhi sgranati, sorrisi strafottenti.
Il montaggio tiene dietro al ritmo incalzante della narrazione grazie anche all'accompagnamento musicale del compositore brasiliano Antonio Pinto, altra iniezione "etnica" all'operazione e altra eredità di City of God, ma anche di action movie hollywoodiani come Collateral e The Host. Daldry usa, come di consueto, la decostruzione temporale con numerosi flashback e flash forward, per stratificare la linea narrativa e aggiungere movimento alla storia. La sola scena iniziale riesce a concentrare più informazioni di mille lungaggini sceneggiate a tavolino. Anche il mix di tecniche cinematografiche, che segnala la presenza della tecnologia informatica ed elettronica anche nelle favelas di Rio, funziona bene come espediente drammaturgico, senza mai diventare vezzo registico.
Trash è un vero spasso e una festa per gli occhi, ma lascia lo spettatore occidentale con il disagio per aver contemplato come fonte di svago la miseria delle bidonville del Terzo Mondo e l'esistenza dei "bambini spazzatura" che, nella vita vera, vengono fermati da una pallottola se rischiano anche solo una delle bravate dei nostri tre piccoli eroi. Il modo migliore di godersi il film è quello di leggerlo come una favola, o come una parabola sul potere salvifico della fede (sarà un caso che due su tre dei giovani protagonisti portano il nome di un arcangelo?) in ciò che è giusto. Se poi sia giusto raccontare questa storia da ovest, invece che affidarla ad una narrazione autoctona, è la domanda che determinerà l'opinione sul film, una volta smaltito il rush di adrenalina.

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La scuola più bella del mondo

sab 6_12 ore 21,15
dom 7_12 ore 18,00 e 21,00
lun 8_12 ore 18,00 e 21,00

 GENERE: Commedia
ANNO: 2014
REGIA: Luca Miniero
SCENEGGIATURA: Daniela Gambaro, Massimo Gaudioso, Luca Miniero
ATTORI: Christian De Sica, Rocco Papaleo, Lello Arena, Miriam Leone, Angela Finocchiaro
FOTOGRAFIA: Federico Angelucci
MONTAGGIO: Giogiò Franchini
PAESE: Italia
DURATA: 98 Min






Trama
Christian De Sica è il preside puntiglioso di una scuola media toscana nella quale giunge in visita una classe di studenti napoletani accompagnati da un eccentrico professore (Rocco Papaleo). Non tutto però sembra corrispondere al programma. Perché quando la tecnologia inganna - in questo caso basta solo che Accra, in Ghana, diventi Acerra Napoli - si genera l'equivoco che porterà confusione e tanto scompiglio.

Recensione
Come era nelle intenzioni di Luca Miniero, il film effettivamente riduce all’osso le battute sui luoghi comuni tra nord e sud (o meglio, tra Toscana e Campania) e usa le differenze culturali come pretesto per raccontare una storia sull’insegnamento, sul rapporto tra professori e alunni delle medie e sul cronico stato di disagio infrastrutturale con cui spesso il meridione deve fare i conti. Partendo dall’invito per un gemellaggio spedito per sbaglio a un istituto di Acerra (Napoli) anziché a una scolaresca di Accra (Ghana), La scuola più bella del mondo è una gradevole gita in Val D’Orcia in compagnia due classi di attori, i ragazzini debuttanti toscani e napoletani e i ben noti veterani in ottimo stato di forma.
Quest’anno Christian De Sica passa la mano sulla commedia natalizia di produzione Filmauro e sceglie questo personaggio, un preside che adora la disciplina e crede nelle istituzioni. La sua competitività, per far della scuola toscana che dirige un modello sulle altre, si scontra con una vigliaccheria di fondo nella quale l’attore inserisce il repertorio interpretativo che ben conosciamo. Eppure, come già successo in altri ruoli passati, De Sica dimostra grande disinvoltura nel cambiare registro. Allo stesso modo, Rocco Papaleo si svincola dalle caricature di precedenti interpretazioni e rende oltremodo credibile il professore svogliato al quale dà anima e corpo. In lui si riconosce una metafora sul Sud Italia, le cui energie per risalire la china le possiede e sono più forti di qualunque stato di rassegnazione.
Oltre a una sceneggiatura equilibrata che schiva le ovvietà, scritta con Massimo Gaudioso e Daniela Gambaro, Luca Miniero può vantare due grandi meriti. La direzione degli attori con i frequenti ciak che fa loro ripetere, ha garantito credibilità ai personaggi e regalato brillanti interpretazioni. Non solo per quanto riguarda i sopracitati ruoli maschili e le brevi e meravigliose apparizioni di Lello Arena. Miriam Leone fa della sua giovane professoressa una graziosa mini macchietta e il poco mestiere dell’attrice (qui al secondo film) ha giovato al personaggio, ancora in cerca di sicurezza nel lavoro e nell’amore. Al contrario, con l’immensa esperienza che possiede, Angela Finocchiaro è riuscita a nascondere minore consistenza del suo personaggio rispetto agli altri. Decorosa è anche la fetta di film che i ragazzi conquistano con spirito e irruenza, grazie anche all’attore Massimo De Lorenzo che ne è stato l’acting coach.
L’altro merito del regista è l’inserimento delle sequenze animate. Con tratto minimalista, il fumetto è l’elemento che rincara l’originalità di questo film per famiglie. Le conversazioni tra Papaleo in versione cartone animato che conversa con Dio sottoforma di alieno anfibio sono ciò che resta maggiormente impresso a fine film, insieme alla sequenza dei peni disegnati sulla lavagna luminosa. Antonio Bracco

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Il mio amico Nanuk


sab 6_12 ore 18,00
dom 7_12 ore 15,00
lun 8_12 ore 15,00

sab 13_12 ore 18,00
dom 14_12 ore 15,00

 GENERE: Avventura, Family
ANNO: 2014
REGIA: Roger Spottiswoode, Brando Quilici
SCENEGGIATURA: Bart Gavigan, Hugh Hudson
ATTORI: Dakota Goyo, Goran Visnjic, Bridget Moynahan, Peter MacNeill, Linda Kash, Kendra Timmins, Michelle Thrush, Imajyn Cardinal, Nanuk
FOTOGRAFIA: Peter Wunstorf
MONTAGGIO: Pia Di Ciaula
MUSICHE: Lawrence Shragge
PAESE: USA
DURATA: 90 Min





Trama
l giovane Luke vive nella regione artica in cui nascono gli orsi polari. Il padre è morto annegato fra i ghiacci e la madre, che è una ricercatrice, cerca di proteggere lui e la sorella Abby da ogni pericolo. Un giorno un'orsa bianca si avvicina all'abitato della città di Devon e le forze dell'ordine, dopo averla narcotizzata, la trasportano presso il lontano Cape Resolute. Peccato che l'orsa avesse con sé un cucciolo che viene ritrovato a Devon proprio da Luke. Da quel momento il ragazzo farà il possibile per ricongiungere il piccolo, che ribattezzerà con il nome Nanuk (in lingua inuit significa "orso vagabondo"), con la sua mamma.


Recensione

"Questa è la storia di una grande amicizia", esordisce la voce fuori campo di Luke, ed è vero: Il mio amico Nanuk è innanzitutto il tenero resoconto minuto per minuto della straordinario rapporto di affetto e complicità che si crea fra il ragazzo e l'orsetto (ma anche fra l'interprete umano e quello animale). Vediamo Luke e Nanuk giocare, rotolarsi insieme, scambiarsi il cibo, e più volte è l'orsetto a venire in soccorso del ragazzo, non viceversa. Ma il film, nato da un soggetto di Brando Quilici, figlio di Folco, che è anche il regista delle meravigliose sequenze artiche del film (roba da National Geographic, per capirci) è anche altro: una parabola su come i giovani maschi, soprattutto se privi di una figura paterna, devono avventurarsi nel mondo uscendo da sotto l'ala protettiva delle madri, e di come le madri devono imparare a fidarsi dello spirito di avventura dei propri figli. Questo messaggio non va a scapito dell'importanza dell'educazione materna: infatti Luke cerca di riportare Nanuk alla sua mamma perché sa che sarà lei, per i primi due anni e mezzo, ad insegnarli tutto quello che gli servirà per sopravvivere.
Nel film c'è un altro personaggio maschile di grande interesse, la guida Muktuk, interpretata dall'attore croato Goran Visnjic. È lui, che vive in simbiosi con la natura e con gli indigeni che gli hanno regalato il suo soprannome, ad accompagnare da lontano Luke nel suo percorso di crescita, un percorso ispirato alla poesia Se di Rudyard Kipling.
La storia di Luke e Nanuk è raccontata in modo semplice, a portata di bambino, anche se le situazioni di pericolo in cui il ragazzo si ritrova (spesso per propria imprudenza) sono piuttosto ansiogene. Ma il viaggio iniziatico dei due amici in mezzo ai ghiacci ha un bel respiro narrativo, ci fa conoscere un mondo meraviglioso popolato da una nutrita fauna polare e una popolazione, quella eschimese, saggia e gentile. Il mio amico Nanuk è una favola ecologista che mostra amore e rispetto per la natura e incoraggia gli uomini, grandi e piccoli, a non avere paura, e a non arrendersi mai. Paola Casella 

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Lunch box


ven 5_12 ore 21.15

GENERE: Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2013
REGIA: Ritesh Batra
SCENEGGIATURA: Ritesh Batra
ATTORI: Irrfan Khan, Nimrat Kaur, Nawazuddin Siddiqui, Denzil Smith, Bharati Achrekar, Nakul Vaid, Yashvi Nagar, Lillete Dibey
FOTOGRAFIA: Michael Simmonds
PAESE: Germania, Francia, India
DURATA: 105 Min






Trama
Ila prepara tutti i giorni il pranzo al marito, lo impacchetta in una lunchbox e lo consegna a chi glielo porterà. Per un errore però il suo pacchetto comincia ad essere recapitato ad un'altra persona, Saajan. Visto che suo marito non si accorge di ricevere cibo preparato da un'altra donna e visto che ha cominciato a mandare biglietti dentro il pasto a Saajan (che risponde), Ila decide di continuare, scoprendo di più su un uomo che ha da tempo smesso di cercare qualcosa nella vita, e di converso scoprendo che forse è il momento anche per lei di cambiare qualcosa.

Recensione
È un prodotto del TorinoFilmLab questo film indiano che attenua le componenti più esagerate di quella cinematografia, apparendo così più digeribile anche agli spettatori internazionali. Lontano dall'India d'esportazione delle cartoline che possono piacere solo agli stranieri ma anche lontano dal sentimentalismo zuccheroso e dall'ingenuità della Bollywood di grande incasso, Lunchbox è una commedia sentimentale che quanto a serietà e rigore potrebbe gareggiare con quelle europee (per non dire le americane).
Nonostante il tono leggero e le risate, quasi sempre scatenate con recitazione e messa in scena e raramente attraverso battute o gag fisiche, nei due personaggi protagonisti e nel loro atteggiamento nei confronti dell'occasione che il caso offre loro esiste un'austerità penetrante che non abbandona anche dopo la fine del film, un peso violento e silenzioso che è quello di un'entita invisibile ma sempre presente come la società.
Schiacciando tutto e tutti su sfondi densi e colmi di persone (gli uffici, come le strade, come i mezzi pubblici o i ristoranti) l'esordiente Ritesh Batra dice molto più con le immagini di quanto non faccia con le parole. La disillusione di Saajan, rimasto senza l'amore della sua vita, è una caratterizzazione che abbiamo visto molte volte eppure Irrfan Khan (attore molto noto al pubblico occidentale per le apparizioni in film come Spider-man, Il treno per il Darjeeling, The milionaire e Vita di Pi) gli dà vita con una misura ed un'economia d'espressioni che sfondano in pochi gesti il muro dell'incredulità e si accoppiano perfettamente al colore grigio dei luoghi che abita.
Che non siamo di fronte a una commediola di poco conto è evidente da subito, che lo spunto dei lunchbox (tradizione forte in India, assente in occidente) sia solo un pretesto è chiaro immediatamente. Ila e Saajan, nello scriversi consumano più della nascita di un sentimento o di un risveglio personale, raccontano il loro paese rinunciando ai fatti e passando direttamente al sepolto, al non detto e a quel misterioso ambito del pensiero che si situa tra allusione e allusione.
Concepito come un film di pura scrittura (delle situazioni, dei personaggi ma soprattutto delle epistole), Lunchbox stupisce per la sua capacità di avere anche una dimensione visiva potente e ragionata, per quanto abbia le idee chiare sul mondo che intende riprendere e per come sia in grado di farlo. Gabriele Niola

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Torneranno i prati

sab 29_11 ore 21.15
dom 30_11 ore 18.00 e 21.00

 GENERE: Drammatico
ANNO: 2014
REGIA: Ermanno Olmi
SCENEGGIATURA: Ermanno Olmi
ATTORI: Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Francesco Formichetti, Andrea Di Maria, Camillo Grassi, Niccolò Senni, Domenico Benetti
FOTOGRAFIA: Fabio Olmi
PAESE: Italia
DURATA: 80 Min




Trama
In un avamposto d'alta quota, verso la fine della prima guerra mondiale, un gruppo di militari combatte a pochi metri di distanza dalla trincea austriaca, "così vicina che pare di udire il loro respiro". Intorno, solo neve e silenzio. Dentro, il freddo, la paura, la stanchezza, la rassegnazione. E gli ordini insensati che arrivano da qualche scrivania lontana, al caldo. Ordini telefonati che mandano i soldati a farsi impallinare come tordi.

Recensione
torneranno i prati, scritto tutto minuscolo come si conviene ad una storia minima e morale, non è un film d'azione e non ha nemmeno una trama nel senso canonico del termine, perché i pochi avvenimenti si consumano come la cera di una candela, dentro una quotidianità sporca e scoraggiata. Il film di Olmi è una ballata malinconica come la melodia alla fisarmonica che apre la narrazione, e triste come Il silenzio, le cui note sono incorporate nel tema finale composto e suonato alla tromba da Paolo Fresu. torneranno i prati è un film epidermico, che ci fa sentire il ruggito dei mortai in lontananza, il rosicchiare del trapano che scava una galleria nemica sotto la trincea, il gelo e la monotonia delle giornate segnate dal rancio e dalla consegna della posta, unica occasione in cui i nomi dei soldati vengono pronunciati, riconoscendoli come esseri umani invece che come semplici numeri. I militari, dal capitano alla recluta, restano attoniti davanti all'orrore dell'inganno in cui sono caduti per aver creduto nell'amor di patria e nel dovere del cittadino italiano. Alcuni guardano verso di noi e raccontano quell'orrore e quella solitudine, ricordandoci i magistrali sguardi in camera de Il mestiere delle armi. Anche questi soldati semplici sono testimoni della storia, una storia che si è consumata sulla loro pelle, e a loro insaputa.
La fotografia profondamente evocativa di Fabio Olmi, a suo agio nel gestire tanto le nebbie quanto il profilo nitido delle montagne, allinea quadri grigi in successione atemporale, sottolinea i colori dell'oro e del sangue; le scenografie di Giuseppe Pirrotta ricostruiscono con esattezza storica ed emotiva la miseria della trincea, fatta di pochi pezzi essenziali - la gavetta, la lampada ad olio - e i costumi di Andrea Cavalletto (con l'amichevole supervisione di Maurizio Millenotti) trasformano i soldati in fantasmi, ombre imbacuccate irriconoscibili a se stesse sotto pile di coperte che non bastano a cacciare il freddo dalle ossa. Ci vuole pudore per raccontare una guerra senza senso, come lo sono tutte le guerre. Ci vogliono lunghi silenzi, profondità di sguardo e di coscienza, per intonare un de profundis dedicato alla memoria dei tanti giovani (e meno giovani) morti in luoghi dove poi sarebbero ricresciuti i prati, cancellando la memoria del loro sacrificio. Un sacrificio di cui il regista si fa cantore, ritraendo i suoi soldati nel momento dell'estrema consapevolezza di essere andati a morire invano, in una guerra di posizione che si è rivelata una mera attesa del proprio destino finale.
In torneranno i prati c'è la lezione di Remarque e Rigoni Stern e Buzzati, nessuno citato perché tutti assorbiti nel sapere di Olmi, che crea un mondo da incubo i cui personaggi si rivolgono a noi dicendo: questo ero io, e lo ricordo proprio a te, sperando che tu sia custode della mia memoria, e che porti con te il mio messaggio. Perché "anche quelli che sono tornati indietro hanno portato dentro la morte che hanno conosciuto", e se il piccolo Ermanno ricorda i racconti del padre, cui ha dedicato questo film, il regista più che ottantenne teme che, come dice un soldato, "di quel che c'è stato qui non si vedrà più niente, e quello che abbiamo patito non sembrerà più vero".
torneranno i prati è un film perfettamente centrato nel cuore di tenebra di una trincea, e di una guerra, buia e allucinata, il nostro Apocalypse Now, cronaca di un conflitto supremamente inutile, e che la Storia vorrebbe dimenticare. Paola Casella

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I nostri ragazzi

ven 28_11 ore 21.15

GENERE: Drammatico
ANNO: 2014
REGIA: Ivano De Matteo
SCENEGGIATURA: Valentina Ferlan, Ivano De Matteo
ATTORI: Alessandro Gassman, Giovanna Mezzogiorno, Luigi Lo Cascio, Barbora Bobulova, Rosabell Laurenti Sellers, Jacopo Olmo Antinori
FOTOGRAFIA: Vittorio Omodei Zorini
MONTAGGIO: Marco Spoletini
PAESE: Italia




Trama
Due fratelli dai caratteri opposti (uno chirurgo pediatrico e l'altro avvocato) si incontrano a cena ogni mese in un ristorante stellato con le reciproche mogli che si detestano senza nasconderlo troppo. Il pediatra ha un figlio, Michele, e l'avvocato una figlia, Benedetta, nata da un precedente matrimonio. I due adolescenti si frequentano spesso. Una notte una telecamera di sicurezza riprende (senza che se ne possa ricostruire l'identità) l'aggressione a calci e pugni da parte di un ragazzo e di una ragazza nei confronti di una mendicante che finisce inizialmente in coma. Le immagini vengono messe in onda da "Chi l'ha visto?" e in breve tempo le due coppie acquisiscono la certezza che gli autori dell'atto delittuoso sono i reciproci figli. Che fare?

Recensione

Ivano De Matteo con La bella gente e Gli equilibristi aveva raccontato l'irrompere di un elemento che veniva da fuori in un nucleo familiare apparentemente ben assestato. Ora invece la sfida si fa ancora più complessa. Cosa accade se invece ciò che sconvolge assetti ormai consolidati irrompe dall'interno? La sequenza che apre il film appartiene all'ordinaria follia quotidiana che trova spazio nella cronaca o nei Tg specializzati in disgrazie, finendo col collocarsi non solo come elemento che attraversa il film (il chirurgo si occupa di una delle vittime) ma soprattutto come occasione di riflessione sullo scatenarsi di una violenza incontrollata mirante a risolvere in tempi brevi qualsiasi questione e a rimuovere letteralmente dalla faccia della Terra ciò che rischia di rappresentare un pericolo.
Lo spettatore viene però posto in una condizione di estraneità al fatto che gli viene consentito di giudicare nella sua dinamica assegnando torti e ragioni. È quanto accade dopo che invece l'accaduto costringe ognuno a porsi la domanda: io come mi comporterei? La totale amoralità dei due ragazzi ci può spaventare spingendoci quasi a rifiutarne le modalità di espressione. De Matteo ci chiede piuttosto di guardarla in faccia senza nascondere la testa sotto la sabbia. Perché è su questo piano che ai genitori viene chiesto di intervenire, senza prediche inutili ma anche senza cedimenti. A questo si intreccia l'ulteriore e fondamentale domanda: il degrado morale, l'assenza di punti fermi va imputata a una gioventù ormai lasciata in balia dei social network o ha le sue radici in un falso perbenismo incapace di reggere al maglio della realtà? I genitori di Michele e Benedetta non sono 'cattive persone', non possono neppure imputare alla società (visto il loro status) un degrado sociale a cui attribuire le proprie opzioni.
Dentro di loro alberga però (e ha messo radici) la convinzione di poter aggirare ogni ostacolo azzittendo qualsiasi sussulto di coscienza. Forse non in tutti e forse non nello stesso modo. De Matteo ci accompagna nell'osservazione delle loro reazioni suggerendoci pre-giudizi con i quali confrontarci.  Giancarlo Zappoli

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David Bowie is




mart 25_11 ore 18:00 e 21:00


Museum di Londra nel 2013 con uno straordinario record di pubblico (sono stati infatti oltre 311.000 i visitatori in pochissimi mesi), arriva al cinema la più incredibile mostra mai allestita per il più camaleontico artista del rock internazionale: DAVID BOWIE.

Girato tra le sale del Victoria and Albert Museum di Londra, David Bowie Is è un viaggio lungo 50 anni di carriera, innumerevoli trasformazioni e personaggi - dal Major Tom di “Space oddity” a “Ziggy Stardust”, dal Thin White Duke di “Station to Station” al diafano post-rocker di “Heroes” fino ai trionfi di “Let’s dance” e del più recente “The next day” - eccentrici costumi di scena e una colonna sonora composta di canzoni che hanno fatto la storia del rock. David Bowie Is è una mostra diventata leggenda che ora arriva nei cinema italiani solo il 25 e il 26 novembre per guidare gli spettatori tra i 300 oggetti esposti che includono filmati, fotografie, testi scritti a mano, storyboard per i video, bozzetti di costumi e scenografie... Un patrimonio di memorabilia legati al mondo di un uomo che è stato in grado di cambiare la nostra cultura, dalla musica alla moda, dalle performance al design.

Descritta da The Times come "elegante e oltraggiosa" e da The Guardian come "un trionfo", la mostra su Bowie è stata un successo clamoroso in patria dove i biglietti sono andati a ruba come mai nella storia del V & A Museum. E mentre continua a girare per il globo, la mostra parte ora anche in tour… nei cinema del mondo. Il film accompagna infatti il pubblico in un viaggio straordinario attraverso le sale dell’esposizione con ospiti molto speciali, tra cui il leggendario stilista giapponese Kansai Yamamoto e il front-man dei Pulp Jarvis Cocker, per esplorare le storie che si nascondono dietro ad alcuni dei più begli oggetti esposti. I curatori della mostra, Victoria Broackes e Geoffrey Marsh del Dipartimento di Teatro & Performance V & A -che propongono lungo il percorso i video musicali più memorabili e i rispettivi costumi originali, così come gli elementi più personali legati alla carriera e alla creatività dell’artista - hanno dichiarato: "Siamo felici che questa mostra straordinaria viaggi per il mondo, che le persone possano immergersi nel tour cinematografico dell’esposizione di Londra. Il film offre affascinanti dettagli sugli oggetti chiave del David Bowie Archive, commenti di ospiti speciali e naturalmente… una fantastica colonna sonora! ".

David Bowie is è stato girato e diretto da Hamish Hamilton, il regista Premio BAFTA degli Academy Awards e della Cerimonia di Apertura dei Giochi Olimpici di Londra 2012.
E’ distribuito nei cinema italiani da Nexo Digital in collaborazione con Radio DEEJAY e MYmovies.it.





Una folle passione


sab 22_11 ore 21.15
dom 23_11 ore 18.00 - 21.00


GENERE: Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2014
REGIA: Susanne Bier
SCENEGGIATURA: Christopher Kyle
ATTORI: Jennifer Lawrence, Bradley Cooper, Rhys Ifans, Toby Jones, Sean Harris, David Dencik, Kim Bodnia, Blake Ritson, Sam Reid, Ned Dennehy, Ana Ularu
PAESE: USA
DURATA: 109 Min





TramaCosa si arriva a fare per amore? Una folle passione, tratto dall’omonimo romanzo scritto da Ron Rash ed edito in Italia da Salani, racconta di un amore talmente forte da trasformarsi in follia, di un sentimento che diventa un’ossessione in grado di raggiungere i meandri più bui dell’animo umano. Ambientato sul finire degli Anni Venti sullo sfondo delle montagne del North Carolina, la pellicola vede protagonisti George (Cooper) e Serena (Lawrence) Pemberton, due giovani neosposi, bellissimi e innamoratissimi, che iniziano a lavorare per quello che diventerà presto un impero del legname. Serena è una giovane donna forte, passionale e senza paura: supervisiona i taglialegna, dà la caccia a serpenti a sonagli e salva addirittura la vita di un uomo in mezzo alla natura selvaggia. Forti del loro potere, dell’ascendente e del carisma che esercitano sugli altri, i Pemberton non permettono a nessuno di ostacolare il loro amore folle e le loro ambizioni. Quando Serena, però, scopre il passato segreto di George e si trova a fare i conti con il proprio ineluttabile destino, l’unione passionale dei Pemberton comincia a sgretolarsi, facendo presagire un drammatico epilogo. 

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La Trattativa

ven 21_11 ore 21.15


GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO: 2014
REGIA: Sabina Guzzanti
SCENEGGIATURA: Sabina Guzzanti
DISTRIBUZIONE: BIM
PAESE: Italia
DURATA: 108 Min
NOTE: Presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2014.






Trama
Di cosa si parla quando si parla di trattativa? Delle concessioni dello stato alla mafia in cambio della cessazione delle stragi? Di chi ha assassinato Falcone e Borsellino? Dell'eterna convivenza fra mafia e politica? Fra mafia e chiesa? Fra mafia e forze dell'ordine? O c'è anche dell'altro? Un gruppo di attori mette in scena gli episodi più rilevanti della vicenda nota come trattativa stato mafia, impersonando mafiosi, agenti dei servizi segreti, alti ufficiali, magistrati, vittime e assassini, massoni, persone oneste e coraggiose e persone coraggiose fino a un certo punto. Così una delle vicende più intricate della nostra storia diventa un racconto appassionante.

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Confusi e felici


sab 15_11 ore 21.15
dom 16_11 ore 18.00 - 21.00


 GENERE: Commedia
ANNO: 2014
REGIA: Massimiliano Bruno
ATTORI: Claudio Bisio, Marco Giallini, Anna Foglietta, Massimiliano Bruno, Paola Minaccioni, Caterina Guzzanti, Pietro Sermonti, Kelly Palacios
PAESE: Italia
DURATA: 105 Min






Trama
Anche gli psicanalisti possono cadere in depressione! Lo sa bene Marcello (Claudio Bisio), psicanalista cialtrone e cinico, che un giorno decide di chiudersi in casa e mollare tutto. Questo gesto "estremo" non viene accolto bene da Silvia (Anna Foglietta), segretaria di Marcello, che decide di radunare i suoi pazienti per cercare, tutti insieme, di farlo uscire dalla crisi. Un'idea bellissima se non fosse che, ad aiutare Silvia, ci saranno uno spacciatore affetto da attacchi di panico, Nazareno (Marco Giallini), un quarantenne mammome cronico, Pasquale (Massimiliano Bruno), una ninfomane decisamente invadente, Vitaliana (Paola Minaccioni), una coppia in crisi sessuale, Enrico e Betta (Pietro Sermonti e Caterina Guzzanti) e Michelangelo, telecronista in crisi per il tradimento della moglie. Strampalati ma affettuosi e divertenti, i pazienti di Marcello cercheranno in ogni modo di tirargli su il morale riuscendo a farlo aprire alla vita per diventare una persona migliore.  

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Anime nere


ven 14_11 ore 21.15

GENERE: Drammatico
ANNO: 2014
REGIA: Francesco Munzi
SCENEGGIATURA: Francesco Munzi, Maurizio Braucci, Fabrizio Ruggirello
ATTORI: Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Anna Ferruzzo, Fabrizio Ferracane, Barbora Bobulova
PAESE: Francia, Italia
DURATA: 103 Min




Trama
Storia di una famiglia criminale vista dall'interno, negli aspetti più emotivi e contraddittori, che si spingono fino agli archetipi della tragedia greca. In una dimensione sospesa tra l'arcaico e il moderno, si svolge il racconto di tre fratelli che, dal Sudamerica e dalla Milano della finanza, sono costretti a tornare nel paese natale sulle vette selvagge della Calabria per affrontare i nodi irrisolti del passato.

Recensione
Un viaggio nel cuore nero della 'ndrangheta. Ma ancora di più, un viaggio nel cuore (nero, certo, ma dolente e doloroso) dell'animo umano: come da titolo. Un viaggio che parte da Amsterdam, passa da Milano e approda ad Africo, Aspromonte, epicentro della criminalità organizzata calabrese. Un viaggio che, con intuizione felice e portata avanti con determinazione, parte dal generale per arrivare a quel particolare che fa inevitabilmente rima con universale. Negli anni che seguono l'affresco complesso e vagamente barocco di Gomorra e delle sue tante derivazioni (tanto interne quanto esterne), Francesco Munzi sceglie una strada diversa, e compone una sinfonia tragica che lentamente e inesorabilmente si destruttura: suonata con una tonalità in minore, appoggiata sulla forza viscerale e ancestrale dei bassi morali e musicali, sulle ombre che si allungano in una fotografia sempre più plumbea, sulle lucide architetture metropolitane che lasciano il passo alla rovina, alla fatiscenza, all'archeologia dell'archetipo.
Anime nere non è una storia di 'ndrangheta. Non è un romanzo criminale, ma un dramma familiare prima e umano poi. Non vuole fare sociologia della contemporaneità, ma privilegia un approccio antropologico che ci porta in una storia senza tempo né luogo se non quelli tragici e perenni della natura umana. Tre fratelli, tre visioni della vita, del crimine, della morte. Tre personaggi uniti solo dal sangue, e che solo il sangue, nella maniera più triste e cruenta, può separare. Tre mondi che fanno e faranno sempre parte dello stesso universo, un universo che è il nostro e sempre lo sarà.
Certo, la superficie, il territorio, il campo di battaglia sono quelli del noir puro, tanto più riconoscibile globalmente quanto più legato allo specifico delle questioni italiane, delle faide e di una cultura antica sembra impossibile da sradicare. Ma da quel territorio e quella cultura, Munzi non si fa dominare o indirizzare: modella il primo per renderlo funzionale alle esigenze del cinema e del racconto, tratta la seconda con un rispetto scevro da ansie giudicanti, mai connivente né ammiccante. E così facendo, permette al noir di farsi progressivamente tragedia.
Costante rimane, invece, la voglia del regista di utilizzare un registro costantemente e felicemente imploso, arricchito dal coraggio di guardare di lato, di allargare lo sguardo, o viceversa di fissarlo è più scomodo o inaspettato. In questo modo, Anime nere diviene un film dove la tensione (sua e spettatoriale) nasce non solo dalla percezione dell'imminenza dello sparo o della morte, ma dalla scomodità di sentir vibrare dentro corde profonde, con il confronto con un mondo senza eroi, senza regole, senza speranze.
L'implosione allora monta, genera energie ed entropie spaventose, e - in un finale che giunge cupo, logico ma inaspettato - dà origine al suo inevitabile buco nero, nel quale cadono le vite di chi Anime nere l'ha dolorosamente e scomodamente popolato. Nel quale sprofonda uno sguardo che, finito il film, si ritrova a contemplare irrequieto e timoroso l'abisso oscuro e tragico della propria umanità.

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The Judge


sab 08_11 ore 21.15
dom 09_11 ore 18.00 - 21.00


 GENERE: Drammatico
ANNO: 2014
REGIA: David Dobkin
SCENEGGIATURA: Nick Schenk, David Seidler, Bill Dubuque
ATTORI: Robert Downey Jr., Robert Duvall, Leighton Meester, Billy Bob Thornton, David Krumholtz, Vera Farmiga, Melissa Leo, Vincent D'Onofrio, Sarah Lancaster, Dax Shepard, Balthazar Getty, Emma Tremblay, Jeremy Strong, Grace Zabriskie, Ian Nelson, Ken Howard
FOTOGRAFIA: Janusz Kaminski
MONTAGGIO: Mark Livolsi
PAESE: USA
DURATA: 141 M





Trama
Uno spregiudicato avvocato di successo, il cui matrimonio è in crisi, torna nell’idilliaca cittadina dell’Indiana in cui è nato, in occasione dell’improvvisa morte della madre. Lì ritrova i suoi fratelli e soprattutto il padre, il Giudice, con cui ha chiuso i rapporti da tempo e scopre un uomo gravemente malato, che il giorno dopo il funerale della moglie viene accusato di aver investito volontariamente un criminale del posto.

Recensione
C’è una Hollywood di grandi nomi che ha nostalgia per il buon vecchio cinema di una volta, quello dai ritmi dilatati, incentrato su personaggi forti che vivono le loro drammatiche avventure in cittadine alla Norman Rockwell. Uno di questi nostalgici è sicuramente Robert Downey Jr. che, in veste di produttore, sceglie di supportare una storia nata dalla vicenda personale del regista David Dobkin e in seguito rimaneggiata da uno sceneggiatore professionista che vi aggiunge un aspetto da procedural thriller sicuramente assente in origine.
The Judge rientra infatti a pieno diritto nel classico filone hollywoodiano delle storie di famiglie disfunzionali che si ritrovano in occasione di festività o di eventi drammatici, e dove genitori e figli hanno – almeno al cinema – una seconda possibilità per superare le proprie annose incomprensioni. E’ sicuramente questo l’aspetto migliore di una pellicola i cui momenti più coinvolgenti risiedono nel duello tra due personalità attoriali che non potrebbero essere più distanti: il grande caratterista Robert Duvall, che ha regalato al cinema decine di interpretazioni memorabili fin dal suo debutto in Il buio oltre la siepe, operando per sottrazione lavorando di cesello anche su ruoli dichiaratamente sopra le righe (uno per tutti: il Kilgore di Apocalypse Now) domina il “figlio” Robert Downey Jr. che dell’estroversione e della verbosità ha fatto il segno distintivo dei suoi personaggi.
In questo senso il casting del film è perfetto e il confronto tra il padre - giudice integerrimo che non ammette di aver sbagliato - e il figlio - diventato un vincente per fargli dispetto - si trasforma in quello tra due generazioni e due stili di recitazione, rendendo più credibile il conflitto tra i due sullo schermo.
Per il resto, Dobkin non rinuncia a nessuno dei cliché del genere, intervallandoli con scene tipiche del courtroom drama sulla cui plausibilità giuridica non siamo in grado di esprimerci. Ci sono momenti di grande intensità emotiva che non mancheranno di commuovere chi ha genitori anziani e assiste impotente alla loro decadenza fisica: davvero insolita, nel cinema americano, la realistica scena nel bagno, risolta in modo esemplare senza distogliere lo sguardo dall'umiliante crudeltà della malattia che sgretola quelli che per noi figli sono sempre stati baluardi indistruttibili.
Robert Downey Jr., che ci fa piacere ritrovare finalmente in un ruolo recitato e non solo agito, attrae col suo carisma e la stima di cui gode un cast di grande spessore: la nostra menzione d'onore va agli interpreti dei fratelli: l'indimenticato “Palla di lardo” Vincent D’Onofrio, bravissimo nel non facile ruolo del maggiore e  Jeremy Strong in quello del minore.Gli amanti delle serie tv apprezzeranno la presenza di Grace Zabriskie (Twin Peaks) e Denis O'Hare (American Horror Story), mentre ci sono apparsi un po' marginali i personaggi di quei due straordinari attori che sono Vera Farmiga e - soprattutto Billy Bob Thornton .Ma di questi tempi, ce ne rendiamo conto, farlo notare è quasi come lamentarsi per aver mangiato troppo.  Daniela Catelli

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Jimi - All Is By My Side

ven 7_11 ore 21:00


GENERE: Biografico, Drammatico, Musicale
ANNO: 2013
REGIA: John Ridley
SCENEGGIATURA: John Ridley
ATTORI: André Benjamin, Imogen Poots, Hayley Atwell, Burn Gorman, Ashley Charles
PAESE: Gran Bretagna, Irlanda, USA
DURATA: 118 Min








Importa poco, in fondo, che il Jimi Hendrix raccontato da questo film sia più o meno aderente a quello realmente vissuto, morto a 27 anni come troppi suoi colleghi. Poco importa se il mondo che lo circonda, i vari personaggi che incrociano la strada del giovane chitarrista e che vengono presentati con l'etichetta di una facile riconoscibilità, siano stati ritratti secondo i criteri di una Verità storica, utopica e assoluta.
Perché Jimi: All Is by My Side è un film che comincia come un trip, quello stesso trip che l'Hendrix di un sorprendente André Benjamin affronta per la prima volta con Linda Keith all'inizio del film, guardandosi poi allo specchio - sebbene avvisato di non farlo - e scoprendo un volto e un ritratto altro: quello, appunto del film di John Ridley.Luci e ombre, esaltazioni e introversioni incontri e scontri si alternano in un biopic tanto più riuscito quanto più ha scelto di abdicare la sua missione, di rinnegare il Vero e l'interezza del ritratto a favore della frantumazione di un'icona e di una storia utile a cogliere quello di più profondo e astratto gli si nascondeva dietro.
Per il Jimi di Ridley, la musica era tutto, era questione di colori, e tutto era questione di colori e di sensazioni da trasmettere con una ricerca libera e interiore che rinnegava necessariamente ogni dogmantismo musicale, razziale, politico: e se con quella libertà nomadica e oggi quasi impensabile Hendrix attraversava la vita e la musica, allo stesso modo Ridley tenta di raccontarlo nel corso di un anno cruciale perché ricco di transiti e costitutivo.
Quest'anno viene scagliato al suolo, frantumato e ricostruito con una cronologicità mai ossessiva, lasciando che ogni frammento, ogni scheggia, abbia la sua personale inclinazione e non debba combaciare alla perfezione con quello che lo segue, di modo tale che lo sguardo che vi si appoggia e vi (si) riflette sopra ricostruisca così un affresco coerente ma al tempo stesso caleidoscopico, financo psichedelico del grande musicista.

L'Hendrix che emerge da Jimi: All Is by My Side non è utile o funzionale alla celebrazione di un mito, o alla rivisitazione pedissequa di una fase della sua vita, ma che coglie e restituisce quella carica energica di libertà creativa e ideologica che ha caratterizzato non solo il musicista ma tutta una fase della Storia del Ventesimo secolo; e che, proprio perché non inutilmente e acriticamente glorificata, riesce a far pesare ancora di più la sua assenza in una contemporaneità che nelle sue complessità e nelle sue transizioni avrebbe enorme bisogno di ripensarsi in quel modo.
La famosa cover hendrixiana di "Sgt.Pepper", e lo sprito della sua genesi, si specchiano allora in quelli di un personaggio e di un'epoca fatti da Ridley con il suo film, e viceversa, in attesa che qualcosa o qualcuno, oggi, si liberasse da cricche e legacci per effettuare allo stesso modo una cover dell'oggi che diventi nuovo standard. Federico Gironi

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Alle ore 21.00, prima del film, c'è l'iniziativa musicale di Mr. Baker, Andy Groove and Frankie Pawn Shop American Ciacoe: una passeggiata attraverso il continente nordamericano, inteso come letteratura musica storia usi e costumi. Da non perdere.

Il giovane favoloso


sab 01_11 ore 21.15
dom 02_10 ore 18.00 - 21.00


GENERE: Biografico, Drammatico, Storico
ANNO: 2014
REGIA: Mario Martone
SCENEGGIATURA: Mario Martone
ATTORI: Elio Germano, Isabella Ragonese, Michele Riondino, Massimo Popolizio, Edoardo Natoli, Anna Mouglalis, Valerio Binasco, Paolo Graziosi
PAESE: Italia
DURATA: 137 Min






Trama

Il giovane favoloso inizia con la visione di tre bambini che giocano dietro una siepe, nel giardino di una casa austera. Sono i fratelli Leopardi, e la siepe è una di quelle oltre le quali Giacomo cercherà di gettare lo sguardo, trattenuto nel suo anelito di vita e di poesia da un padre severo e convinto che il destino dei figli fosse quello di dedicarsi allo "studio matto e disperatissimo" nella biblioteca di famiglia, senza mai confrontarsi con il mondo esterno.
Mario Martone comincia a raccontare il "suo" Leopardi proprio dalla giovinezza a Recanati, seguendo Giacomo nella ricerca costantemente osteggiata da Monaldo e da una madre bigotta e anaffettiva delineata in poche pennellate, lasciandoci intuire che sia stata altrettanto, e forse più, castrante del padre: sarà lei, più avanti, a prestare il volto a quella Natura ostile cui il poeta si rivolgerà per tutta la vita con profondo rancore e con la disperazione del figlio eternamente abbandonato.

Recensione
La prima ora de Il giovane favoloso, dedicata interamente a Recanati, è chiaramente reminescente dell'Amadeus di Milos Forman, così come il rapporto fra Giacomo e Monaldo rimanda a quello fra Mozart e suo padre. Ma non c'è margine per lo sberleffo nell'adolescenza di Leopardi, incastonato nei corridoi della casa paterna e in quella libreria contemporaneamente accessibile e proibita. In queste prime scene prende il via il contrappunto musicale che è uno degli elementi più interessanti della narrazione filmica de Il giovane favoloso, e che accosta Rossini alla musica elettronica del tedesco Sasha Ring (alias Apparat)e al brano Outer del canadese Doug Van Nort.
Attraverso un salto temporale, ritroviamo Leopardi a Firenze, dove avvengono gli incontri con l'amata Fanny e con l'amico Antonio Ranieri, entrambi fondamentali nel costruire la geografia emotiva del poeta. È del periodo fiorentino anche il confronto con la società intellettuale dell'epoca, che invece di cogliere la capacità visionaria di Leopardi in termini di grandezza artistica ne intuiscono la pericolosità in termini "politici", in quanto potenziale sabotatrice di quelle "magnifiche sorti e progressive" che il secolo cominciava a decantare.
L'atto conclusivo, dopo una breve sosta a Roma, si svolge a Napoli, città per cui Martone prova un trasporto emotivo evidente nel rinnovato vigore delle immagini (ma il segmento potrebbe estendersi meno a lungo, nell'economia della narrazione). Alle pendici del Vesuvio si concluderà la parentesi di vita di Leopardi, strappandogli l'ultimo grido di disperazione con la poesia La ginestra, summa del suo pensiero esistenziale.
Martone racconta un Leopardi vulnerabile e struggente, dalla salute cagionevole e l'animo fragile, ma dalla grande lucidità intellettuale e l'infinita ironia. Elio Germano "triangola" brillantemente con le sensibilità di Leopardi e di Martone, prestando voce e corpo, sul quale si calcifica l'avventura umana e intellettuale del poeta, alla creazione di un personaggio che abbandona la dimensione letteraria, e la valenza di icona della cultura nazionale, per abbracciare a tutto tondo quella umana. La riscoperta dell'ironia leopardiana, intuibile nei suoi poemi, ben visibile nei suoi carteggi, è una potente chiave di rilettura moderna del poeta. "La mia patria è l'Italia, la sua lingua e letteratura", dice il giovane Giacomo. E Martone ci ricorda che nella lingua e letteratura di Leopardi si ritrovano le radici dell'Italia di oggi.
In questo modo Leopardi esce dai sussidiari ed entra nella contemporaneità, continuando quella missione divulgativa che il regista napoletano ha cominciato ad intraprendere con Noi credevamo. Martone fa parlare i suoi protagonisti in un italiano oggi obsoleto ma filologicamente rigoroso, e fa recitare in toto a Leopardi le sue poesie più memorabili, strappandole alle pareti scolastiche e ai polverosi programmi liceali. Germano interpreta quei versi senza declamarli, reintegrandoli nel contesto umano e storico in cui stati concepiti, e restituendo loro l'emozione della scoperta, per il poeta nel momento in cui le ha scritte, e per noi nel momento in cui le (ri)ascoltiamo. Nelle sue parole torna, straziante, la malinconia "che ci lima e ci divora", nei suoi dilemmi esistenziali ritroviamo i nostri.
Martone recupera anche la dimensione affettiva di Leopardi, raccontandolo con immensa tenerezza, e senza mai indulgere nella pietà per i tormenti fisici del poeta, che orgogliosamente rivendica la propria autonomia di pensiero intimando: "Non attribuite al mio stato quello che si deve al mio intelletto". E ne sottolinea la valenza politica, facendo dire al poeta: "Il mio cervello non concepisce masse felici fatte di individui infelici". Infine identifica nel poeta un precursore del Novecento nel collocare il dubbio al centro della conoscenza: "Chi dubita sa, e sa più che si possa". Quel che emerge sopra a tutto è una profonda affinità elettiva fra Martone e Leopardi, un allineamento di anime e di sensibilità artistiche: attraverso il poeta, il regista racconta quella condizione umana "non migliorabile", a lui ben nota e non "sempre cara", di sentirsi straniero ovunque e in ogni tempo. Il Leopardi di Martone si ricollega idealmente al Renato Caccioppoli di Morte di un matematico napoletano in quell'impossibilità per alcuni di essere nel mondo, oltre che del mondo.
Il giovane favoloso è un film erudito sulla sensibilità postmoderna che ha collocato Leopardi fuori del suo tempo, origine della sua immortalità e causa della sua umana dannazione. Martone costruisce una grammatica filmica fatta di scansioni teatrali, citazioni letterarie e immagini evocative ai limiti del delirio, come sanno esserlo le parole della poesia leopardiana. All'interno di una costruzione classica si permette intuizioni d'autore, come l'urlo silenzioso di Giacomo davanti alle intimidazioni del padre e dello zio, o le visioni del poeta nella parte finale della vita. Il giovane favoloso "centra" in pieno la parabola di un artista che sapeva guardare oltre il confine "che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude". E ci invita a riconoscerci nel suo desiderio di infinito. Paola Casella

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We are the best

ven 31_10 ore 21.15

GENERE: Drammatico
ANNO: 2013
REGIA: Lukas Moodysson
SCENEGGIATURA: Lukas Moodysson
ATTORI: David Dencik, Mira Barkhammar, Mira Grosin, Liv LeMoyne
FOTOGRAFIA: Ulf Brantas
MONTAGGIO: Michal Leszczylowski
PAESE: Svezia
DURATA: 102 Min









Trama
Stoccolma, 1982. Bobo, tredici anni, affronta con una certa intraprendenza la propria adolescenza inquieta. La sua amica del cuore è la coetanea Klara, con la quale condivide una fiera marginalità rispetto agli altri compagni di scuola. Bobo suona il basso e Klara la batteria, amano il punk, vorrebbero una band tutta loro. La svolta avviene quando conoscono Hedvig, bravissima a suonare la chitarra (classica). La convertono al rock e a tagliarsi i capelli suscitando l’ira della madre e finalmente, suonano. Il loro motto è: “Il punk non è mai morto”. Sono inseparabili, finché incontrano un ragazzo già affermato nell’emergente giro “rockettaro” della città, e del quale si invaghiscono sia Bobo che Klara.

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Tutto può cambiare


sab 25_10 ore 21.15
dom 26_10 ore 18.00 - 21.00


 GENERE: Commedia, Drammatico, Musicale
ANNO: 2014
REGIA: John Carney
SCENEGGIATURA: John Carney
ATTORI: Keira Knightley, Mark Ruffalo, Hailee Steinfeld, Catherine Keener, Adam Levine, Mos Def, James Corden
FOTOGRAFIA: Yaron Orbach
MUSICHE: Gregg Alexander
PAESE: USA
DURATA: 104 Min





Trama
Dan Mulligan, produttore musicale in caduta libera, con una figlia adolescente, un matrimonio fallito alle spalle e il vizio della bottiglia, incontra Gretta, una cantautrice inglese in panne sulla banchina della metropolitana. Arrivata a New York col fidanzato quasi celebre e la promessa di una vita da spendere insieme, Gretta perde in un baleno ragazzo e sogni. Autrice di ballate sentimentali, una sera si esibisce suo malgrado in un locale dell'East Village frequentato da Dan. Ubriaco di sventura ma avvinto dalla sua musica, Dan le propone di lavorare insieme per riprendersi il loro posto nel mondo.

Recensione

Sei anni dopo Once, un mélo-musicale ambientato a Dublino, John Carney attraversa l'oceano e compone un nuovo refrain, una creazione musicale e un processo di creazione musicale che canta l'amore ed esalta il potere trasformativo dell'arte. Romantico e spassoso, Tutto può cambiare non è assimilabile comunque alla commedia sentimentale, che lambisce senza mai consumare veramente. Il nuovo film di Carney è piuttosto una ballata, un componimento pop(olare) costruito intorno a distinti attimi di felicità e affidato alla citazione viva: promenade e evasioni urbane guidate dalla musica. La linea dei grattacieli di New York (ri)trova una celebrazione e fornisce un incipit a una storia che ripaga i protagonisti dei molti affanni ma non prelude a una relazione sentimentale. Perché, alla maniera di Once, Tutto può cambiare non esplicita il sentimento, lasciando che la dialettica amorosa scorra dentro le canzoni eseguite nei vicoli, nei parchi, sulle strade e nella dismisura scenografica di New York. Città isola e unico luogo pensabile in cui realizzare il proprio sogno e magari aiutare un amico a realizzare il suo.
Tutto può cambiare si muove intorno al doppio jack di Mark, cavo e oggetto del cuore allacciato allo specchio interno della sua Jaguar vintage, che collega due cuffie a un medesimo lettore e compendia la poetica di John Carney. Un'idea di cinema che accorda le persone attraverso la musica. Pericolosamente in bilico dentro una metropoli sfruttata dal turismo sentimentale, il regista irlandese, ex batterista dei The Frames (band indie irlandese), si mantiene al di qua del limite, dissimulando i cliché, trasformando New York in uno studio di registrazione en plein air e realizzando una demo che ci viene personalmente recapitata. Come Dan spiega a Gretta, è la musica a rendere ogni passaggio della vita irrinunciabile, a cambiarla di segno proprio come fa con la commedia di Carney, definendo l'armonia della sua tessitura e sollevandola da un esito altrimenti convenzionale.
Davanti a Keira Knightley, mono-tona al microfono e disarmonica nei piani, si impone Mark Ruffalo, sfrontato, incolto e obliquo sopra il divano o dietro a un basso, che graffia usurpando il trono di Adam Levine, leader dei Maroon 5 parcheggiato letteralmente in panchina. È indiscutibilmente Mark a conquistare la scena e a riempirla col suo humor caldo e la perfetta padronanza dei tempi, che dispiegano un talento limpido e la limpida epifania di un attore troppo a lungo trascurato.  Marzia Gandolfi


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Mud


ven 24_10 ore 21.15

GENERE: Drammatico
ANNO: 2012
REGIA: Jeff Nichols
SCENEGGIATURA: Jeff Nichols
ATTORI: Matthew McConaughey, Reese Witherspoon, Michael Shannon, Sam Shepard, Sarah Paulson, Ray McKinnon, Joe Don Baker, Tye Sheridan
MUSICHE: David Perkins
PAESE: USA
DURATA: 130 Min





Trama
Ellis (Tye Sheridan) un ragazzino quattordicenne che, in giro con l'amico Neckbone (Jacob Lofland), incontra casualmente, in un piccolo isolotto sul Mississippi, Mud (Matthew McConaughey), un fuggitivo con un serpente tatuato sul braccio e una pistola sempre pronta all'uso. Nonostante sulla testa di Mud pendano una taglia che fa gola a tanti e un mandato di cattura che motiva le forze dell'ordine a spingersi anche oltre la legge, Ellis si aggrappa a lui nel disperato tentativo di rifuggire le tensioni quotidiane della sua famiglia. Colpiti dalle storia che Mud racconta loro, Ellis e Neckbone si impegnano con tutte le loro forze ad aiutarlo a rimettere in sesto una barca che gli permetta di lasciare l'isoletta sano e salvo. Tuttavia, per i due ragazzini è difficile discernere la realtà dalla versione dei fatti raccontata da Mud e presto molte domande cominciano ad affiorare nelle loro menti: Mud è davvero inseguito per aver ucciso un uomo? E, soprattutto, chi è quella misteriosa ragazza che nel frattempo è arrivata nella loro piccola città? comingsoon.it

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Perez

sab 18_10 ore 21.15
dom 19_10 ore 18.00 - 21.00


GENERE: Drammatico
ANNO: 2014
REGIA: Edoardo De Angelis
SCENEGGIATURA: Edoardo De Angelis, Filippo Gravino
ATTORI: Luca Zingaretti, Marco D'Amore, Simona Tabasco, Gianpaolo Fabrizio, Massimiliano Gallo
FOTOGRAFIA: Ferran Paredes
PAESE: Italia
DURATA: 94 Min






Trama

Demetrio Perez è un avvocato d'ufficio che difende i delinquenti, i dimenticati, i perdenti. La sua carriera è sfumata con il suo matrimonio, di cui Tea, la figlia, è l'unico bagliore. Rassegnato e inerte, si trascina nella vita, lasciando che siano gli altri a scegliere per lui. In un giorno come tanti a Napoli assiste Luca Buglione, capo camorrista che ha deciso di collaborare con la Giustizia ma alle sue regole. Determinato a recuperare una partita di preziosi diamanti nascosti nella pancia di un toro, Buglione propone a Perez uno scambio. Se l'avvocato lo aiuterà nell'impresa, lui troverà modo e occasione per incastrare Francesco Corvino, giovane camorrista rivale che ha una relazione con Tea. L'amore per la figlia lo esorterà finalmente all'azione, cambiando il suo destino di ignavo.

Recensione
Opera seconda di Edoardo De Angelis, Perez. bussa alla porta come la polizia e rovescia l'ideologia tranquillizzante del cinema italiano. Due almeno i motivi di interesse nel noir sceneggiato e diretto dal regista napoletano. Il primo è di ordine tematico. Perez ci mostra la difficoltà di riscatto di chi è caduto una volta nella vita e, per quanto resista, è destinato a cadere ancora più giù. Tuttavia la caduta viene affrontata in una prospettiva rovesciata, il punto di vista di un avvocato minacciato dalla violenza del mondo a cui appartiene e della società criminale che lo assedia. Il secondo argomento riguarda la fotografia. Il film è ambientato quasi interamente di notte e dentro giorni senza sole, proiezioni dell'angoscia interiore del protagonista. La città fuori è un enorme ingranaggio, un gigantesco organismo insieme vitale e oppressivo, che domina l'esistenza di Perez e circonda il suo tentativo di serrarsi in una tranquilla dimensione domestica.
Ambientato nel Centro Direzionale di Napoli, un aggregato di grattacieli progettato dall'architetto giapponese Kenzo Tange, Perez. è abitato da un personaggio braccato da entrambi i lati della legge, da una parte i camorristi, che arriveranno addirittura a installarsi a casa sua sequestrandolo con la figlia, dall'altra i giudici e i poliziotti nevrotici che lo sospettano e lambiscono la sua facciata borghese. L'ambiguo tormento dell'avvocato Perez, al tempo stesso eccitato e disgustato dai cattivissimi della storia, è incarnato da Luca Zingaretti, credibile nel ruolo di genitore timido e inibito che regia e sceneggiatura spingeranno verso il punto di massima intensità, là dove ogni rapporto si fa oscuro e tortuoso. A sfidarlo dall'altra parte della legge il camorrista navigato di Massimiliano Gallo, dal volto duro e la strisciante inafferrabilità, e quello imprudente di Marco D'Amore, con il viso d'angelo e il destino segnato. Tra di loro, sorpreso e inquadrato di spalle, sopravvive il protagonista di Zingaretti, che prova a tirarsi fuori dal suo fallimento personale e dalla sua disperata solitudine. Solitudine riflessa nella vita trascinata di Ignazio Merolla, collega arreso e amico caduto.
Lo sguardo di De Angelis si pone nel mezzo dell'azione e gli interpreti avanzano fino ai primissimi piani, rivelando le loro pulsioni più oscure. Nero, freddo e lucente, Perez. relaziona straordinariamente il personaggio con l'ambiente, di cui l'imponente nettezza volumetrica, quasi astratta, interpreta l'identità smarrita e problematica. Il Centro Direzionale, costruito sulla foce del Sebeto, fiume misterioso e sotterraneo che spinge dal basso per riemergere e tornare al mare, è la nuova terra di nessuno dell'alienazione dove Perez si giocherà a dadi la vita, determinandone la svolta.
Nell'intimità delle camere o di un abitacolo, si rivela invece la dark lady di Simona Tabasco, tentatrice che seduce il camorrista, condannandolo poi alla rovina. Tentatrice ma pure woman in distress, Tea Perez è la donna da salvare e insieme colei che salverà l'uomo della vita, il primo nella sua personale classifica degli affetti, suo padre, che per lei smetterà di essere usato dall'universo di potere di cui fa parte. Marzia Gandolfi

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La ricostruzione


ven 17_10 ore 21.15

GENERE: Drammatico
ANNO: 2013
REGIA: Juan Taratuto
SCENEGGIATURA: Juan Taratuto
ATTORI: Diego Peretti, Claudia Fontan, Alfredo Casero, Maria Casali, Eugenia Aguilar
FOTOGRAFIA: Nico Hardy
MONTAGGIO: Pablo Barbieri Carrera
MUSICHE: Iván Wyszogrod
PAESE: Argentina
DURATA: 93 Min





Trama
Eduardo vive in Argentina, in Patagonia. Non ha ancora compiuto cinquant'anni, ma non vuole più contatti con gli altri esseri umani. Ha perso la donna che amava e con lei anche l'interesse per la vita. Una chiamata però cambierà la sua esistenza, il suo ex miglior amico deve operarsi al cuore. Lui dovrà prendersi cura della sua famiglia e del suo negozio finché il suo amico non ritornerà a casa. Sarà un duro banco di prova per Eduardo che lo metterà di fronte ai suoi demoni del passato.

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Un ragazzo d'oro

sab 11_10 ore 21.15
dom 12_10 ore 18.00 - 21.00



GENERE: Drammatico
ANNO: 2014
REGIA: Pupi Avati
SCENEGGIATURA: Pupi Avati, Tommaso Avati
ATTORI: Sharon Stone, Riccardo Scamarcio, Cristiana Capotondi, Giovanna Ralli, Guia Zapponi, Viola Graziosi, Tiziana Buldini, Christian Stelluti
PAESE: Italia
DURATA: 102 Min






Trama
La storia è quella di Davide Bias (Riccardo Scamarcio) un creativo pubblicitario col sogno di scrivere qualcosa di bello, di vero. Convive quotidianamente con ansia e insoddisfazione: per tenerle a bada, solo le pillole. Neanche la fidanzata Silvia (Cristiana Capotondi) sa come sollevarlo dalle sue insicurezze. Quando il padre, uno sceneggiatore di film di serie B, improvvisamente muore, da Milano il giovane si trasferisce a Roma dove incontra la bellissima Ludovica (Sharon Stone), un’editrice interessata a pubblicare un libro autobiografico che il papà di Davide aveva intenzione di scrivere....

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Grand Budapest Hotel

ven 10_10 ore 21.15


GENERE: Commedia
ANNO: 2014
REGIA: Wes Anderson
SCENEGGIATURA: Wes Anderson
ATTORI: Ralph Fiennes, Bill Murray, Saoirse Ronan, Tony Revolori, Jude Law, Owen Wilson, Tilda Swinton, Willem Dafoe, F. Murray Abraham, Adrien Brody, Léa Seydoux, Edward Norton, Harvey Keitel, Tom Wilkinson, Bob Balaban, Florian Lukas, Mathieu Amalric, Jeff Goldblum, Jason Schwartzman
PAESE: USA
DURATA: 99 Min




Trama
Monsieur Gustave è il concierge ma di fatto il direttore del Grand Budapest Hotel collocato nell'immaginaria Zubrowka. Gode soprattutto della confidenza (e anche di qualcosa di più) delle signore attempate. Una di queste, Madame D., gli affida un prezioso quadro. In seguito alla sua morte il figlio Dimitri accusa M. Gustave di averla assassinata. L'uomo finisce in prigione. La stretta complicità che lo lega al suo giovanissimo neoassunto portiere immigrato Zero gli sarà di grande aiuto.

Recensione
Per occuparsi di questo film di Wes Anderson (presentato in apertura alla 64^ Berlinale) è necessaria una premessa di carattere letterario. Il film è dedicato a Stefan Zweig, scrittore austriaco tra i più universalmente noti tra gli anni Venti e Trenta. Animato da un convinto pacifismo si vide bruciare nel 1933 ciò che aveva scritto dai nazisti. È alle sue opere (tra cui un solo romanzo) che il regista ha dichiarato di ispirarsi per questo ennesimo viaggio in un mondo tanto immaginario quanto affollato di riferimenti alla realtà. A partire da quella che potrebbe sembrare solo una raffinata scelta tecnica e che invece diviene una precisa indicazione di senso. La ratio del film (cioè il formato della proiezione) cambia tre volte e finisce con lo stabilizzarsi sulla cosiddetta "academy ratio" che è stata quella della storia del cinema classico fino a quando arrivarono il CinemaScope e il VistaVision. Questo ci rivela come Anderson abbia voluto rifarsi alle opere dei Lubitsch e dei Wilder innervandolo con il suo ormai classico caleidoscopio di situazioni e di attori. Perché in questa occasione ai quasi immancabili Bill Murray ed Owen Williams si aggiungono new entries che vanno da Ralph Fiennes a Murray Abraham passando per l'esordiente Tony Revolori che non solo si carica del ruolo di coprotagonista ma finisce con il rappresentare l'immigrato costantemente nel mirino di tutti i razzismi grazie anche al suo volto che è quasi un coacervo di etnie (figlio di guatemaltechi sembra talvolta arabo e talvolta ebreo). Come il Chaplin de Il grande dittatore e il già citato Lubitsch di Vogliamo vivere Anderson vuole farci sorridere delle innumerevoli avventure a cui sottopone i suoi protagonisti. Questo però non cancella, anzi accentua, la riflessione su quelle frontiere che troppo a lungo in Europa hanno costituito punti di non ritorno per decine di migliaia di persone arrestate e fatte sparire e oggi si ripresentano con altre modalità meno tragicamente evidenti ma sempre fondamentalmente ostili.
Questo film però vuole essere anche, fin dal suo tanto astratto quanto acutamente lieve inizio, una riflessione sull'arte del narrare. Un'arte che può permettersi di parlare della realtà profittando di quanto di meno realistico si possa escogitare. Le stanze del Grand Budapest Hotel sono innumerevoli quanti i personaggi che le abitano o vi entrano anche solo per un'inquadratura. L'instancabile e vivace fantasia di Anderson possiede la chiave di ognuna di esse. Giancarlo Zappoli

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