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Visualizzazione dei post da 2009

A Christmas Carol

ven 01_01 ore 21.15
sab 02_01 ore 21.15
dom 03_01 ore 18.00 e 21.00
mer 06_01 ore 18.00 e 21.00

Regia: Robert Zemeckis
Sceneggiatura: Robert Zemeckis
Attori: Jim Carrey, Colin Firth, Christopher Lloyd, Bob Hoskins, Daryl Sabara,
Fotografia: Robert Presley
Montaggio: Jeremiah O'Driscoll
Musiche: Alan Silvestri
Produzione: ImageMovers, Walt Disney Pictures
Paese: USA 2009
Genere: Animazione, Drammatico, Fantasy, Family
Durata: 96 Min




Il vecchio e avaro strozzino Ebenezer Scrooge non ha alcuna intenzione di condividere le gioie del Natale. Né con il nipote Fred né con il suo dipendente Bob, che riceve uno stipendio da fame e ha una famiglia numerosa, né tantomeno con chi gli chiede sottoscrizioni in favore dei più diseredati. Per lui il Natale è solo un giorno in cui deve pagare Bob che resterà però a casa. La notte della vigilia compare però, terrorizzandolo, il fantasma del suo socio in affari Marley, morto sette anni prima. Marley gli annuncia l'arrivo di tre Spiriti. Uno gli mostrerà i suoi Natali passati, uno quello presente e l'ultimo quello futuro in cui lui sarà morto e nessuno avrà un buon ricordo della sua esistenza. La lezione gli servirà.
Di "Canto di Natale" di Dickens il cinema si è impossessato sin dal 1914 e non ha smesso di occuparsene nel corso dei decenni a venire coinvolgendovi Paperone e soci, Bill Murray nei panni di un magnate televisivo e perfino i Muppets. Poteva mancare il 3D? Ovviamente no. Poteva Zemeckis, sperimentatore delle potenzialità del cinema da sempre, non tentare l'impresa? La risposta è ancora no. Al suo fianco trova il talento sempre più affinato e 'natalizio' (è stato Il Grinch ricordate?) di Jim Carrey che è pronto a quadruplicarsi (Scrooge e i tre spiriti) per questa storia 'morale' che resta valida oggi così come nel 1843.
Utilizzando il Performance capture (una tecnologia che permette di riprendere gli attori con cineprese computerizzate che spaziano a 360° gradi per poi trasformarli in personaggi da animazione) Zemeckis avrebbe potuto prendersi tutte le libertà. Invece si è attenuto con grande fedeltà al testo quasi che, appunto, vi riscontrasse una grande attualità che non abbisognava di adattamenti. Gli Scrooge non mancano nel mondo odierno (anche se magari vanno in palestra e sono eternamente abbronzati) e avrebbero anch'essi bisogno di uno sguardo retrospettivo unito a uno verso il futuro destinati a far loro percepire la fragilità dell'esistenza umana.
Zemeckis coglie il profondo senso morale dell'opera di Dickens e non ne attenua i toni. Ne nasce quindi un film non adatto ai più piccoli (le scene con Marley e con lo Spirito dei Natali Futuri sono degne di un horror di classe, per di più in tre dimensioni). E' però capace di far riflettere con efficacia non tanto su una visione edulcorata del Natale quanto piuttosto sul senso che la vita di ognuno (credente o non credente che sia, considerata la non leggera considerazione sugli uomini di chiesa pronunciata dal quasi mitologico Spirito del Natale Presente) può assumere su questa terra. Giancarlo Zappoli

Buon Natale dall'ass. Arte del Sogno

L'associazione Arte del Sogno vi augura un felice Natale e buone feste.

Questo il nostro esclusivo regalo per Voi.
clicka su play per iniziare la compilation

Una selezione di colonne sonore che ci hanno accompagnato in quest'anno di cinema.

Buon ascolto!

Geografia cinematografica



Hollywood Teaches Geography" è una recente follia di editing video di Joe Sabia.
Sabia ha tagliato e incollato clip da 100 film che riportano i nomi di 114 paesi. Il video è impressionante, ma ciò che è ancora più impressionante è che Sabia sta usando le annotazioni di collaborazione per trovare clip da altri paesi del mondo. Questo significa che puoi aiutarlo farlo.


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Natale: siamo tutti più buoni?









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Io & Marilyn


prima visione!

ven 18_12
ore 21.15
sab 19_12 ore 21.15
dom 20_12 ore 18.00 e 21.00
ven 25_12 ore 21.15
sab 26_12 ore 21.15
dom 27_12 ore 18.00 e 21.00
lun 28_12 ore 21.15
mar 29_12 ore 21.15

Regia: Leonardo Pieraccioni
Sceneggiatura: Leonardo Pieraccioni, Giovanni Veronesi
Attori: Leonardo Pieraccioni, Suzie Kennedy, Massimo Ceccherini, Rocco Papaleo, Biagio Izzo, Francesco Guccini, Luca Laurenti, Francesco Pannofino, Barbara Tabita Ruoli
Fotografia: Mark Melville
Musiche: Gianluca Sibaldi
Paese: Italia 2009
Genere: Commedia






Trama del film Io & Marilyn:
Un gruppo di amici invoca durante una seduta spiritica, Marilyn Monroe ed ecco che Gualtiero si ritrova a casa l'icona mondiale della sensualità e della femminilità. Ma c'è un problema: solo lui riesce a vederla e a parlarle. Meno male che Arnolfo, già esperto nel settore spiriti e aldilà, lo aiuterà a non sentirsi pazzo, confidandogli ad esempio di aver avuto in casa per 40 giorni niente meno che Hitler. Marilyn diventa così la consulente personale di Gualtiero e lo aiuterà a risolvere guai amorosi e tragedie personali. L'uomo ha infatti una ex moglie, Ramona, che lo ha lasciato per andare a vivere in un circo con Pasquale, un domatore napoletano. Ramona ha portato con sé a vivere nel circo anche la figlia avuta da Gualtiero: Martina. Aiutato dalla sua nuova amica Marilyn, Gualtiero cercherà in tutti i modi di riprendersi la sua famiglia.

Gli abbracci spezzati

sab 12_12 ore 21.15
dom 13_12 ore 18.00 e 21.00

Regia: Pedro Almodóvar
Sceneggiatura: Pedro Almodóvar
Attori: Penélope Cruz, Lluís Homar, Blanca Portillo, Tamar Novas, Rubén Ochandiano, Rossy de Palma, Ángela Molina, Lola Dueñas, Alejo Sauras, Carmen Machi, Kiti Manver, Mariola Fuentes, Kira Miró, Marta Aledo, Javier Coll Ruoli ed Interpreti
Fotografia: Rodrigo Prieto
Paese: Spagna 2009
Genere: Drammatico, Thriller
Durata: 129 Min





Mateo Blanco è stato un regista. Oggi non lo è più. È un non vedente che ha deciso di tagliare i ponti con il passato cambiando anche nome. Ora firma romanzi, soggetti e sceneggiature con lo pseudonimo Harry Caine. È ancora un uomo affascinante che ha deciso di prendere dalla vita quello che gli può ancora dare ma, al contempo, che sa di avere un grande bisogno dell'assistenza della produttrice Judit e di suo figlio Diego. La donna conosce perfettamente il tragico triangolo che ha visto coinvolto Mateo, il ricco Ernesto Martel e l'affascinante Lena. Harry deciderà di narrarlo anche a Diego.
Pedro Almodóvar può essere definito il Giano Bifronte del cinema contemporaneo. Come l'antica divinità ha uno sguardo che si volge al passato e uno indirizzato al presente e al futuro. Alternativamente, e secondo modalità che verrebbe da definire programmatiche, ce ne presenta ora l'uno ora l'altro. Se in Volver l'occhio era rivolto a un presente di passioni e di sentimenti che si volgevano verso un passato individuale che ne innervava l'essenza, in Gli abbracci spezzati lo sguardo è rivolto rigorosamente all'indietro, verso il cinema e il piacere della costruzione narrativa tanto inattaccabile quando fredda.
Tutto è magistrale nel suo cinema e quindi anche qui. La cecità come condizione esistenziale in cui l'immagine si fa ricordo, il cinema classico che finisce con l'ispirare addirittura il titolo del film (la sequenza del ritrovamento dei due cadaveri colti abbracciati dalla lava in Viaggio in Italia di Rossellini vista dai due protagonisti in un momento di distesa intimità), il cinema che narra il farsi del cinema nello stesso momento in cui mette in gioco un artificio narrativo tanto palese da dover essere denunciato («Questo è un fatto che succede solo nei film»). Tutto ciò e molto altro è presente nel film del regista mancheco che sfoggia come sempre rigore stilistico e cinefilico. Onore al merito. Ma la sua grandezza si esalta maggiormente quando, sulle orme del suo conterraneo letterario, combatte, vincendo, con i mulini a vento che agitano il cuore dell'essere umano. Giancarlo Zappoli
ven 11_12 ore 21.15

Regia: Donatella Maiorca
Sceneggiatura: Mario Cristiani, Donatella Diamanti,
Donatella Maiorca, Pina Mandolfo
Attori: Valeria Solarino, Isabella Ragonese, Ennio Fantastichini, Giselda Volodi, Marco Foschi, Alessio Vassallo, Aurora Quattrocchi, Lucrezia Lante della Rovere, Maria Grazia Cucinotta
Fotografia: Roberta Allegrini
Paese: Italia 2008
Genere: Drammatico
Durata: 105 Min



Un'isola intorno alla Sicilia, seconda metà dell'800. Angela e Sara crescono insieme ma le loro infanzie sono difficili: la prima subisce i soprusi di un genitore violento; la seconda perde il padre in guerra, mentre la guerra la strapperà all'amica e alla sua terra. Al suo ritorno, Angela si innamora di Sara e inizia il suo ostinato corteggiamento, da cui nascerà una relazione che, con il suo sviluppo inusuale, intaccherà riti millenari.
Viola di mare è il secondo film di Donatella Maiorca. Per il ritorno al cinema dopo tanta tv sceglie una storia difficile per il periodo storico che sta vivendo il nostro Paese: tratto dal romanzo "Minchia di Re" di Giacomo Pilati, racconta di due donne che si amano e, in qualche modo, spezzano le ritualità di una terra sempre uguale a se stessa. Angela e Sara, piegando ai propri scopi quei modelli consolidati, realizzano il loro sogno d'amore: grazie al potere del padre violento e al senso di colpa di un prete, Angela diventa Angelo.
Qui la Maiorca intraprende un sentiero imprevisto. Assaggiando la libertà degli uomini Angela rischia di esserne travolta e, suo malgrado, di diventare come il genitore che odia. Inutile negare o trascurare l'impatto che un film come Viola di mare può avere: due donne che vivono in Sicilia (nella terra di Divorzio all'italiana, non dimentichiamolo) ma potrebbero essere in qualsiasi altra regione d'Italia; è il XIX secolo ma, anche grazie alla colonna sonora di Gianna Nannini, potrebbero essere i nostri tempi; insomma, un luogo e un tempo in cui il continuo conflitto tra tradizione e modernità è trasposto nelle scene di violenza, un modo di comunicare che sembra improntare una terra spigolosa e dura come le sue rocce.
Solide le interpretazioni: la Solarino algida e mascolina, la Ragonese sempre più brava e un Fantastichini sempre al livello dei suoi altissimi standard. Stefano Cocci

Aspettando Parnassus...

...riscopriamo Terry Gilliam.

Divertente cortometraggio che precede il film dei Monty Python "Il senso della vita".





Altri contributi animati del nostro regista al tempo dei Monty Python





Planet 51

dom 06_12 ore 15.00
mar 08_12 ore 15.00


Regia: Javier Abad, Jorge Blanco
Sceneggiatura: Joe Stillman
Produzione: Ilion Animation, HandMade Films
Distribuzione: Moviemax
Paese: Spagna, Gran Bretagna 2008
Genere: Animazione
Durata: 106 Min








Di produzione anglo/ispanica, è un cartone animato che sembra fatto a Hollywood. La ragione? L'abilissima sceneggiatura dell'americano Joe Stillman, un tipo (è il creatore di Shrek) che adora ribaltare le carte. Anche se ogni cosa ha forma tondeggiante e gli abitanti sono verdi, gommosi e dotati di antennine, Planet 51 rappresenta un tipico spaccato Usa Anni '50, inclusa la diffusione di B movies e fumetti che alimentano il motivo del terrore degli alieni. Figuriamoci quando da un'astronave emerge, sulle note kubrickiane di Cosi parlò Zarathustra, uno spaventoso «humaniac» a stelle e strisce.
Capita l'antifona? Di qui una divertente avventura giocata su un susseguirsi di citazioni. Spiritosa la parodia, condivisibile il messaggio: ricorda che l'ignoto potremmo essere noi.
di Alessandra Levantesi
La Stampa, 20 novembre 2009

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E se gli alieni fossimo noi? Parte da questo sorprendente ribaltamento di prospettiva
Planet 51, divertente film d'animazione diretto da Jorge Blanco. Il remoto pianeta del titolo è abitato da ominidi verdi con le antenne, in tutto simili a noi in quanto ad abitudini di vita (l'unica differenza è che sono un po' indietro nel tempo, diciamo sul finire dei nostri anni 50). Proprio qui atterra un'astronave inviata negli spazi remoti dalla Nasa: a bordo c'è un aitante astronauta, alla ricerca, appunto, di possibili alieni... Già, ma anche gli abitanti del pianeta temono l'arrivo di possibili E.T. dallo spazio. E dunque, il gioco degli equivoci ha inizio: caccia grossa al nuovo arrivato che, per fortuna sua, trova dei ragazzini pronti ad aiutarlo. Il rovesciamento del celebre film di Spielberg è totale, e ha un effetto spesso esilarante. Un piccolo apologo sulla tolleranza, buono per educare i piccoli e far sorridere i grandi. Che, oltre tutto, si possono gustare una colonna sonora infarcita di fantastici "pezzi" della loro lontana gioventù.
di Luigi Paini
da Il Sole-24 Ore, 29 novembre 2009

Nemico Pubblico

sab 05_12 ore 21.15
dom 06_12 ore 21.00
mar 08_12 ore 18.00 e 21.00


REGIA: Michael Mann
SCENEGGIATURA: Ronan Bennett,
Ann Biderman, Michael Mann
ATTORI: Johnny Depp, Christian Bale,
Marion Cotillard, Channing Tatum, Bill Camp
FOTOGRAFIA: Dante Spinotti
MUSICHE: Elliot Goldenthal
PRODUZIONE: Forward Pass, Misher Films,
Tribeca Productions
PAESE: USA 2009
GENERE: Azione, Drammatico, Thriller
DURATA: 143 Min



John Dillinger è un fuorilegge col vizio del baseball, del cinema e delle macchine veloci. A colpi di Thompson e a capo di una gang armata, rapina banche ed estingue i debiti degli americani impoveriti dalla (Grande) Depressione. Le sue fughe rocambolesche e temerarie gettano imbarazzo e sconforto sulle istituzioni e su Edgar Hoover, ambizioso direttore del Bureau of Investigation. Elegante ed impavido, Dillinger ha un proiettile sempre in canna e un cappotto per ogni occasione e per ogni signora, rapinata del suo cuore o rapita dal suo fascino. La sua nemesi, efficiente e laconica, ha il volto e il garbo "gable" di Melvin Purvis, determinato ad accomodarlo sulla sedia elettrica. Decimata la sua compagine di criminali e assediato dalla polizia, Dillinger sceglierà la via fatale (e letale) del cinema.
Durante gli anni più duri della Depressione banditi rurali, rapinatori di banca indipendenti, rapitori di bambini e ladri alla giornata infestavano il Midwest. Nelle loro scorribande colpivano banche isolate e rifornitori di benzina, abbattendo a colpi di mitra proprietari e passanti inermi, prima di fuggire sulle loro automobili veloci e dentro gli abiti "ricercati". Sfruttando l'inefficienza e la corruzione dell'apparato statale e della polizia, cercavano il denaro facile e trovavano la soddisfazione alla propria eccitazione nel raggiungimento di una fama istantanea. Il maggiore tra loro, John Dillinger, era un fuorilegge e un esibizionista, abilissimo col mitra, simpaticamente disinvolto e irriverentemente in fuga da banche, celle e carceri.
Drogato di glamour come gli sbirri in abiti firmati di Miami Vice e testimone delle grandi promesse delle metropoli (automobili, abbigliamento sfarzoso, belle donne, feste in locali di lusso), Dillinger diventa il nuovo eroe solitario di Michael Mann, nemico pubblico che come il suo autore seppe creare una tendenza.
Conforme al bel sembiante (e al bell'aspetto) di Gary Cooper e Clarke Gable, Johnny Depp incarna l'immagine più sentimentale e romantica del gangster. Segnato dall'impossibilità di toccare le persone senza ferirle, Depp è di nuovo martire sulla strada della sofferenza e delle cicatrici. La morbidezza del suo sguardo scalda la narrazione (formalmente) fredda di Mann e si allarga sul G-man di Christian Bale, sul lato opposto della legge e dell'ordine.
Se Dillinger impiega la rapina come affermazione d'identità, anche sessuale (Billie Frechette è letteralmente "rapita"), e propaga nel mondo il mito dell'invincibilità dell'outlaw hero, Purvis trasforma la caccia ai criminali in un massacro di esecuzioni e tirassegno (l'abbattimento di Baby Face). In delicato equilibrio interdipendente col gangster, l'uomo del governo è caratterizzato e motivato costantemente dalla sua presenza, facendo dell'opposizione-identificazione con Dillinger una questione interiore. Il conflitto con la società ripiega allora nel confronto personale, in cui poliziotto e criminale si sovrappongono. Dentro la densità narrativa e la struttura polifonica del Nemico pubblico di Mann si muovono due combattenti solitari angosciati dalla privazione (ormai prossima) di un ruolo.
Il regista coglie bene il senso tragico del poco tempo che i protagonisti hanno ancora da vivere per compiere il proprio destino. Nel melodramma nero e criminale dell'autore americano il motore dell'azione è la nostalgia per qualcosa che Dillinger e Purvis si sono lasciati alle spalle ma che non riescono ad abbandonare: un blackbird che canta in sala (da ballo) ma tace sotto interrogatorio, un nemico pubblico maledettamente privato e troppo in fretta abbattuto. Architetto degli spazi e creatore (cool) di mondi solidi (e storici), Michael Mann frequenta i generi e ne verifica i limiti fino alla soglia, fino a intrecciarli e a contaminarli. Il suo cinema apre allora derive che interrompono l'azione vera e propria, dirottando su Cuba o su Chicago, dentro storie d'amore perfettamente simmetriche. Gli inseguimenti, le sparatorie, le fughe, l'amore e il sesso si combinano armoniosamente, consumandosi lentamente e in maniera epocale e infilando la potenza evocativa del melodramma in un film di genere radicalmente opposto.
Nel suo Chicago Melodramma e dietro all'eroismo di Dillinger si nasconde un'anima appassionata e (a)morale che morirà come Blackie Gallagher "sulla cattiva strada".

Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo

ven 04_12 ore 21,15

Regia: Terry Gilliam
Sceneggiatura: Terry Gilliam, Charles McKeown
Attori: Christopher Plummer, Heath Ledger, Johnny Depp,
Colin Farrell, Jude Law, Simon Day, Tom Waits, Lily Cole,
Johnny Harris, Andrew Garfield, Richard Riddell, Verne Troyer,
Paloma Faith Ruoli
Fotografia: Nicola Pecorini
Produzione: Davis-Films, Infinity Features Entertainment,
Parnassus Productions, Grosvenor Park Productions
Paese: Canada, Francia, Gran Bretagna, USA 2009
Durata: 122 Min




Il Dottor Parnassus gira per le strade con il suo carrozzone dalle qualità particolari. In compagnia di un giovane, una fanciulla (sua figlia Valentina) e un nano mette in scena ovunque uno spettacolo che ha al suo centro uno specchio. Chi lo oltrepassa si trova in un mondo in cui puo' realizzare i suoi desideri piu' fantasiosi. Parnassus e' immortale ma ha conquistato questa dote grazie a una scommessa vinta con il Diavolo che ha assunto le sembianze del perfido Mr. Nick. Sono trascorsi i secoli e, nel momento in cui ha trovato il vero amore, il Dottore ha stipulato un nuovo patto con Mr. Nick il quale vuole che Valentina sia sua al compimento del sedicesimo anno di età. La data è ormai prossima.
Terry Gilliam è indubbiamente uno di quei pochi registi che fanno del cinema la vera arte dell'immaginario. Sin dal suo primo film Brazil aveva dato prova di una creativita'e di una cultura vastissima in campo figurativo. Le sue sono state produzioni spesso tormentate (a partire dai problemi di budget quella de Le avventure del Barone di Münchausen fino al disastro del film su Don Chisciotte splendidamente raccontato nel documentario Lost in La Mancha) e anche in questo caso non sono mancati i problemi. La morte improvvisa di Heath Ledger ha portato a una revisione profonda della sceneggiatura che ha prodotto l'affidamento del suo personaggio anche a Johnny Depp, Colin Farrell e Jude Law che hanno devoluto il compenso alla figlia dell'attore.
Gilliam ha saputo fare, come si dice, di necessità virtù riuscendo a realizzare un omaggio davvero particolare all'attore scomparso. Perché questo suo film è un inno alla vita e all'immaginario che debbono poter vincere nonostante tutto e, spesso, anche nonostante i lati oscuri delle fantasie che ci pervadono. È un gioco di alto equilibrismo sulla corda tesa della fantasia quello a cui il regista ci propone di partecipare. Gilliam è da sempre Parnassus. Non sarà immortale ma la sua inesauribile voglia di immagini che (al contrario di quanto troppo spesso accade) non ottundano la fantasia ma la provochino ad aprirsi a nuovi orizzonti è rimasta intatta con il trascorrere degli anni e, grazie agli sviluppi della tecnologia, ha trovato nuovi materiali su cui esercitarsi. Il bambino che è in Terry è più vivace che mai, conosce la luce e il buio, la felicità e la paura e aspetta che passiamo a trovarlo. Vive sul carro del Dottor Parnassus. Giancarlo Zappoli

Per entrare nel mondo di Parnassus consigliamo:
www.parnassus.it
www.doctorparnassus.com

Il debutto di The Road To Big Whiskey nei cinema italiani




Siamo orgogliosi di darvi in anteprima questa notizia.


Dopo l´anteprima della proiezione del documentario Dave Matthews Band: The Road To Big Whiskey, con sottotitoli in italiano, durante il Weekend On The Rocca organizzato da Con-Fusion, siamo orgogliosi di annunciare il debutto di The Road To Big Whiskey nei cinema italiani, con proiezioni gratuite o ad offerta libera.

La prima proiezione si terrà venerdi 8 Gennaio 2010 a Padova, alle ore 20.30 presso il Cinema Marconi, sito in Via Gauslino 7 a Piove di Sacco (Padova).

Grazie di cuore a tutti i membri di Con-Fusion che si sono adoperati per aver reso possibile tutto questo: a Carla Melis per la traduzione, a Livio Piubeni, Luca Russo ed Emanuele Signori per l´editing del video coi sottotitoli, a Roberto Marigo ed all´Associazione "L´arte del Sogno" per l´organizzazione dell´evento di Padova.

Filmato da Sam Erickson, che conosce profondamente la band da circa 20 anni ed ha fotografato e filmato tutte le sessions in studio della band, la storia di The Road to Big Whiskey inizia dal presente, ma contiene materiale inedito tratto dalla collezione personale di Erickson. Interviste, immagini e video della band dal vivo; la nascita di alcuni pezzi di Big Whiskey; la toccante e straordinaria partecipazione del sassofonista LeRoi Moore, tragicamente scomparso l´estate scorsa, rendono questo documentario la più completa biografia della Dave Matthews Band, raccontata dal punto di vista della band e di chi ruota intorno ad essa da anni.

Anche i fan più accaniti della band troveranno notizie, immagini ed informazioni finora inedite. Per chi non conosce la Dave Matthews Band, sarà uno dei migliori modi di entrare in contatto intimamente col cuore e l´anima della migliore jam band al mondo e della sua crew. Imperdibile.

Avremo modo di tenervi aggiornati.

Going west

Lunedì letterario.
Buon inizio settimana!



Film per il New Zeland Book Council diretto da Andersen M Studio

The Horribly Slow Murderer with the Extremely Inefficient Weapon



Vi presentiamo questo geniale cortometraggio che rimbalza per la rete già da qualche tempo.
Sedetevi comodi e prendetevi dieci minuti di pausa...ne vale la pena!
Maggiori informazioni sul sito del regista Richard Gale.

Il canto di Paloma

ven 27_11 ore 21.15

Regia: Claudia Llosa
Anno: 2009
Titolo Originale: La teta asustada
Durata: 94 min
Origine: SPAGNA, PERU'
Genere: DRAMMATICO









Trama Appena nata, Fausta ha contratto una malattia nota come il "latte del dolore", un disturbo che colpisce solo le donne peruviane violentate o rapite durante gli anni della lotta terrorista. Sebbene quel terribile periodo sia ormai passato, Fausta non ha alcuna intenzione di ricordarlo, ma alla morte della madre si trova obbligata ad affrontare e superare le sue paure. Si scopre così che per impedire a chiunque di usarle violenza Fausta ha inserito nel suo corpo una patata, a mo' di scudo. L'improvviso decesso della madre spingerà la ragazza ad intraprendere un viaggio che la porterà, dopo un lungo percorso personale, ad abbandonare le sue paure e a conquistare la libertà.

Critica "Interpretato da Magaly Solier, nel suo Paese nota come cantante (canta in lingua quechua), il film è la storia di un ritorno alla vita: perché, afferma la regista, anche dopo episodi così atroci bisogna sforzarsi di ritrovare un equilibrio e la fiducia nel prossimo." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 13 febbraio 2009)

"L'italo-peruviana Claudia Llosa, in 'La teta asustada', alla lettera 'La tetta spaventata', ci porta nel mondo magico e insieme concreto, quotidiano, di una giovane andina che nella prima scena (magnifica) dà l'addio alla madre, vittima di uno stupro ai tempi del terrorismo, e che dopo scopriamo vivere... con una patata nella vagina per difendersi, secondo una superstizione locale, dalle violenze. Ironia della sorte, la malinconica ma bellissima Magaly Solier, quando non lavora come hostess in sfrenate e coloratissime feste di nozze popolari, uno spettacolo davvero insolito, sta a servizio da una nevrotica e altezzosa pianista alto borghese che le ruberà le note delle sue ingenue, ammalianti nenie popolari, ma non l'anima. Un film di cui si potrebbe parlare a lungo, se mai qualcuno avrà il coraggio di comprarlo per l'Italia. "(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 14 febbraio 2009)

"Ma invece di scegliere un racconto tradizionale, dove i piccoli e grandi fatti quotidiani aiutano lo spettatore a capire la psicologia (e le paure) della protagonista, la regista sceglie un'altra strada, meno esplicita, fatta solo di allusioni, di particolari significativi. E una linea narrativa che si preoccupa soprattutto di giustapporre l'universo chiuso della villa dove Fausta presta servizio al poverissimo barrio della periferia di Lima dove invece la ragazza abita con lo zio e gli altri membri della famiglia. Così da una parte una macchina da presa abbastanza incombente cerca le paure e le angosce di Fausta dentro le azioni quotidiane del lavoro (...) mentre dall'altra inquadrature più larghe e composite inseriscono Fausta nel mondo familiare del barrio, fatto di riti stereotipati e usanze identitarie. Che la regista osserva con lo sguardo dell'antropologo, di cui conosce perfettamente il valore sociale di promozione e gratificazione (le scene di matrimonio, specialmente il «sì collettivo» e la «processione» dei regali), ma anche la capacità di cementare e gratificare l'unità del gruppo familiare. (...) Il film procede così, registrando più che veramente mettendo a confronto due mondi che faticano a comunicare, di cui non nasconde le ingenuità e le perfidie, ma che acquistano una consistenza narrativa soltanto in funzione della "presa di coscienza" di Fausta, finalmente capace di confrontarsi con le proprie ossessioni solo quando comincia a prendere coscienza dei propri "diritti" (almeno quelli che la sua ricca padrona vorrà all'improvviso negare). Senza voler per forza risolvere ogni cosa ma aprendo finalmente lo sguardo della sua protagonista a un sorriso di speranza." (Paolo Mereghetti, "Corriere della Sera, 8 maggio 2009)

Note - ORSO D'ORO AL 59. FESTIVAL DI BERLINO (2009).
- IL FILM HA RIPORTATO ALLA LUCE UN TRAGICO PERIODO DELLA STORIA DEL PERÙ. FONDATA NEL 2001 LA "COMMISSIONE PER LA VERITÀ E LA RICONCILIAZIONE" HA REGISTRATO SETTANTAMILA CASI DI OMICIDI E ALTRETTANTI DI STUPRI E RAPIMENTI COMMESSI DAGLI ANNI 80 FINO AL 2000.

Cartone

Buon inizio settimana!



Cortometraggio "Cardboard" dell' olandese Sjors Vervoort, realizzato con sagome di cartone dipinte e piazzate per la città.

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Aspettando Motel Woodstock

Aspettando il film Motel Woodstock in programmazione questa sera al cinema Marconi di Piove di Sacco, concediamoci un buon ascolto.







Titoli di coda...che passione

Vi presentiamo un divertente uso dei titoli di coda proposto in questo videoclip
di una canzone di Lenny Kravitz, realizzato dal regista Keith Schofield


















cliccate sull'immagine per vedere il video.

L'uomo che fissava le capre


sab 21_11
ore 21.15
dom 22_11 ore 18.00, 21.00
dom 29_11 ore 18.00, 21.00


REGIA: Grant Heslov
SCENEGGIATURA: Peter Straughan
FOTOGRAFIA: Robert Elswit
MONTAGGIO: Tatiana S. Riegel
PRODUZIONE: BBC Films, Smoke House
PAESE: USA 2009
GENERE: Commedia
DURATA: 90 Min
FORMATO: Colore




Bob Wilton è un giornalista pavido e impacciato, abbandonato dalla moglie e a caccia dello scoop della vita. Inviato di guerra in Iraq nel tentativo disperato e maldestro di attirare l'attenzione della fedifraga consorte, Wilton incontra lo stralunato Lyn Cassady, soldato Jedi e monaco guerriero appartenente alla New Earth Army, un'unità sperimentale dell'esercito americano che vuole "combattere" le guerre col flower power. In grado di attraversare i muri e di fermare con lo sguardo il cuore di una capra, abili nel leggere nel pensiero del nemico e nel dissolvere le nuvole nel cielo, l'esercito hippy, fondato dallo stupefacente Bill Django, accoglie tra le sue fila il giornalista, iniziandolo al lato nobile della Forza. Tra rapimenti, vagheggiamenti e dosi massicce di LSD, Bob Wilton scriverà il suo articolo e ristabilirà l'equilibrio nella Forza.
Ispirato (forse) a un'incredibile storia vera e trasposto (innegabilmente) dal libro di Jon Ronson, L'uomo che fissa le capre è una commedia demenziale, nera e dissacrante verso quei monumenti intoccabili dell'autorità trattata spesso con reverenza (America's Army). La scrittura efficace di Grant Heslov, sceneggiatore di Good Night, and Good Luck e osservatore lucido dei costumi americani, si fa immagine demitizzante nel suo film d'esordio. Anche questa volta i tempi sono giusti e le intenzioni incoraggianti.
Il sapore del cinema americano d'impegno è ribadito dalle pagine e dallo sguardo del regista-sceneggiatore, che tratta con acuto cinismo argomenti serissimi e assesta una tipica vicenda da film di guerra dietro il filtro di una comicità irresistibilmente illogica. Pienamente a proprio agio nelle situazioni comiche, Heslov realizza col sorriso e attraverso una storia "realmente accaduta" un quadro molto critico della politica americana, popolata, ieri come oggi, da individui perfettamente amorali.
Abile nel sondare le ambiguità dell'esercito e i retroterra inquieti della scena militare, L'uomo che fissa le capre dà corpo a soldati (super)eroi e a una società divisa tra paura e patriottismo, guerre coloniali e senso civile, responsabilità e vendette. Come l'ufficiale "illuminato" di Jeff Bridges, che è stato in Vietnam da ragazzo e che non vuole assistere a un nuovo massacro, che ha lottato in quella guerra con le pallottole e che adesso vuole combattere con fiori, parole e gocce di LSD sciolte nel rancio.
L'uomo che fissa le capre disinnesca la serietà della guerra e dei suoi "corpi speciali" attraverso dialoghi sagaci e l'intensità burlesca dei suoi attori, George Clooney, Ewan McGregor, Jeff Bridges e Kevin Spacey, tutti perfettamente in parte.
Un film che produce il piacere assoluto della visione, pieno zeppo di trovate eccellenti: parodie, new age, giochi linguistici, citazioni, filosofia "star wars", che dimostrano una volta ancora che il cinema può essere più esplosivo della polvere da sparo. Marzia Gandolfi


Motel Woodstock

ven_20_11 ore 21.15 - proiezione in digitale


Regia: Ang Lee
Sceneggiatura: James Schamus
Fotografia: Eric Gautier
Montaggio: Tim Squyres
Produzione: Focus Features
Distribuzione: Bim Distribuzione
Paese: USA 2009
Genere: Commedia, Musicale
Durata: 110 Min







lliot Theichberg lavora come arredatore al Greenwich Village ed è impegnato sul fronte del riconoscimento dei diritti degli omosessuali. Ha però un grosso problema perchè i suoi genitori Jake e Sonia (due ebrei fuggiti dall'Europa dell'Est) stanno per perdere, a causa dei debiti, il decrepito motel che gestiscono a Catskill. Le soluzioni non sembrano a portata di mano fino a quando giunge la notizia che gli organizzatori di un'importante manifestazione musicale si sono visti ritirare l'autorizzazione dalla municipalità di Wallkill. Elliot telefona, offre il motel come base e presenta il vicino proprietario di un terreno di 600 acri. I ‘mitici' 3 giorni di Pace e Musica stanno per realizzarsi.
Ci sono film d'occasione che tali sono e tali rimangono. Si sfrutta cioè l'opportunità di un anniversario per tuffarsi nella rievocazione nostalgica o illustrativa di un evento. Ricorrendo i quarant'anni da quando ebbe luogo l'epocale concerto di Woodstock si poteva pensare che un Ang Lee in surplace avesse accettato di fare un film quasi su commissione. Non è affatto così. Quasi fosse tornato alle sue origini conosciute in Occidente (ricordate Banchetto di nozze?) il regista coglie l'occasione per rileggere da un punto di vista inusuale l'epopea di Woodstock non rinunciando a uno sguardo critico, anche se sorridente, nei confronti dell'istituzione familiare.
Woodstock ha rappresentato per lui gli ultimi momenti di innocenza di una civiltà che metteva piede sulla Luna ma stava affontando un futuro carico di incognite. Il raccontare il grande evento collettivo dal punto di vista di Elliot Tiber vuol dire scegliere lo sguardo di colui che ci vide un'opportunità personale ancor prima di rendersi conto del valore che quei tre giorni avrebbero finito con l'assumere per la cultura tout court. Tiber ha scritto con Tom Monte il libro "Taking Woodstock. A True Story of a Riot, A Concert and a Life" ed Ang Lee prende le mosse dalla sua testimonianza non per raccontare il concerto (lo ha già fatto con grande adesione Michael Wadleigh che aveva tra gli aiuti un ragazzo che si chiamava Martin Scorsese) ma per descrivere una società. Lo fa attraverso una moltitudine di personaggi e di figuranti ognuno dei quali finisce con il rappresentare una delle facce di quel prisma che erano gli Stati Uniti all'epoca.
Si sorride e si ride (grazie anche alla superba caratterizzazione di Imelda Staunton nei panni della taccagna e iperattiva madre di Elliot). Ma soprattutto si percepiscono la vitalità e l'energia di un universo giovanile che, nonostante il Vietnam o forse anche grazie a quell'orrore insensato, sentiva ancora il bisogno di credere in un'utopia pacifista che sembrava però traducibile in realtà. Ang Lee non ha alcuna intenzione di proporre una lettura acritica dell'epoca. Ecco allora che al seguito dell'ideatore trasgressivo simile a un Jim Morrison in versione hippie ci sono le limousine nere da cui escono manager in giacca e cravatta. Come afferma Woody Allen si chiama Show Business perchè senza il business non c'è lo show. Alla fine resta però la sensazione di un sipario calato su uomini e donne forse ingenui ma sicuramente sinceri nelle loro aspirazioni. Una tipologia di esseri umani di cui, nonostante tutti gli eccessi loro attribuibili, il mondo ha sempre bisogno.
Giancarlo Zappoli

Aspettando venerdì #3

Terminiamo questa presentazione dei registi di questa sera con u'altro cortometraggio
di Hanno Hoffer, "Aiuto umanitario".



prima parte


seconda parte

Aspettando venerdì #2

Ecco al secondo appuntamento per conoscere i registi del film di venerdì Racconti dell'età dell'oro.
Oggi presentiamo "Zapping" di Cristian Mungiu.


prima parte


seconda parte

Aspettando venerdì...

In attesa del film collettivo Racconti dell'età dell'oro di venerdì, vi proponiamo alcuni cortometraggi realizzati dagli stessi registi.

Cominciamo oggi con il cortometraggio "Dincolo" di Hanno Höfer.

prima parte

seconda parte

Julie & Julia

sab 14_11 ore 21.15
dom 15_11 ore 18.00 e 21.00



REGIA: Nora Ephron
GENERE: Biografico, Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ USA
CAST: Amy Adams, Meryl Streep,
Jane Lynch, Stanley Tucci, Mary Lynn Rajskub,
Vanessa Ferlito, Dave Annable,







1949. Julia Child si è appena trasferita a Parigi per seguire il marito addetto culturale dell'ambasciata americana. Nella nuova città è ammaliata dalla cucina francese e per combattere la noia inizia un corso professionale per diventare cuoca. La passione la travolgerà, tanto da scrivere un libro che, dopo le tortuose vicende per pubblicarlo, diventerà la Bibbia per qualsiasi americano che voglia imparare a cucinare. Tutt'oggi la Child è una leggenda negli Stati Uniti.
Nel 2002, Julie Powell si è appena trasferita nel Queens, sopra una pizzeria. All'università era tra le più promettenti ma la sua vita, alla soglia dei 30 anni, è in un limbo da quando ha rinunciato a completare il suo romanzo. Riuscirà a trovare un senso alla sua esistenza grazie al libro di Julia Child, aprirà un blog e racconterà la sua sfida: completare le 524 ricette della sua eroina in 365 giorni.
Ha fortissimi toni femminili Julie & Julia. Nora Ephron lo ha tratto dal libro autobiografico della Powell, facendone un film che segue in parallelo le esistenze di due personaggi che, benché siano separati da 50 anni, hanno moltissimi punti di contatto. Ne esce fuori una commedia dai tempi comici perfetti, sostenuta da due interpretazioni sontuose: la Streep ormai non sorprende più, se non fosse per l'accento straordinariamente divertente, il francese incerto e una verve ironica che rappresenta la novità assoluta della stagione.
Mentre Meryl ha un personaggio senza lati oscuri e forse fin troppo solare, alla Adams è affidata Julia Powell, una donna del nostro tempo, con tutti i dubbi, le paure e l'esigenza di esprimersi. Se la Street/Child è semplicemente innamorata del cibo e piano piano si immerge con la sua energia in questa nuova missione, la Adams/Powell cerca e trova nelle ricette di mezzo secolo prima il nutrimento adatto per il suo animo insoddisfatto.
Il risultato finale è un piatto in cui non tutti gli ingredienti sono nella giusta proporzione ma dal sapore godibilissimo. Stefano Cocci

Racconti dell'età dell'oro

ven 13_11, ore 21.15



REGIA: Cristian Mungiu, Ioana Uricaru,
Hanno Höfer, Răzvan Mărculescu, Constantin
GENERE: Commedia, Storico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Romania
CAST: Diana Cavaliotti, Radu Iacoban, Vlad Ivanov,
Tania Popa, Liliana Mocanu, Alexandru Potocean,
Teo Corban,





Storie di vita ordinaria in Romania sotto il regime comunista di Ceausescu. La visita dell'ispettore, la fotografia del leader da ritoccare, un maiale consegnato erroneamente vivo da tagliare, l'imbottigliamento dell'aria: cinque leggende urbane bizzarre, ridicole, commoventi. Sono I racconti dell'età dell'oro, quegli ultimi quindici anni di dittatura che hanno visto il paese in ginocchio per la fame e la povertà.
Film collettivo alla maniera della commedia all'italiana degli anni di Risi e Monicelli, concepito collettivamente e non a staffetta, vede alla guida Cristian Mungiu, su tutt'altro registo rispetto a 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, che firma uno dei cortometraggi, in compagnia di Höfer, Marculescu, Popescu e Ioana Uricaru.
Lirico all'esordio, grottesco in materia di comunicazioni di massa, poi comico e surreale, l'umorismo della disperazione (ma non nella disperazione, perché sono passati gli anni) prende di mira l'obbedienza cieca, le acrobazie di un popolo che s'impone di soddisfare le richieste più arbitrarie e teme l'assurdo (se il premier francese nella foto ha il cappello e Ceausescu no potrebbe sembrare un gesto di rispetto verso il capitalismo e non deve accadere).
Il neorealismo è un modello presente ma parcheggiato a latere: le operette di Mungiu e colleghi cercano il riso; sembrano dire “non eravamo cattivi, solo un po' scemi, e ci alimentavamo a vicenda”; sono curate e talvolta furbette; guardano nello specchietto retrovisore, non sudano per l'urgenza. Eppure riescono a ridisegnare un mondo, mettendo in scena generazioni diverse e differenti reazioni, plaudendo in silenzio alla sana ironia dei giovani e scuotendo talvolta troppo affettuosamente la testa rispetto alla follia dei vecchi, spesso masochista.
Contenitore ideale e raccordo tra gli episodi è l'immagine delle scale interne di un condominio, riprese da un'angolatura affacciata sul vuoto che suggerisce la vertigine di chi osserva e la distanza di chi si muove in senso contrario, in salita, sotto sforzo.
L'immagine che questi Tales of the golden age restituiscono del loro paese di provenienza è in molti modi “corretta”, come la fotografia di Ceausescu: il colore della disperazione è stato limato fino a sparire, il carattere popolare enfatizzato. Ma la capacità di (far) sorridere è assodata e anche quella dietro la macchina da presa. Marianna Cappi

Flip book

Vi presentiamo questo video che interpreta in modo originale il classico flip book


regia di Superelectric ed André Maat

Chop cup

Le apparenze ingannano!

CHOP CUP from :weareom: on Vimeo.



qui il "making of":

CHOP CUP - Making of from :weareom: on Vimeo.

Praxinoscopio

Vi segnaliamo queste due interpretazioni attuali del praxinoscopio

Moray McLaren - We Got Time
video di David Wilson Creative


Questo il making-of:


Lo studio Post Typography per Johns Hopkins Film Fest




























Qui lo si può vedere in funzione.



Teza

ven 06_11 ore 21.15


REGIA: Haile Gerima
ANNO PROD: 2008
NAZIONALITÀ Germania, Etiopia, Francia
GENERE: Drammatico
CAST: Aron Arefe, Abiye Tedla, Takelech Beyene,
Teje Tesfahun, Nebiyu Baye, Mengistu Zelalem, Wuhib Bayu







Etiopia, 1990. Anberber è tornato al suo villaggio senza una gamba e con la testa affollata dai fantasmi. Lasciata l'Etiopia imperiale di Haile Selassie e rientrato in quella socialista di Haile Mariam Menghistu, Anberber ha studiato medicina nella Germania degli anni Settanta, interessata da una massiccia immigrazione africana e percorsa da tensioni e discriminazioni razziali. Il suo sogno più grande è quello di ritrovare l'abbraccio materno e di prendersi cura del suo popolo, afflitto dalle carestie e vessato da secoli di regimi dispotici. Rimpatriato e presa coscienza del disordine politico e sociale in cui versa il suo paese, scampa a un linciaggio e cerca conforto nel villaggio natio. Dentro il capanno e davanti al fuoco scoprirà la propria impotenza di fronte alla dissoluzione dei valori umani. Nel focolare domestico brucerà il suo passato e divamperà il desiderio di costruire il presente.
Dopo aver raccontato la resistenza etiopica degli anni Trenta all'esercito dell'Italia mussoliniana (Adwa), il regista etiope Haile Gerima ricostruisce e rilegge la storia del suo Paese all'indomani del golpe militare che destituì l'imperatore Haile Selassie e promosse il regime marxista di Haile Mariam Menghistu. Rifugiando il suo protagonista, un intellettuale formato in Germania, nel villaggio natio, Gerima sviluppa il racconto su tre piani temporali. Presente, passato e sogno si interrompono e intervengono l'uno sull'altro fino a ri-comporre la storia di un uomo dentro la Storia del suo Paese. Il racconto orale dell'emigrato di Aaron Arefe assume su di sé i conflitti e le convulsioni della storia ed è caratterizzato dal sentimento dominante della nostalgia: per l'infanzia africana, età idilliaca e disgiunta dal reale in cui il protagonista si rifugia alla ricerca della sua forza rigenerante; per la giovinezza europea, età dell'imitazione e dell'assimilazione in cui si ritaglia un posto approfittando dei vantaggi offerti dal vecchio continente; per la piena maturità del ritorno, età della riaffermazione della propria identità culturale in cui impegnarsi nella ricostruzione e nella rinascita del proprio paese.
Alle fughe dell'immaginario, nel realismo magico e in quello onirico, Gerima affida invece il compito di rappresentare la lacerazione interiore del protagonista, che non crede più alla possibilità di cambiare qualcosa. Anberber realizza il tradimento dei governi autoctoni e prende atto dell'unico risultato tangibile: il passaggio dei poteri dall'élite bianca all'élite nera e l'incremento consistente della violenza e della corruzione. Stessi privilegi dei potenti, stesso interesse esclusivo di una classe sociale, stesso disprezzo per il popolo. Teza, attraverso il racconto orale, i canti popolari e l'iconografia stilizzata, descrive l'educazione intellettuale di un uomo condotta e sospesa fra due continenti, fra l'Africa e l'Europa, fra il miraggio dell'occidente e il difficile ritorno al paese di origine.
Restando inchiodato al suo personaggio, Gerima traduce la storia collettiva in un volto, specchiandolo nel proprio passato alla ricerca della propria identità individuale e sociale. Teza è un altro frammento di memoria restituito dal regista etiope, intimamente coinvolto nella realtà politica e sociale del suo Paese, di cui riferisce sempre con un attenzione al di fuori di qualsiasi retorica nazionalistica. Ponendo in primo piano l'instabilità politica dell'Etiopia (prima, durante e dopo l'indipendenza), i problemi causati dalle amministrazioni autoctone e l'impatto distruttivo prodotto dalla cultura cristiana-occidentale e dal pensiero marxista su quella tradizionale, l'autore africano affronta la reale situazione e impegna il suo personaggio a costruire una nuova società, ponendo letteralmente mano (e gessetto) ai problemi che l'affiggono. Marzia Gandolfi

The Line

the line from Ivan Phinogeyev on Vimeo.



Un cortometraggio russo che racconta la vita e la morte in perfetto stile surrealista.

sceneggiatura e regia: Boris Dobrovolskiy
riprese: Ivan Phinogeyev
artist: Elizabeth Tsymbarevich
suono: Nelly Ivanova

via


Aspettando "Lo spazio bianco"

Francesca Comencini presenta "Lo spazio bianco"



Lo spazio bianco di Francesca Comencini racconta con sensibilità l'attesa di una donna accanto alla figlia nata prematuramente
È un tempo spezzato, senza più direzione e senso, quello in cui rischia di perdersi la protagonista di Lo spazio bianco (Italia, 2009, 96'). Tratto da un libro di Valeria Parrella, il film di Francesca Comencini e della cosceneggiatrice Federica Pontremoli racconta la storia di una maternità. Anzi, racconta la storia di due maternità, una anche di sangue e di carne, e l'altra solo di testa e di cuore. Non più giovanissima, ogni sera Maria (Margherita Buy) insegna italiano a un piccolo gruppo di uomini e donne adulti. È un mestiere minore, il suo. Almeno, così lo valuterebbe l'immaginario dominante e vincente. Tra i suoi allievi ci sono immigrati, disoccupati, in genere scarti, residui di una società crudele e distratta. Questa è la sua prima maternità, questa sua "cura" generosa e silenziosa di un'umanità altrimenti abbandonata. Maria è non solo insegnante, ma anche madre dei suoi allievi. Li accompagna verso un traguardo, la licenza media, che per loro può essere l'inizio di una vita nuova.
In questa sua maternità di testa e di cuore, appunto, Maria è sola. Sera dopo sera, la piccola classe viene spostata in giro per Napoli: ora in un'aula provvisoriamente "rubata" a una scuola diurna, ora in qualche palazzo pubblico inutilmente colmo di antichi splendori, ora in uno squallido e anonimo deposito perduto nel degrado urbano. Lo stato non li vuole,né li vuole la città,questi scarti e residui d'esseri umani. Anche lei, Maria, sembra vivere una vita ai margini della vita. È sola, forse dopo un amore finito. Di sicuro, la felicità che le resta non va molto oltre la platea di un cinema nel quale passa i suoi pomeriggi. Questo è il suo tempo, dunque: un susseguirsi ordinato e grigio di giorni e di ore, in un presente che non lascia spazio all'imprevisto. Poi, proprio al cinema, incontra Pietro (Guido Caprino). Forse è un inizio, qualcosa che può muovere la sua vita verso il futuro. E quando resta incinta quel futuro sembra a portata di mano. In fondo, non conta che Pietro fugga via, spaventato dalla responsabilità. Conta che un figlio (una figlia) stia per entrare nella sua solitudine, aprendola e cancellandone il grigio. Non si direbbe una storia "straordinaria", questa raccontata da Lo spazio bianco, se non per il distacco inusuale di Maria dalla volgarità quotidiana e dalla quotidiana indifferenza. Per il resto, sembra una normale vicenda di biografie che s'avvicinano e poi s'allontanano, ognuna dando la misura di sé, del proprio coraggio o della propria paura. Invece, di colpo, nella sua storia entra l'eccezione, una delle più terribili. La figlia che le sta nascendo le viene strappata via da qualcosa che le si ribella contro nel suo stesso corpo. È questo che spezza il tempo, il suo e quello della narrazione cinematografica. Così come ai suoi occhi, anche ai nostri il prima e il poi si confondono. Con intelligenza e sensibilità, la sceneggiatura non si preoccupa di mettere in fila, uno dietro l'altro, i fatti che portano Maria in ospedale, e che la costringono a passare giorni e settimane accanto al bianco tecnologico e asettico di un'incubatrice. Semplicemente, improvvisamente, la racconta e la mostra svuotata della vita che la riempiva, e anzi svuotata d'ogni vita.
La sua angoscia, sconfinata e inafferrabile, nasce dalla separazione fisica da Irene, come la convince a chiamare la figlia non ancora nata Giovanni (Gaetano Bruno), il "dottorino" che la assiste. E questa angoscia la induce a smettere d'esser madre dei suoi allievi, che abbandona alla loro fatica d'ogni sera. D'altra parte, non c'è più sera e non c'è più giorno nella sua vita. Immobile, quasi incatenata all'incubatrice, il tempo le si è ridotto a un presente senza direzione né senso. Del passato le giungono solo immagini frammentarie: l'amore di Pietro, soprattutto, e la sua fuga nella simmetria insensata della marcia di un gruppo di turisti irreggimentati in piazza del Plebiscito, nel centro di Napoli; e poi anche lo spezzarsi nel suo corpo del legame con la figlia. Quanto al futuro, ogni sua immagine s'è persanella mancanza che le si è aperta dentro.
Questa mancanza, per paradosso, è però anche tutto ciò che le resta. Solo lì, in quello spazio vuoto abissalmente suo, può e deve ritrovarsi. Nella figlia non ancora nata, ma neppure ancora morta, può e deve imparare a diventar madre, o a ridiventarlo: madre di Irene, e madre anche degli scarti e dei residui d'umanità affidati alla sua cura d'insegnante. Con amore e pudore, il cinema di Francesca Comencini e la recitazione di Margherita Buy la accompagnano in questo suo lavoro interiore, in questa sua difficile, incerta, coraggiosa ricostruzione del tempo.
Da Il Sole-24 Ore, 25 Ottobre 2009

1.2,3,...

Vi proponiamo questo divertente modo di contare:

Lenny Abrahamson

Oggi vi parliamo di Lenny Abrahamson, regista che incontreremo venerdì con il film Garage.

Nel giugno dello scorso anno Lenny Abrahamson ha seupervisionato la realizzazione di un film collettivo realizzato in occasione del Darklight Film Festival

Dublin 26-06-08: the Movie from Dublin the Movie: 26-06-08 on Vimeo.

Questo film è stato interamente girato tra le 12.01 e le 23.59 del 26 giugno 2008:
una sorta di archivio Frankenstein della città di Dublino e delle vite di giovedi 26 giugno 2008.
Il prodotto finale è un collage di 30 esperienze visive girate da team o singoli filmmaker: dei migliori talenti artistic i irlandesi.
Il regista Lenny Abrahamson ha curato l'intero film e remixato la modifica in 4 giorni.
Questi i filmmakers:
Rebecca Daly | Peter 'Magic' Johnson | Gavin Kelly/Piranha Bar | Rachel Rath/The Attic Studio | Carmel Winters | Jason Figgis | Yolanda Barker | Simon Gibney | Frances Roe | Conor McMahon | Jessie and Sue LoveAction | Aine Ni Fhaolain | Marc-Ivan O'Gorman | Derek O'Connor | Paddy Jolley| Emer Martin | David Crann | Aaron O'Reilly | Conor Barry et al | Graham Cantwell | Donal Scannell | Ruairi O Brien | Tristan Hutchinson | Daniel O'Hara | Miriam and Diolmhain | Ingram | Kevin Marron| Vj Voytas | Denise Woods | Jesus Urda | Enda Mac Nally, Michael Lathrop, David Chandler | Andrew McAvinchey | Lenny Abrahamson | Declan Lynch

Il tutto ci riporta ai tempi dei Misteri di Roma, film collettivo coordinato da Cesare Zavattini.

Skhizein Animation


Vi presentiamo questo curioso cortometraggio dell'illustratore francese Jeremy Clapin

All'opera!



Inizia domenica 1° novembre la rassegna "Opera 2009-2010" che vedrà la proiezione ogni prima domenica del mese di una famosa Opera dai più belli teatri d'Italia.

dom 01_11 ore 17


un’opera di Giuseppe Verdi
dall’Arena di Verona

Direttore: Daniel Oren
Regia: Denis Krief
Scenografia: Denis Krief
Costumi: Denis Krief
Maestro del coro: Marco Faelli
Direttore del corpo di ballo:
Maria Grazia Garofoli
Interpreti:
Nabucco – Leo Nucci
Ismaele – Fabio Sartori
Zaccaria – Carlo Colombara
Abigaille – Maria Guleghina
Fenena – Nino Surguladze
Gran Sacerdote di Belo – Carlo Striuli
Abdallo – Carlo Bosi
Anna – Patrizia Cigna
Nuovo Allestimento
Orchestra, Coro, Corpo di ballo e tecnici
dell’Arena di Verona


biglietto intero € 12 - biglietto ridotto opera under 20 anni € 6

Per le successive proiezioni consultate il menu a destra.

Garage

ven 30_10 ore 21.15


Regia: Leonard Abrahamson
Sceneggiatura: Mark O'Halloran
Attori: Pat Shortt, Anne-Marie Duff, Conor Ryan, Don Wycherley
Fotografia: Peter Robertson
Musiche: Stephen Rennicks
Produzione: Element Pictures, Broadcasting Commission of Ireland, Film4
Paese: Irlanda 2007
Genere: commedia/drammatico
Durata: 85 min



Un'anonima e semi deserta cittadina irlandese. Un luogo grigio e monotono dove tutti conoscono tutti, dove il bar in cui andare la sera è uno solo. Josie potrebbe essere il classico "matto del vilaggio": vive e lavora da sempre in una stazione di servizio, ha la bontà propria dell'ingenuità e il sorriso sempre pronto. Un giorno ad aiutarlo nel lavoro arriva David, adolescente altrettanto solitario e buono. Quest'incontro cambierà per sempre la vita di Josie.
Garage, vincitore al Festival di Torino nel 2007, è un piccolo grande dramma della solitudine. È un'indagine umana, scarna e diretta, sulla vita di un uomo e sulla società che lo circonda. Josie, interpretato con grande maestria e partecipazione da Pat Shortt, è un uomo che vive in un mondo tutto suo, fatto di lavoro e piccole conversazioni, di scherni da parte dei bulli del paese e di confidenze da parte di coloro che sono più soli di lui. Un uomo disponibile, un uomo onesto, un uomo che ha delle qualità poco adatte alla società del terzo millennio e che quindi diventa disadattato.
Il regista Lenny Abrahamson racconta questa esistenza e la solitudine che la circonda con schiettezza e rigore donando alla pellicola un sapore bivalente: se addirittura si arriva a ridere o quanto meno a sorridere, è un riso amaro, che lascia immediatamente spazio a una tenerezza malinconica e riflessiva.
Un piccolo grande film, grigio e insieme colorato: se infatti tutto l'ambiente che circonda Josie è fatto di tinte plumbee è proprio quest'uomo a dare gioia. Facendo capire quanto sia obbligatorio essere ottimisti e felici di tutto ciò che ci circonda. Perché anche la vita che apparentemente sembra essere la più desolata e triste ha in sé delle piccole grandi gioie da cogliere senza titubare.
Un personaggio che ricorda un po' quelli loachiani, dalla purezza indiscussa e dalla forza di volontà disarmanti. Un film (che arriva con grande ritardo nelle sale italiane) da vedere per apprezzarne la genuinità e il sapore d’altri tempi. Letizia della Luna

Lo spazio bianco


sab 31_10 ore 21.15
dom 01_11 ore 21.00

sab 07_11 ore 21.15
dom 08_11 ore 18.00 e 21.00

REGIA: Francesca Comencini
CAST: Margherita Buy, Salvatore Cantalupo,
Guido Caprino, Maria Paiato, Gaetano Bruno,
Antonia Truppo, Giovanni Lude
GENERE: Drammatico
ANNO PROD: 2009
NAZIONALITÀ Italia






Maria, insegnante di italiano in una scuola serale di Napoli, vive da sola, senza genitori né amanti. Tra una confidenza all’amico Fabrizio e un ballo in discoteca, trascorre i pomeriggi al cinema, dove incontra Pietro, ragazzo padre in preda a una crisi isterica del figlioletto. I due si frequentano, hanno una relazione e Maria rimane incinta. Alla notizia, il compagno non ne vuole sapere, rifiuta di partecipare alla gravidanza, non vuole prendersi responsabilità e, quando la bambina nasce prematura, Maria dovrà affrontare il calvario dell’attesa completamente da sola.
La nascita di un bambino prematuro spezza il naturale percorso di crescita di madre e bambino. Con l’interruzione – seppur transitoria - dell’evoluzione fisica della piccola creatura, si sospende anche la preparazione psicologica di chi lo ha portato in grembo fino a quel momento. Impotente di fronte ad un’incubatrice algida e ostile, Maria non può fare altro che rimanere in attesa di un’epifania che illumini una strada da seguire. La rivelazione del destino di Irene, indecisa tra nascita e morte, ‘incubata’ anch’essa in un processo di maturazione, si trattiene e svela, con parsimonia, solo piccoli segni di vita: il monitor che conferma il battere del cuoricino, e il ritmo, fin troppo costante, del respiro costretto a tubi e pompe ospedaliere.
Il tempo passa, lasciando il segno del suo spietato scorrere verso il futuro sull’animo della madre, costretta a rimanere bloccata nello ‘spazio bianco’ del titolo, dove vita e morte coincidono. La toccante storia di Maria, alle prese con una gravidanza inaspettata e tardiva, viene narrata con dolcezza, senza accomodanti: la protagonista, inizialmente infastidita da tutte le preoccupazioni tipiche da mamma (i primi vestitini e i disegni infantili), impara assieme alla figlia ad avvicinarsi al compito della maternità. Non è sicura di voler accettare la responsabilità di una bimba da crescere, fatica ad avere pazienza, vorrebbe scoprire subito se la piccola Irene ce la farà. La figura di Margherita Buy, svestita dai tic nervosi a cui ci ha abituato, viene incessantemente seguita dalla macchina da presa e inquadrata in primi piani commoventi, difficili da sostenere. Attorno a lei, si muovono personaggi che hanno subito il dramma della rinuncia: la dirimpettaia magistrato, costretta a vivere scortata e lontano dai figli, gli attempati alunni della scuola, in difficoltà con Dante e Leopardi, le madri dell’ospedale, private della giovinezza dall’arrivo casuale di un figlio. Sono figure di contorno che vanno avanti, accecate dalle incombenze quotidiane, ma capaci di esprimere grande umanità. In qualche modo, tutte contribuiscono a dare un senso compiuto alla maternità di Maria, aiutandola ad affrontare il dolore, anche quando rimangono apparentemente lontani dall’evoluzione degli eventi.
Lo stile narrativo della Comencini, posato e realistico come in passato, si apre questa volta anche alla forza visionaria di alcune scene surreali (il ballo delle madri, la scomparsa di Pietro dietro una folla di scout in piazza Plebiscito), intermezzi dell’anima che esprimono la parte più intima e personale della protagonista. Nell’attesa di un segno rivelatore, di un cambiamento, di un assestamento, le tende dell’ospedale si aprono e si chiudono segnando il repentino passaggio dall’insicurezza a brevi momenti di gioia, dallo sconforto alla speranza. La musica, tutta al femminile (Blondie, Nina Simone, Cat Power, Ella Fitzgerald), avvolge il dramma dell’attesa in una delicatezza priva di facili sentimentalismi, accarezzando la storia e infondendole forza e tenacia. Un modo raro di raccontare che porta l’attenzione su uno dei momenti più straordinari della vita di una donna. Tra il ‘bianco’ che annulla e contiene tutte le emozioni e lo ‘spazio’ dell’anima, dove la nascita di un figlio riserva un posto speciale. Nicoletta Dose