Videodrome 1/3: Moon


ven 07_05
dalle ore 21.30

REGIA: Duncan Jones
SCENEGGIATURA: Nathan Parker
ATTORI: Sam Rockwell, Kevin Spacey, Malcolm Stewart, Dominique McElligott, Kaya Scodelario, Benedict Wong, Matt Berry, Robin Chalk
FOTOGRAFIA: Gary Shaw
MONTAGGIO: Nicolas Gaster
PRODUZIONE: Liberty Films UK, Lunar Industries, Xingu Films
PAESE: Gran Bretagna 2009
GENERE: Fantascienza, Thriller
DURATA: 97 Min






L'energia sulla Terra non è più un problema, la Lunar ha trovato il modo di generarne in maniera pulita e non dannosa sfruttando il materiale di cui sono composte le rocce presenti sul lato oscuro della Luna. A sorvegliare il lavoro dei macchinari è stata posta una base sul satellite naturale della Terra abitata unicamente da un computer tuttofare dalla voce umana e da un uomo, solo, quasi arrivato al termine dei suoi tre lunghissimi anni di contratto e sempre più vittima degli scherzi che stanchezza e solitudine gli procurano. Sarà un incidente quasi mortale a scardinare il meccanismo di inganni che si cela dietro il suo lavoro mettendolo a contatto inaspettatamente con un altro se stesso.
Probabilmente hanno mangiato gallette di riso razionando l'acqua per tutto il tempo della lavorazione per riuscire a realizzare un film simile con il ridicolo budget di 5 milioni di dollari. Scenografie prolungate al digitale, alcuni trucchi poveri (ma efficaci!) e un bel teatro di posa attrezzato a dovere, tanto è bastato al regista Duncan Jones per fare del suo primo film una vera opera di fantascienza classica.
Jones dimostra di sapere bene che la fantascienza è dentro la testa dello spettatore, il quale non ama le astronavi in sé ma quell'infinita e misteriosa desolazione degli spazi silenti dentro i quali esse si muovono, che costringe i personaggi ad andare alle radici del concetto di "umanità", rivedendo il rapporto che hanno con gli altri o con le macchine. Ed è proprio questa la cosa più piacevole di Moon: trovare che finalmente lo spazio torna ad essere non tanto un teatro d'azione e guerra ma l'ultimo grande luogo sconosciuto, l'unico nel quale sia ancora possibile immaginare o temere di poter trovare alieni a metà tra organico e inorganico, forze che materializzano i pensieri individuali o addirittura i confini della fisica e l'origine dell'uomo. Sulla loro Luna Duncan Jones e lo sceneggiatore Nathan Parker immaginano di trovare l'altro per eccellenza ovvero la propria copia esatta.
Forse però la freccia più affilata di Jones è la maniera con la quale gioca con le aspettative dello spettatore realizzando un film che non cita ma copia letteralmente molti elementi di classici come 2001: odissea nello spazio o Blade Runner. Jones ne replica i presupposti al fine di suscitare una reazione spontanea nello spettatore e poi tradirla. GERTY, il computer di bordo tuttofare dalla voce monocorde, non solo ricorda H.A.L. 9000 ma sembra seguirne il solco, almeno fino ad un certo punto, allo stesso modo le geometrie esagonali che compongono la base lunare, l'eccesso di bianco e nero, le tute, i caratteri delle scritte sugli schermi e tutta la tecnologia fatta di videotelefoni e pulsantini illuminati non sono in linea con quello che oggi al cinema immaginiamo per il nostro domani ma con quello che immaginavamo potesse essere il nostro futuro nell'era d'oro della fantascienza.
Stando sulle spalle dei giganti Jones guarda più lontano degli altri facendoci respirare l'aria del miglior cinema e riservandosi il diritto (tutto contemporaneo) ad una diversa visione della dialettica tra macchina e uomo (e più in grande tra spirito e materia), in linea con quello che fa anche un altro capolavoro della fantascienza moderna come Wall-e. Al tempo stesso però quando si tratta di tirare le fila delle molte carte calate sul tavolo sembra che il peso delle aspettative schiacci l'ambizioso esordio del figlio di David Bowie in un finale che, sebbene adeguato, non è all'altezza delle premesse. Moon poteva essere un disastro, eccessivamente modellato com'è su capolavori irraggiungibili, e invece è una piccola perla di un tipo di cinema che non si fa più da anni. Gabriele Niola

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