IL RESPONSABILE DELLE RISORSE UMANE
venerdì 25_03 ore 21.15
EGIA: Eran Riklis
ATTORI: Mark Ivanir, Gila Almagor, Julian Negulesco, Ruoli ed Interpreti
PAESE: Germania, Francia, Israele 2010
GENERE: Drammatico
DURATA: 103 Min
Soggetto: Ispirato all'omonimo libro di Abraham Yehoshua edito in Italia da Einaudi.
Note: Premio del Pubblico Festival di Locarno 2010.
Licenziamenti e assunzioni all'ordine del giorno. Il mestiere del responsabile delle risorse umane sta tutto lì: conoscere i candidati, sottoporli a colloquio e infine accettarli o rimandarli a casa alla ricerca di un'altra opportunità. Semplice, chiaro e diretto. Talmente meccanico da ridurre al minimo le implicazioni umane degli incontri e ampliare al massimo quelle utilitaristiche. Può capitare quindi di scordarsi volti e nomi dei propri dipendenti, così come accade al protagonista del film, accusato da un giornalista d'assalto di non essersi interessato alla morte tragica di una ex dipendente, rimasta uccisa in un attentato terroristico in Israele. Nessun parente reclama il suo corpo e il manager, messo alle strette dal senso di colpa, decide di partire per un lungo viaggio verso il paese natale della ragazza, un villaggio sperduto nella fredda Romania, alla ricerca di un parente disponibile a fare il riconoscimento. Lontano da casa e dagli affetti, troverà l'occasione per riflettere su se stesso.
Tratto da un romanzo di Abraham B. Yehoshua, il film di Riklis smorza l'intensità drammatica dei lavori precedenti, per approdare ad un road movie picaresco dai toni semiseri ma dai risvolti esistenziali. Le lunghe pause tra un dialogo e l'altro, caratteristica predominante de Il giardino di limoni, qui si arricchiscono di accenti avventurosi che rendono più briosa la narrazione. I personaggi si spostano da un luogo all'altro, non rimangono fermi a guardare il corso delle cose; il giornalista rincorre il successo e un'idea di onestà intellettuale alquanto discutibile ma vive ancora con la madre e si ostina a rifiutare una certa maturità. Il manager è in baruffa con moglie e figlia ma si aggrappa alla speranza di un riscatto morale, vede nella disgrazia l'occasione di rinascita personale.
Attorno ai due personaggi contrapposti, ruotano il figlio ribelle della donna, un marito irresponsabile e due buffi ambasciatori del consolato. Donne e uomini che si confrontano con l'identità della ragazza uccisa, che non compare mai se non in una fotografia sfocata e in un breve video. Quella conformità costruita e cresciuta sulle tappe del viaggio in corso è un corpo fisicamente assente ma molto presente con il carico di ricordi che ha lasciato alle persone care. La meta è, sì il raggiungimento della madre della vittima, l'unica che può riconoscere la salma, ma è anche il motivo della riconciliazione del protagonista con la parte umana di sé, andata perduta ormai da tempo. La passionalità della storia, di per sé ricca di suggestioni evocative, non attraversa le immagini del cinema. Riklis frena i suoi intenti e ci lascia spazio all'interpretazione, dandoci però pochi punti di riferimento. Chi sta a guardare sente di essere in balia di qualcosa, ma non accede fino in fondo alla verità dei fatti. Un piccolo messaggio però arriva: abbiamo tutti delle "risorse umane" alle quali badare, al di là di confini e frontiere. Nicoletta Dose
EGIA: Eran Riklis
ATTORI: Mark Ivanir, Gila Almagor, Julian Negulesco, Ruoli ed Interpreti
PAESE: Germania, Francia, Israele 2010
GENERE: Drammatico
DURATA: 103 Min
Soggetto: Ispirato all'omonimo libro di Abraham Yehoshua edito in Italia da Einaudi.
Note: Premio del Pubblico Festival di Locarno 2010.
Licenziamenti e assunzioni all'ordine del giorno. Il mestiere del responsabile delle risorse umane sta tutto lì: conoscere i candidati, sottoporli a colloquio e infine accettarli o rimandarli a casa alla ricerca di un'altra opportunità. Semplice, chiaro e diretto. Talmente meccanico da ridurre al minimo le implicazioni umane degli incontri e ampliare al massimo quelle utilitaristiche. Può capitare quindi di scordarsi volti e nomi dei propri dipendenti, così come accade al protagonista del film, accusato da un giornalista d'assalto di non essersi interessato alla morte tragica di una ex dipendente, rimasta uccisa in un attentato terroristico in Israele. Nessun parente reclama il suo corpo e il manager, messo alle strette dal senso di colpa, decide di partire per un lungo viaggio verso il paese natale della ragazza, un villaggio sperduto nella fredda Romania, alla ricerca di un parente disponibile a fare il riconoscimento. Lontano da casa e dagli affetti, troverà l'occasione per riflettere su se stesso.
Tratto da un romanzo di Abraham B. Yehoshua, il film di Riklis smorza l'intensità drammatica dei lavori precedenti, per approdare ad un road movie picaresco dai toni semiseri ma dai risvolti esistenziali. Le lunghe pause tra un dialogo e l'altro, caratteristica predominante de Il giardino di limoni, qui si arricchiscono di accenti avventurosi che rendono più briosa la narrazione. I personaggi si spostano da un luogo all'altro, non rimangono fermi a guardare il corso delle cose; il giornalista rincorre il successo e un'idea di onestà intellettuale alquanto discutibile ma vive ancora con la madre e si ostina a rifiutare una certa maturità. Il manager è in baruffa con moglie e figlia ma si aggrappa alla speranza di un riscatto morale, vede nella disgrazia l'occasione di rinascita personale.
Attorno ai due personaggi contrapposti, ruotano il figlio ribelle della donna, un marito irresponsabile e due buffi ambasciatori del consolato. Donne e uomini che si confrontano con l'identità della ragazza uccisa, che non compare mai se non in una fotografia sfocata e in un breve video. Quella conformità costruita e cresciuta sulle tappe del viaggio in corso è un corpo fisicamente assente ma molto presente con il carico di ricordi che ha lasciato alle persone care. La meta è, sì il raggiungimento della madre della vittima, l'unica che può riconoscere la salma, ma è anche il motivo della riconciliazione del protagonista con la parte umana di sé, andata perduta ormai da tempo. La passionalità della storia, di per sé ricca di suggestioni evocative, non attraversa le immagini del cinema. Riklis frena i suoi intenti e ci lascia spazio all'interpretazione, dandoci però pochi punti di riferimento. Chi sta a guardare sente di essere in balia di qualcosa, ma non accede fino in fondo alla verità dei fatti. Un piccolo messaggio però arriva: abbiamo tutti delle "risorse umane" alle quali badare, al di là di confini e frontiere. Nicoletta Dose
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