ven 2_12 ore 21.15 serata in collaborazione con l'associazione Bivacco
GENERE: Commedia , Drammatico ANNO: 2015 REGIA: Jean-Marc Vallée ATTORI: Jake Gyllenhaal, Naomi Watts, Chris Cooper, Polly Draper, Brendan Dooling, Wass M. Stevens, Tom Kemp SCENEGGIATURA: Brian Sipe FOTOGRAFIA: Yves Bélanger PAESE: USA DURATA: 100 Min
Trama
Davis Mitchell fatica a ritrovare un equilibrio dopo la tragica morte
della moglie. Quello che nasce come un banale reclamo a una società di
distributori automatici si trasforma in una serie di lettere, nelle
quali Davis fa delle confessioni personali inquietanti che catturano
l'attenzione di Karen, responsabile del servizio clienti. E così, due
perfetti sconosciuti stringono un legame molto profondo, che diventa per
entrambi un'ancora di salvezza.
Roberto Bolle è l’artista che ha regalato all’arte della danza l'entusiasmo riservato finora alle star del pop
ARRIVA AL CINEMA MARCONI
SOLO IL 22 NOVEMBRE 2016
ORE 18.00 E 21.15
ROBERTO BOLLE - L’ARTE DELLA DANZA
Il film/evento diretto da Francesca Pedroni è un viaggio intimo alla scoperta delle grandi interpretazioni di Roberto Bolle.
Con immagini esclusive dal palcoscenico e dal backstage di “Roberto
Bolle and Friends" attraverso tre luoghi simbolo del patrimonio
culturale italiano: l’Arena di Verona, il Teatro Grande di Pompei, le
Terme di Caracalla a Roma
«La danza è il fuoco che ho dentro. Mi ha formato, mi ha dato un'identità. L'uomo che sono ora lo devo alla danza». Roberto Bolle
Biglietto intero: 10,00 €; ridotto 8,00 € per prenotati alla mail info@cinemamarconi.com (prenotazione valida fino alle ore 12.00 del giorno di proiezione) e promozione speciale per gruppi. Contattaci!
gio 24_11 ore 21.15 sab 26_11 ore 21.15 dom 27_11 ore 18.00 e 21.15
GENERE: Thriller ANNO: 2016 REGIA: Tate Taylor ATTORI: Emily Blunt, Haley Bennett, Justin Theroux, Rebecca Ferguson, Luke Evans, Edgar Ramirez, Allison Janney SCENEGGIATURA: Erin Cressida Wilson FOTOGRAFIA: Charlotte Bruus Christensen MONTAGGIO: Michael McCusker PAESE: USA DURATA: 112 Min
Trama
La storia è quella di Rachel Watson, una giovane donna che non ha
superato il suo divorzio e il fatto che il suo ex si sia prontamente
risposato, e che si è attaccata troppo alla bottiglia, arrivando a
perdere anche il lavoro. Ciò nonostante, prende ogni mattina il treno
dei pendolari come se ancora dovesse recarsi in ufficio, guardando fuori
dal finestrino e fantasticando sulle cose e le persone che osserva: in
particolare, la sua attenzione si fissa su una coppia che, nella sua
immaginazione, ritiene perfetta. Un mattino, però, Rachel vede la lei
della coppia assieme a un altro uomo, e dopo pochi giorni la ragazza
sembra essere svanita nel nulla. Rachel inizierà a indagare sulla sorte
di questa sconosciuta, scoprendo una verità sconcertante.
GENERE: Drammatico , Guerra , Thriller ANNO: 2015 REGIA: Gavin Hood ATTORI: Helen Mirren, Aaron Paul, Alan Rickman SCENEGGIATURA: Guy Hibbert FOTOGRAFIA: Haris Zambarloukos MONTAGGIO: Megan Gill MUSICHE: Paul Hepker, Mark Kilian PAESE: Gran Bretagna DURATA: 102 Min
Trama
Il colonnello Powell guida a distanza una squadra di militari
antiterrorismo nella cattura, in territorio kenyano, di una cittadina
inglese che ha rinnegato il proprio Paese per il fondamentalismo
islamico di Al Shaabab. Quando l'esercito, servendosi di droni, scopre
la verità sui piani dei terroristi l'urgenza di fermarli con ogni mezzo
diviene una priorità. Ma nei piani alti nessuno vuole prendersi la
responsabilità di un attacco letale e dei suoi danni collaterali.
Quasi una rappresentazione teatrale, in cui su un tema destinato a
dividere vengono esposti i diversi punti di vista. I tre poteri dello
stato - militare, giuridico e politico - si trovano a dover prendere una
decisione in nome del male minore. Qualcuno innocente, in ogni caso, si
farà male. Hood non fa sconti, esibendo cadaveri tra le macerie senza
morbosità, ma con il piglio verista di chi vuole ricostruire con la
massima fedeltà una vicenda esemplare. Sulla guerra che è e sulla guerra che sarà, soprattutto. Recensione
Se Michael Bay ha scelto di concentrarsi sull'eroismo dei riservisti e sugli errori dei burocrati e Andrew Niccol
sul dramma umano di chi gioca al videogame della guerra uccidendo
esseri umani in carne e ossa, a Gavin Hood interessa il dilemma morale. È
cinema antico il suo, che della contemporaneità utilizza la
moltiplicazione degli schermi e dei dispositivi o la prospettiva del
drone; il resto è classicità pura, affidata a due interpreti
straordinari. Helen Mirren sceglie il cuore in inverno del colonnello
Powell, consapevole della crudeltà di alcune scelte ma dedita
esclusivamente al raggiungimento del proprio obiettivo. Alan Rickman,
invece, nella sua ultima interpretazione, regala al generale Benson un
assaggio della sua inconfondibile ironia british.
Senza negare mai la propria funzione di film che si presta all'apertura
di un dibattito, il regista riesce umilmente a rinverdire i fasti di una
forma di cinema troppo spesso trascurata. L'anacronistico film-caso di
studio, figlio de La parola ai giurati di Sidney Lumet o, per restare in tema bellico, di Orizzonti di gloria di Kubrick,
si riconfigura come dialogo socratico: una meticolosa ricostruzione dei
fatti destinata a toccare dei nervi - politici, comportamentali, etici -
scoperti e a rendere problematica una presa di posizione chiara che
prescinda dalle ragioni dell'"altra parte". E il fatto che la sensazione
di imperdonabile indecisione di fronte al dubbio morale che attanaglia
sia ribaltata dallo schermo allo spettatore è fortemente voluto.
Elementi che, uniti alle interpretazioni inevitabilmente impeccabili di
Rickman e Helen Mirren, elevano Il diritto di uccidere al di sopra dell'aurea mediocritas in cui rischia, colpevolmente, di finire relegato. Emanuele Sacchi
Approfondimenti video foto scheda completa
GENERE: Drammatico ANNO: 2016 REGIA: Cristian Mungiu ATTORI: Adrian Titieni, Maria-Victoria Dragus, Ioachim Ciobanu, Vlad Ivanov SCENEGGIATURA: Cristian Mungiu MONTAGGIO: Mircea Olteanu PAESE: Romania, Francia, Belgio DURATA: 128 Min NOTE: Premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2016. Trama
Romeo Aldea è medico d'ospedale una cittadina della
Romania. Per sua figlia Eliza, che adora, farebbe qualsiasi cosa. Per
lei, per non ferirla, lui e la moglie sono rimasti insieme per anni,
senza quasi parlarsi. Ora Eliza è a un passo dal diploma e dallo
spiccare il volo verso un'università inglese. È un'alunna modello,
dovrebbe passare gli esami senza problemi e ottenere la media che le
serve, ma, la mattina prima degli scritti, viene aggredita brutalmente
nei pressi della scuola e rimane profondamente scossa. Perché non perda
l'opportunità della vita, Romeo rimette in discussione i suoi principi e
tutto quello che ha insegnato alla figlia, e domanda una
raccomandazione, offrendo a sua volta un favore professionale.
Recensione
Il protagonista di Bacalaureat ha provato, a suo tempo, a
cambiare le cose, tornando nel proprio paese per darsi e dargli una
prospettiva di rinnovamento, anzitutto morale. Non ha funzionato. Tutto
quello che ha potuto fare è restare onesto nel suo piccolo, mentre
attorno a lui la norma era un'altra. Trasparente nel mestiere, meno
nella vita sentimentale, perché la vita prende le sue strade, e non
tutto si può controllare. Ora però non si tratta più di lui: le biglie
dei suoi giorni trascorsi sono più numerose delle biglie nella boccia
dei giorni che gli rimangono. Ora si tratta di sua figlia, di impedire
che debba sottostare allo stesso compromesso, ovvero restare in un luogo
in cui le relazioni tra le persone sono ancora spesso fatte di
reciproci segreti, di silenzi da far crescere e redistribuire: una rete
che imprigiona e "compromette" la vera vita. Ma fino a che punto si ha
diritto di scegliere per i propri figli? Una rottura del proprio codice
morale, per quanto occasionale e dimenticabile come una pietra che
arriva improvvisa e rompe il vetro della finestra di casa, basta a
mettere in discussione l'intera costruzione?
Come in Oltre le colline
Mungiu s'interroga sulle conseguenza di una scelta, in un film però
molto diverso dal precedente, per certi versi più freddo ma anche più
morbido, in cui l'errore non è più lontano dalla presa in carico delle
conseguenze e delle responsabilità che ne derivano e dove la lezione
passa, aprendo forse davvero una seconda opportunità per il
protagonista, proprio in quell'aspetto del suo essere che credeva di
condurre al meglio: la paternità.
"Perché suoni sempre il clacson?" Domanda Eliza. "Per sicurezza." "Sì,
ma perché lo suoni anche quando non ci sono altre macchine?" L'ironia
della sorte, che nel cinema rumeno degli ultimi anni non manca mai, e
scorre tanto sotto le commedie grottesche che sotto i drammi più amari,
fa sì che il dottor Aldea agisca quando non c'è bisogno di farlo,
travolto dal terrore che il futuro di sua figlia possa andare
improvvisamente in frantumi come il vetro, quando in realtà sono la sua
età e la sua situazione che gli stanno domandando il conto. Marianna Cappi
gio 17_11 ore 21.15 sab 19_11 ore 21.15 dom 20_11 ore 18.00 e 21.15
GENERE: Commedia, Guerra, Sentimentale
ANNO: 2016
REGIA: Pif
ATTORI: Pif, Miriam Leone, Andrea Di Stefano, Stella Egitto, Aurora Quattrocchi, Robert Madison, Vincent Riotta, Maurizio Marchetti, Sergio Vespertino, Maurizio Bologna, Antonello Puglisi, Mario Pupella
SCENEGGIATURA: Pif, Michele Astori, Marco Martani
FOTOGRAFIA: Roberto Forza
PAESE: Italia
DURATA: 99 Min
Trama
New York 1943. Mentre il mondo è nel pieno della seconda guerra
mondiale, Arturo vive la sua travagliata storia d'amore con Flora. I due
si amano, ma lei è promessa sposa al figlio di un importante boss. Per
convolare a nozze, il nostro protagonista deve ottenere il sì del padre
della sua amata che vive in un paesino siciliano. Arturo, giovane e
squattrinato, ha un solo modo per raggiungere l'isola: arruolarsi
nell'esercito americano che si prepara per lo sbarco in Sicilia:
l'evento che cambierà per sempre la storia della Sicilia, dell'Italia e
della Mafia.
GENERE: Biografico , Drammatico ANNO: 2009 REGIA: Sherry Hormann ATTORI: Liya Kebede, Sally Hawkins, Timothy Spall SCENEGGIATURA: Sherry Hormann FOTOGRAFIA: Ken Kelsch MONTAGGIO: Clara Fabry MUSICHE: Martin Todsharow PAESE: Gran Bretagna, Germania, Australia, Francia DURATA: 120 Min
Trama
Waris è una bellissima ragazza somala che si ritrova
catapultata nel cuore di Londra, a piedi nudi e con un passaporto
fasullo in mano. A Londra incontrerà prima un'aspirante ballerina,
Marylin, che, malgrado il temperamento bizzarro e la diffidenza
iniziale, diventerà la sua migliore amica, e poi un celebre fotografo di
moda, che saprà riconoscere in lei il potenziale di apparire sulle
copertine di tutto il mondo. Ma Waris ha un passato oscuro, di cui fanno
parte alcuni eventi traumatici nella nativa Somalia: l'infibulazione
che tocca in sorte a moltissime bambine africane e il matrimonio
combinato, a 13 anni, con un vecchio di cui diventerebbe la quarta
moglie. Waris, il cui nome significa Fiore del deserto, si sottrae al
suo destino scappando prima a Mogadiscio poi in Inghilterra, dove
prenderà a poco a poco consapevolezza non solo della sua bellezza fuori
dal comune ma anche dei suoi diritti come donna e come essere umano.
Recensione Fiore del Deserto racconta la vera storia di Waris Dirie, top
model di fama internazionale nonché portavoce ufficiale della campagna
dell'Onu contro le mutilazioni femminili. Dirie ha ripercorso la sua
vita avventurosa nell'autobiografia su cui è basata la sceneggiatura del
film, scritta dalla regista americana di origini tedesche Sherry
Hormann, e realizzata da una giovane casa di produzione indipendente di
Verona, la Ahora! Film. La scelta più importante era naturalmente quella
della protagonista, ed è la più felice del film: ad interpretare Waris è
un'altra supermodella che proviene dalla stessa parte del mondo (anche
se è etiope e non somala), Liya Kebede, che al suo debutto
cinematografico si rivela non solo perfetta per il ruolo, ma anche
un'ottima interprete. È dai tempi dell'esordio di Audrey Hepburn, allora conosciuta solo come modella, in Vacanze romane
che non si vedeva un passaggio così riuscito dalle passerelle di moda
al grande schermo.
Kebede, di una bellezza devastante, sa essere leggera e profonda,
comunica gravitas africana e desiderio di emancipazione londinese,
grazia e timidezza, paura e determinazione, ingenuità e buon senso,
suprema vulnerabilità e altrettanto suprema dignità.
Accanto a lei funziona molto bene Sally Hawkins nei panni dell'amica
Marylin, in qualche modo non meno seducente di Waris, vulcanica e
pasticciona, goffa e sfacciata, sgarrupata e orgogliosa. Le scene fra le
due attrici sono le più divertenti di un film che deve raccontare anche
la tragedia ma riesce a farlo alternando il melodramma ai momenti
comici. Timothy Spall nei panni del celebre fotografo Terry Donaldson e
Juliet Stevenson in quelli della direttrice di un'agenzia di modelle con
la sindrome di Pigmalione sono adeguati comprimari.
Hormann ha un forte senso del cinema, evidente in alcune sequenze - come
la scena dello specchio e quella della scala mobile - e fa scelte
coraggiose come quella di mescolare orrore e comicità - la scena della
visita ginecologica - anche se talvolta cede alla sottolineatura
retorica, gravata da una musica incessante che accompagna tutte le parti
drammatiche del film. Ma è impossibile non innamorarsi di Waris-Liya
che saltella sul set fotografico o si raggomitola in un portone
londinese, che prima tiene gli occhi bassi per pudore e modestia e poi
li solleva con fierezza davanti alla sala conferenze del Palazzo di
vetro. Questa è quel che si chiama una star performance, e poiché il film si regge interamente su di lei, Liya Kebede traghetta Fiore del Deserto fuori dal pericolo di trasformarsi in un feuilleton televisivo. Paola Casella
GENERE: Documentario ANNO: 2016 REGIA: Ralph Loop SCENEGGIATURA: Ralph Loop PRODUZIONE: TV Plus Productions Germany, Medea Film - Irene Höfer, Nexo Digital DISTRIBUZIONE: Nexo Digital PAESE: Germania, Italia DURATA: 96 Min
A distanza di secoli l'opera di Botticelli continua a
coinvolgere ed emozionare. I suoi quadri più celebri portano nei musei e
nelle mostre di tutto il mondo migliaia e migliaia di visitatori ogni
anno. Tuttavia uno dei suoi disegni più intimi e misteriosi - forse uno
dei più importanti per comprenderlo nel profondo- è rimasto a lungo
chiuso nei depositi climatizzati del Vaticano. Si tratta del disegno
che Botticelli dedicò all'Inferno di Dante e che diventa oggi
protagonista di un film documentario originale, appassionato e
coinvolgente. Per secoli, la mappa dell'Inferno è rimasta chiusa nei
depositi Vaticani. Ma cosa spinse il maestro fiorentino - che tutti noi
conosciamo grazie alla "Nascita di Venere" e alla "Primavera" degli
Uffizi - a disegnare l'inferno dipinto da Dante? Qual è il segreto di
questa straordinaria opera d'arte? E in che modo rivela il lato oscuro e
meno noto di Botticelli? Botticelli - Inferno trasporterà gli spettatori in un altro
mondo: un viaggio nel sottosopra attraverso i nove livelli dell'inferno.
Proprio come nell'opera di Dante, infatti, solo attraversando Inferno e
Purgatorio si potrà giungere al Paradiso e uscire "a riveder le
stelle".
Botticelli fece rivivere le descrizioni dantesche in un totale di 102
disegni minuziosi. Il fulcro dell'opera è proprio la "Mappa
dell'Inferno": una sorta di guida attraverso l'inferno con tutti i suoi
vari livelli. Un lavoro affascinante e allo stesso tempo efferato su
peccatori e contrappassi, incubi e punizioni. Ma cosa ci racconta oggi
questa immagine oscura? Quanto svela di quel lato più inquieto e mistico
di Botticelli e quanto parla alle nostre anime moderne?
Lo scrittore e regista Ralph Loop ha creato un film che si rivela un
viaggio sontuoso in luoghi spesso inesplorati per avvicinarci all'uomo
Botticelli e al suo lavoro. Le riprese sono state realizzate in
Vaticano, a Firenze, Londra, Berlino e in Scozia durante l'estate del
2016. Proprio in occasione del film, la "Mappa dell'Inferno" è stata
digitalizzata con uno scanner ad altissima definizione che ha portato a
luce dettagli fino a quel momento invisibili ad occhio nudo.
Trama
Lucia e Maria sono amiche fin dal liceo, ma non potrebbero essere più
diverse: Lucia è esigente e rigorosa o, come direbbe Maria, "gufa e
spadona"; Maria si descrive come "morbida, positiva e vibrante" o, come
direbbe Lucia,"un po' mignotta". Anche il loro rapporto con gli uomini è
diametralmente opposto: Lucia, scottata da un matrimonio infelice, ha
elevato un muro ed è diventata una "donna di nessuno"; Maria invece è
una "donna di tutti" che colleziona avventure occasionali con partner
improbabili alla segreta ricerca dell'uomo giusto. A scompigliare le
carte arriva Luca, amante di una notte di Maria, 19 anni e una fame
inesauribile di sesso e di esperienza di vita. Le due amiche finiranno
per contenderselo, non secondo le trite dinamiche della competizione
"femminile", ma secondo un percorso di ricerca individuale della propria
identità.
Recensione
È proprio la reinvenzione dell'identità la principale chiave di lettura di Qualcosa di nuovo, basato sulla piéce teatrale La scena
scritta e diretta per il teatro da Cristina Comencini, e riadattata per
il grande schermo con la collaborazione alla sceneggiatura di Giulia
Calenda e Paola Cortellesi e il montaggio agile di Francesca Calvelli.
Identità di genere, innanzitutto, tanto femminile quanto maschile, in un
presente caratterizzato dalla rivoluzione dei ruoli e dei rapporti di
potere, dalla disgregazione della famiglia tradizionale e dalla crisi
economica, nonché dalla mancanza di un'educazione sentimentale e
sessuale che non insegni tanto come si indossi un preservativo, quanto
come si debba rispettare la natura e le inclinazioni altrui, e l'altrui
libertà di essere altro da noi.
Come ogni storia ben costruita (e rodata sulle assi di un palcoscenico) Qualcosa di nuovo
parla anche di altro: di maternità negata, ricattatoria, accogliente,
colpevole e generosa; di amicizia femminile, disposta alla solidarietà
ma anche esposta alla severità del reciproco giudizio; dell'esigenza
delle donne di avere accanto un uomo "ma anche": dolce ma anche forte,
comprensivo ma anche protettivo, dotato di sensibilità ma anche
virilmente assertivo, tenero ma anche muscoloso. E mentre le donne sono
specialiste nell'essere tante cose insieme, gli uomini sembrano
disorientati da queste aspettative (apparentemente) contradditorie.
Luca, ad esempio, si relaziona con coetanee che sembrano sapere
esattamente quello che vogliono, quando il ventenne maschio di oggi
difficilmente sa decidere di che colore scegliere la camicia al mattino.
Le "donne mature" Lucia e Maria, invece, hanno già superato la fase in
cui si attenevano rigidamente ai loro progetti di vita, e anche quella
del successivo smantellamento del castello di carte da loro costruito
con ottusa determinazione: sono dunque libere di sperimentare, anche con
un liceale che usa bene le mani ed è capace di ascoltare. Lucia e Maria
cominciano a dire a Luca quello che non riescono a dire a se stesse, e
scoprono quanto stia loro stretto il personaggio che si sono ritagliate
nel tempo.
Cristina Comencini ha un talento particolare per raccontare le
contraddizioni del femminile, toccando argomenti tabù e sfidando le
accuse di maschilismo che certamente verrebbero indirizzate ad un
regista uomo in almeno due scene. E la commedia le è particolarmente
congeniale perché le permette di veicolare domande scomode sotto le
mentite spoglie di battute umoristiche. La malinconia che sottende
l'intera vicenda non sfocia mai nel melodramma, anche se un po' di
amarezza in più sarebbe stata tollerabile anche dallo spettatore più
escapista.
Già dalla presentazione alternata inziale delle due protagoniste,
Comencini non si accontenta di riprodurre il suo testo teatrale fra
quattro mura, e anzi quelle pareti le scioglie, facendo letteralmente
entrare l'una nell'altra stanze di diverse abitazioni, perché le tre
vite che racconta si mescolano senza soluzione di continuità seguendo i
cambiamenti intimi (più ancora che interiori) dei personaggi. E se gli
scambi di battute rimangono talvolta troppo ancorati al testo teatrale
senza osare le acrobazie verbali (e fisiche) della screwball comedy che Qualcosa di nuovo era nata per essere, in alcuni monologhi le sceneggiatrici affondano il coltello nella piaga in modo coraggioso e commovente.
Paola Cortellesi è più efficace di Micaela Ramazzotti nel disegnare un
personaggio che esce gradualmente dallo stereotipo e conquista
credibilità (e cuore), e Eduardo Valdarnini, che ha la fisicità giusta
per il ruolo, sconta un'immaturità artistica che va a scapito, invece
che a favore, di Luca. Ma ciò che conta è che a questi tre esseri umani
imperfetti si vuole bene, si segue la loro intricata vicenda sospendendo
l'incredulità e ci si porta dietro interrogativi cui non è facile
rispondere.
Paola Casella
GENERE: Drammatico ANNO: 2015 REGIA: Dalibor Matanic ATTORI: Tihana Lazovic, Goran Markovic, Nives Ivankovic, Dado Cosic, Stipe Radoja SCENEGGIATURA: Dalibor Matanic MONTAGGIO: Tomislav Pavlic PRODUZIONE: Kinorama, Gustav Film, See Film DISTRIBUZIONE: Tucker Film PAESE: Croazia DURATA: 123 Min Trama
1991. Jelena e Ivan si amano stanno per lasciare i paesi in cui vivono
per trasferirsi a Zagabria. Ma lei è serba e lui croato e i primi
segnali dell'esplodere dell'odio etnico non aiutano questo loro
progetto. 2001. Dopo il conflitto la giovane serba Nataša torna con la
madre nella casa in cui avevano vissuto e in cui la guerra ha lasciato
profonde ferite che segnano anche gli animi. Ante, croato, accetta di
lavorare nell'edificio per riattarlo ma la ragazza non sopporta la sua
presenza. 2011. Luka, croato, torna al paese in occasione di una festa
dopo una lunga assenza. Va a trovare i genitori che non vede da tempo
ma, soprattutto, decide di recarsi a casa di Marija, serba con la quale
ha avuto molto di più di una relazione.
Recensione
Sembra appartenere ad un lontano passato il conflitto che ha
insanguinato i Balcani tanto che le generazioni più giovani spesso ne
sanno poco se non addirittura nulla. È a loro in particolare che si
rivolge Dalibor Matanic con questo film che si inscrive, senza ombra di
dubbio, nel ristretto gruppo di opere che hanno saputo cogliere nel
profondo lo specifico del conflitto che tra il 1991 e il 1995 insanguinò
in maniera orribile l'ex Jugoslavia ma anche, e questo è il suo
straordinario pregio, le dinamiche che sono proprie di ogni guerra
civile. Lo fa attraverso tre storie in cui il rapporto amoroso diviene
cartina al tornasole per evidenziare la sofferenza ma anche la
possibilità di una speranza che tragga origine dall'accettazione
dell'altro visto come persona e non come appartenente a questa o quella
etnia o a questo o quello schieramento politico.
Si potrebbe lecitamente pensare ad un archetipo narrativo classico, a un
Romeo e Giulietta rivisitati nella contemporaneità ma non è così.
Perche Matanic ha conosciuto sulla sua pelle la realtà che porta sullo
schermo ed era pienamente consapevole del fatto che, nei Balcani, il
film avrebbe potuto avere un'accoglienza contrastata perché i lutti non
sono stati dimenticati e non tutte le ferite si sono rimarginate. Ma
proprio perché questo film guarda oltre ha il coraggio di ricordarci, in
un periodo in cui l'intolleranza sembra tornare a dominare le dinamiche
mondiali, che si può guardare alla realtà in modo diverso. Lo fa con
una scelta anche cinematograficamente non facile. Perché sceglie gli
stessi due straordinari giovani interpreti per tutte e tre le storie
costringendo lo spettatore a pensarli come diversi (con un diverso
passato, con differenti modi di guardare al presente e al futuro in
periodi cronologicamente ben distinti). Al contempo però ci chiede anche
di pensarli 'uguali', uguali a milioni di ragazzi e ragazze che vivono o
hanno vissuto in situazioni di conflitto in cui chi preferisce odiare
pensa di semplificare la vita appiccicando ad ognuno un etichetta che
lo renda immediatamente riconoscibile come amico o nemico e su questa
base (e solo su questa) decidere se eliminarlo o affiancarglisi.
Matanic non ci propone un embrassons nous retorico o quantomeno
utopico. Conosce il prezzo che tutti debbono pagare prima, durante e
dopo un conflitto ma pensa anche che sia possibile andare oltre pur non
dimenticando il passato. Per fare questo è necessario che la luce sia
allo zenit, che il sole sia alto, nonostante tutte le nubi che lo
possono nascondere alla vista della società e dei singoli. Giancarlo Zappoli
gio 27_10ore 21.15 sab 29_10ore 21.15 dom 30_10ore 18.00 e 21.15
GENERE: Drammatico , Azione ANNO: 2016 REGIA: Peter Berg ATTORI: Mark Wahlberg, Kurt Russell, Kate Hudson, Dylan O'Brien, John Malkovich, Gina Rodriguez, Brad Leland, J.D. Evermore, Joe Chrest SCENEGGIATURA: Matthew Michael Carnahan, Matthew Sand FOTOGRAFIA: Enrique Chediak MUSICHE: Steve Jablonsky PAESE: USA DURATA: 97 Min Trama
Il 20 aprile 2010 sulla piattaforma trivellatrice semisommergibile
Deepwater Horizon, situata al largo della costa della Lousiana, 126
lavoratori si sono trovati immersi nel peggior scenario possibile: una
devastante esplosione, che ha causato un inferno di fuoco, undici
vittime e uno sversamento di greggio nell'oceano riconosciuto come il
più grave disastro ambientale della storia.
Mentre le televisioni di tutto il mondo si sono concentrate per mesi
sulla portata del danno all'ecosistema, il film di Peter Berg torna
sulla piattaforma nel Golfo del Messico (ricostruita, poiché la British
Petroleum si è ben guardata dall'offrire supporto alla produzione) per
raccontare la giornata degli uomini e dell'unica donna sulla Deepwater,
la lotta strenua per la sopravvivenza e gli atti di estremo coraggio che
si sono verificati in quell'occasione. Il risultato è un disaster movie
avvincente e intelligente, che ha saputo indovinare la giusta
dimensione, un equilibrio riuscito tra dramma umano e componente
spettacolare, e nel quale non c'è spazio per la vaghezza tecnica e
logistica che in molti blockbuster funziona da alibi e da riempitivo.
Recensione
Oggettivando il pericolo sempre in agguato su questo genere di impianti
in una serie di piccoli contrattempi che si rivestono così,
automaticamente, della suspence del presentimento, e presentando la
forza d'animo dei personaggi che lavorano sulla piattaforma come una
verosimile qualità di partenza, quasi una dote, che si portano dietro
per necessità oltre che per virtù, Berg prepara con cura il terreno per
l'esplodere dell'imprevisto come una catastrofe annunciata ma anche come
un campo di guerra, dove regna il cameratismo e un senso di
condivisione della sorte. Deepwater non racconta, perciò, la vicenda di un uomo
ordinario - Mike Williams, capo tecnico elettronico della Transocean -
alle prese con una situazione straordinaria, o lo fa solo in apparenza,
mentre racconta in realtà di un uomo e di un gruppo di persone dal
coraggio quotidianamente straordinario, tali da meritare che le loro
gesta riempiano un film e che tale film non sia frutto di un romanzo di
fantasia sfrenata e catastrofica ma di una serie di dettagliate
interviste ai protagonisti e contenga perciò una dimensione di realismo
che si fa apprezzare.
Un buon disaster movie, dunque, che poggia su basi tragicamente reali,
che non sbandiera istanze generiche né gronda retorica (eccezion fatta
per il finalissimo, più a rischio in questo senso). E anche un film
sulla responsabilità e le sue due facce: quella penale, di chi ha preso
rischiose scorciatoie in nome del profitto, e quella morale, di chi,
invece, non si è affrettato ad abbandonare gli altri alla comoda
speranza di un colpo di fortuna.
Marianna Cappi
GENERE: Drammatico ANNO: 2015 REGIA: Pablo Trapero ATTORI: Guillermo Francella, Peter Lanzani SCENEGGIATURA: Pablo Trapero MONTAGGIO: Alejandro Carrillo Penovi, Pablo Trapero PAESE: Argentina, Spagna DURATA: 108 Min
Trama
Argentina inizio anni 80. All'apparenza una famiglia come le altre che
vive nel tranquillo paesino di San Isidro, in realtà un vero e proprio
clan che si guadagna da vivere con i sequestri di persona. Arquímedes,
il patriarca, è a capo delle operazioni. Alejandro, il suo figlio più
grande, è una star del rugby che gioca nel mitico team argentino "Los
Pumas". E' lui che adesca le vittime dei rapimenti tra i giovani
rampolli dell'alta società. I crimini del clan dei Puccio, famiglia che
gode della protezione del regime militare, riescono a passare
inosservati nella loro costante ferocia programmatica, ma prima o poi
finiscono con il coinvolgere tutti in una crescente spirale di violenza,
dove è colpevole anche chi assiste in silenzio. Ispirato ad un episodio
realmente accaduto, il film racconta insieme alla storia di una
famiglia anche quella di un intero Paese, nella sua delicatissima fase
di transizione dalla feroce dittatura militare ad una fragile
democrazia.
gio 20_10ore 21.15 sab 22_10ore 21.15 dom 23_10ore 18.00 e 21.15
GENERE: Drammatico ANNO: 2016 REGIA: Ivano De Matteo ATTORI: Margherita Buy, Valeria Golino, Andrea Pittorino, Caterina Shulha, Bruno Todeschini SCENEGGIATURA: Valentina Ferlan, Ivano De Matteo FOTOGRAFIA: Duccio Cimatti MONTAGGIO: Marco Spoletini MUSICHE: Francesco Cerasi PAESE: Italia DURATA: 107 Min Trama
In fuga da un marito violento, Anna e il figlio Valerio sono accolti a
Torino in casa di Carla, attrice di teatro e amica di Anna di vecchia
data. I due cercano di adattarsi alla nuova vita tra tante difficoltà e
incomprensioni, ma l'aiuto di Carla e quello inaspettato di Mathieu, un
ristoratore francese che vive nel quartiere, gli faranno trovare la
forza per ricominciare.
NOTE: Presentato al Festival di Cannes 2016 nella Quinzaine des Réalisateurs.
Trama
Carcere minorile. Daphne, detenuta per rapina, si innamora di Josh,
anche lui giovane rapinatore. In carcere i maschi e le femmine non si
possono incontrare e l'amore è vietato: la relazione di Daphne e Josh
vive solo di sguardi da una cella all’altra, brevi conversazioni
attraverso le sbarre e lettere clandestine. Il carcere non è più solo
privazione della libertà ma diventa anche mancanza d'amore. FIORE è il
racconto del desiderio d'amore di una ragazza adolescente e della forza
di un sentimento che infrange ogni legge.
gio 13_10ore 21.15 sab 15_10ore 21.15 dom 16_10ore 18.00 e 21.15
GENERE: Commedia , Sentimentale ANNO: 2016 REGIA: Woody Allen ATTORI: Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Steve Carell, Blake Lively, Jeannie Berlin, Sheryl Lee, Corey Stoll, Parker Posey, Anna Camp, Stephen Kunken, Paul Schneider, Ken Stott, Paul Schackman, Sari Lennick, Don Stark, Gregg Binkley, Anthony DiMaria SCENEGGIATURA: Woody Allen FOTOGRAFIA: Vittorio Storaro PAESE: USA DURATA: 96 Min
New York, anni Trenta. Bobby Dorfman lascia la bottega del padre e la
East Coast per la California, dove lo zio gestisce un'agenzia artistica e
i capricci dei divi hollywoodiani. Seccato dall'irruzione del nipote e
convinto della sua inettitudine, dopo averlo a lungo rinviato, lo riceve
e lo assume come fattorino. Bobby, perduto a Beverly Hills e con la
testa a New York, la ritrova davanti al sorriso di Vonnie, segretaria (e
amante) dello zio. Per lui è subito amore, per lei no ma il tempo e il
destino danno ragione al sentimento di Bobby che le propone di sposarlo e
di traslocare con lui a New York. Ma il vento fa (di nuovo) il suo giro
e Vonnie decide altrimenti. Rientrato nella sola città in cui riesce a
pensarsi, Bobby dirige con charme il "Café Society", night club
sofisticato che diventa il punto di incontro del mondo che conta.
Sposato, padre e uomo di successo, anni dopo riceve a sorpresa la visita
di Vonnie. Con lo champagne, Bobby (ri)apre il cuore e si (ri)apre al
dolce delirio dell'amore.
Commedia del piacere negato, Café Society è la cronaca di una
storia d'amore mancata che ribadisce quello che per Woody Allen conta da
sempre: il cinema, le donne, se stesso. Se stesso soprattutto perché la
singolarità dell'autore risiede nella persistenza con cui ha dato
centralità a un personaggio fino a mostrarne la crisi e lo svanire (Harry a pezzi, Hollywood Ending).
È una persistenza che evidentemente appartiene al comico ma che Allen
conduce sul piano della biografia seriale, declinata in diversi nomi,
diverse professioni, diverse età e persino diverse età del secolo. E
l'epoca questa volta è la seconda metà degli anni Trenta, Allen non
precisa l'anno esatto ma è la Storia a collassare nel cinema e a
depositare rovine nella commedia (i coniugi che hanno cenato con Adolf
Hitler) attraverso la voce over dell'autore che si ritaglia il ruolo di
narratore, misurando un dramma sentimentale con un dramma sociale. Non
calca la scena del suo locale e fuori campo ci racconta una nuova
storia, la storia di Bobby Dorfman in cui esprime ancora una volta il
suo eroe romantico, falso perdente, schlemiel solo presunto e
incarnato superbamente da Jesse Eisenberg. A lui, che arde di
esaltazione amorosa e voluttuosa ironia, Allen delega se stesso, un se
stesso più giovane e insicuro, ancora afflitto dai problemi con le
donne, che crede ancora alle parole definitive e non crede più alle
scene madri. Fuori dall'ombra in cui ha costruito i suoi migliori ruoli e
sovraesposto nella luce accecante della California, Eisenberg pronuncia
con esitante eloquio parole meditate e consapevolmente sbilanciate al
di là di se stesse, sciolte nella fluidità del dialogo e sostenute da un
sottotesto ritmico di meravigliosa resa comica.
Ma Café Society è tuttavia anche il trionfo dell'immagine autosufficiente. Tra grazia e catastrofe, tra guerra e pace,
tra Los Angeles e New York, tra esterni e interni, Allen dimostra cosa
sa fare col dialogo e cosa saprebbe fare senza perché il suo è un film
di décor sovradimensionato e sovraffollato, figurativamente audace. Dopo aver rivitalizzato il cinismo di Billy Wilder (Irrational Man), con Café Society riemerge lo splendore sofisticato di Ernst Lubitsch
svolgendo l'intermittenza amorosa di due personaggi inquieti lungo una
superficie scintillante che lascia affiorare l'emozione, rimanda la
realtà e approccia la morte non con l'arroganza di un giovane uomo che
crede di aver scoperto i segreti dell'universo (Amore e guerra)
ma con la saggezza di un vecchio signore che sa bene che il solo
viatico contro l'estinzione sono i ricordi. Quelli che disegnano il suo
intimo skyline, quello concreto della sua infanzia (Brooklyn) e quello
accessibile solo con l'immaginazione e la fotografia di Vittorio Storaro
(Manhattan).
Frammento di un unico e articolato biopic, Cafè Society rilancia la città-isola come il migliore dei mondi possibili, abitato in un breve incontro di sapore leaniano da Bobby e Vonnie, antenati di Alvy e Annie (Io e Annie)
che ci lasciano allo stesso modo ostaggi di un sentimento e ci
congedano in un clima di rinuncia e di struggimento da mélo. Ma
l'impossibilità di compiere il desiderio, di trovarsi o pensarsi in due,
stempera nella possibilità di richiamare alla memoria il primo amore
ogni giorno della vita e nella certezza che l'oggetto di quell'amore lo
ricambi nel medesimo istante. Istante perduto nel tempo e sciolto sul
volto di neve di Kristen Stewart.
Marzia Gandolfi