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VI PRESENTO TONI ERDMANN

Venerdì d'essai

ven 2_6 ore 21.15

Risultati immagini per Vi presento Toni Erdmann
ANNO: 2016
GENERE: Commedia
REGIA: Maren Ade
ATTORI: Peter Simonischek, Sandra Hüller
SCENEGGIATURA: Maren Ade
FOTOGRAFIA: Patrick Orth
MONTAGGIO: Heike Parplies
PRODUZIONE: Komplizen Film, Coop99 Filmproduktion, HiFilm
DISTRIBUZIONE: Cinema
PAESE: Germania, Australia
DURATA: 162 Min




Trama
Inès è una donna in carriera che lavora in una grande azienda tedesca a Bucarest. La sua vita sembra scorrere tranquilla fino all'arrivo improvviso di Winfried, suo padre, che le pone questa domanda: "sei felice?". La sua incapacità di rispondere alla domanda segna l'inizio di un profondo sconvolgimento. Questo padre ingombrante, sempre pronto a fare scherzi, e di cui lei si vergogna un po' farà di tutto per aiutarla a ritrovare se stessa inventandosi un buffo ed eccentrico personaggio: Toni Erdmann.

Recensione
Un insegnante di musica tedesco, Winfried (Peter Simonischek, attore austriaco di teatro), si preoccupa per la vita grama della figlia Ines (Sandra Huller), che lavora per una società di revisione a Bucarest, e pensa solo alla carriera. Alla morte del suo amato cane, Winfried si prende un mese di ferie e parte per Bucarest, dove bersaglierà la figlia con una serie interminabile di scherzi, sotto le mentite spoglie di Toni Erdmann, che oltre la marchio di casa, dei denti finti, indossa anche una inverosimile parrucca. Spacciandosi per uomo d’affari o ambasciatore tedesco, Toni creerà non pochi problemi lavorativi a Ines, che dopo aver cercato prima di allontanarlo e poi di fare buon viso a cattivo gioco, arriverà a prendere consapevolezza  che più di qualcosa, nella sua vita fatta di tantissimo lavoro, cattivo sesso, amicizie interessate e qualche riga di coca, non va.

E’ Vi presento Toni Erdmann, opera seconda scritta e diretta dalla 39enne tedesca Maren Ade, in concorso a Cannes 69, trionfatore agli Oscar europei e candidato come miglior film straniero ai recenti Academy Awards. Una commedia sui generis, che utilizza lo scherzo e la burla, il nonsense e l’assurdo diegeticamente per prendersi gioco della povera e seriosa Ines e metalinguisticamente per farsi beffe del cinema d’autore serioso e troppo compreso di sé.

Se sul primo livello, a parte qualche stracca di sceneggiatura (dura quasi tre ore, si potevano tagliare 50 minuti senza dolo) e qualche iterazione di troppo, si ride genuinamente della stigmatizzazione del carrierismo e dell’(in)esistenza workaholic, la riuscita sul secondo livello spiega, a nostro avviso, l’inserimento in Concorso in un festival che ha fatto della politique des auteurs, detta anche collezione di figurine, il proprio cavallo di battaglia.

Ottimi i due protagonisti: Simonischek mette anima, istrionismo e parrucco nella sua paterna persecuzione, e Sandra Huller è indomita – le scene di nudo: ha un corpo flaccido, ci vuol ancor più coraggio a mostrarlo – ha tanti registri e sfumature e regala un karaoke, dove canta la cover di The Greatest Love of All di Whitney Houston, da brividi, bloccando lo spettatore tra imbarazzo e ammirazione.

Non tutto funziona nel film, ci mancherebbe, e la paternalistica spiega finale di Winfried lascia non i denti finti ma l’amaro in bocca, eppure, Toni Erdmann è un ufo sincero, feroce e tenero insieme, sballato ed estenuante, in definitiva, originale. Di questi tempi, è (quasi) tutto. O credete che prendere per i fondelli il dramma (sociale) d’autore sia un gioco da ragazzi? (Federico Pontiggia)

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IN VIAGGIO CON JACQUELINE

gio 1_6 ore 21.15
sab 3_6 ore 21.15

Risultati immagini per jacqueline viaggio
GENERE: Commedia
ANNO: 2016
REGIA: Mohamed Hamidi
ATTORI: Fatsah Bouyahmed, Jamel Debbouze, Lambert Wilson, Julia Piaton, Hajar Masdouki, Patrice Thibaud
FOTOGRAFIA: Elin Kirschfink
MONTAGGIO: Marion Monnier
MUSICHE: Ibrahim Maalouf
PAESE: Francia
DURATA: 91 Min



Trama
Fatah, piccolo coltivatore algerino, ha occhi solo per la sua mucca Jacqueline e sogna di portarla a Parigi al Salone Internazionale dell'Agricoltura. Quando finalmente riceve l'agognato invito, deve trovare il modo per raggiungere la Francia e Parigi, lasciando il suo sperduto villaggio in Algeria. Con una colletta di tutti i compaesani attraversa il mare e approda a Marsiglia. Di lì inizia per l’uomo e il quadrupede un lungo, faticoso viaggio a piedi attraverso tutta la Francia. Incontri pericolosi, incontri sorprendenti, l'inattesa caduta e la risalita, la solidarietà e l'ottusità, tra risate, sorprese, crucci e allegria in un viaggio inaspettato e pieno di tenerezza.

Recensione
Un film on the road a piedi può avere una sua originalità, ma considerando che al guinzaglio il protagonista ha una vacca, allora è chiaro che l'avventura In viaggio con Jacqueline è una stralunata commedia. Un algerino di campagna che risale la Francia, da Marsiglia a Parigi, per far concorrere la sua amata vacca a un concorso di bellezza. Gli incontri curiosamente assortiti sono garantiti, ma niente fa cedere l’animo naif di Fatah in questo tenero feel good movie che si prende il lusso di ritmi lenti, fuori dalle strade più battute. Divertente e spiazzante, ha una carica di umanità fuori scala che rende impossibile non tifare a squarciagola per i due protagonisti, quello con e quella senza corna. (Mauro Donzelli) 

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MAURIZIO CATTELAN – BE RIGHT BACK


MAURIZIO CATTELAN - Be Right Back
mar 30_5 ore 21.15

Sconto per chi prenota!
Biglietti: intero: 10,00 € - ridotto 8,00 € per prenotati alla mail info@cinemamarconi.com (prenotazione valida fino alle ore 12.00 del giorno di proiezione)


Dopo l’anteprima al TRIBECA FILM FESTIVAL arriva nelle sale italiane il docufilm su uno degli artisti più affermati, discussi e provocatori al mondo, un genio del nostro tempo che ha rivoluzionato l’arte contemporanea.
Prendete uno degli artisti più irriverenti, provocatori e geniali degli ultimi anni. E provate a immaginarvi cosa accadrebbe se tentaste di raccontare la sua carriera dirompente.


Nell’impresa si è cimentata la regista Maura Axelrod che in MAURIZIO CATTELAN: BE RIGHT BACK racconta uno dei personaggi più ironici dell’arte del nostro tempo, intervistando curatori, collezionisti, luminari del mondo dell’arte (ed ex-fidanzate) su ciò che rende unico l’autore di opere come La nona ora (che mostra Papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite) e Him (che ritrae Hitler in ginocchio, come uno scolaretto intento a pregare). Dopo un periodo in cui si è specializzato in opere basate sulla tassidermia, Cattelan ha cominciato infatti a creare statue di cera a grandezza naturale dedicate a personaggi famosi: da qui sono nati alcuni dei suoi pezzi più celebri, come la sua Untitled, in cui da un buco nel pavimento esce l’autoritratto dell’artista.

MAURIZIO CATTELAN: BE RIGHT BACK ci accompagna in un viaggio vertiginoso in compagnia dell’uomo che, dalla fine degli anni Ottanta ad oggi, ha scosso il mondo dell’arte contemporanea con una serie di installazioni dirompenti a partire dalla celebre Torno subito, che prende il nome dal cartello che Cattelan aveva attaccato al muro della galleria che doveva ospitare la sua esposizione. Per arrivare sino ai manichini di bambini impiccati a un albero a Milano, a L.O.V.E (una mano aperta con un solo dito, il medio, che si staglia davanti alla Borsa di Milano) e a Daddy Daddy, un coloratissimo Pinocchio di Walt Disney affogato in una piscina.

Tra i protagonisti del film anche Massimiliano Gioni, critico d’arte e direttore associato del New Museum of Contemporary Art di New York. I due diventano amici quando nel 1998 Gioni deve intervistare Cattelan per la rivista Flash Art. Per ogni domanda Cattelan cerca una risposta online, riciclando frasi altrui. Si divertono così tanto che l’artista propone a Gioni di rilasciare una serie di interviste al suo posto, diventando in qualche modo la sua controfigura. Cosa che accade in numerose occasioni, divenendo a sua volta una performance.

Del resto nel corso della sua carriera ventennale, Maurizio Cattelan – nato a Padova nel 1960 da una famiglia modesta – non ha mai smesso di stupire come ha dimostrato anche Maurizio Cattelan: All, la retrospettiva del 2011 a lui dedicata dal Guggenheim Museum di New York, che ne ha consacrato definitivamente il successo. Così quello di Maura Axelrod si trasforma in un ritratto divertente e appassionato per capire chi sia davvero Maurizio Cattelan, dalle origini a oggi. Con tutta l’ironia che lo caratterizza.

TUTTO QUELLO CHE VUOI

gio 25_5 ore 21.15
sab 27_5 ore 21.15
dom 28_5 ore 18.00 e 21.15


GENERE: Drammatico, Commedia
ANNO: 2017
REGIA: Francesco Bruni
ATTORI: Giuliano Montaldo, Andrea Carpenzano, Donatella Finocchiaro, Emanuele Propizio, Antonio Gerardi, Raffaella Lebboroni, Arturo Bruni, Andrea Lehotska, Carolina Pavone
SCENEGGIATURA: Francesco Bruni
FOTOGRAFIA: Arnaldo Catinari
MONTAGGIO: Mirko Platania, Cecilia Zanuso
MUSICHE: Carlo Virzì
PAESE: Italia
DURATA: 106 Min


Trama
Alessandro (Andrea Carpenzano) è un ventiduenne trasteverino ignorante e turbolento; Giorgio (Giuliano Montaldo) un ottantacinquenne poeta dimenticato. I due vivono a pochi passi l'uno dall’altro, ma non si sono mai incontrati, finché Alessandro accetta malvolentieri un lavoro come accompagnatore di quell’elegante signore in passeggiate pomeridiane. Col passare dei giorni dalla mente un po' smarrita dell'anziano poeta, e dai suoi versi, affiora progressivamente un ricordo del suo passato remoto: indizi di una vera e propria caccia al tesoro. Seguendoli, Alessandro si avventurerà insieme a Giorgio in un viaggio alla scoperta di quella ricchezza nascosta, e di quella celata nel suo stesso cuore.

Recensione
C’è chi, come Woody Allen, gira un film all’anno, animato da una mostruosa creatività e dalla necessità di riempire una specie di horror vacui, e chi aspetta pazientemente l’arrivo e l’incanto di un’idea buona, da tradurre in un soggetto, poi un trattamento e quindi in una sceneggiatura punteggiata di scene che scivolano morbidamente l’una dentro l’altra e di personaggi verosimili che garbatamente attraversano l’esistenza, intrecciando relazioni, scambiandosi punti di vista e lasciando un segno profondo. Personaggi da affidare, alla fine, agli attori giusti, per guidarli, pedinarli, illuminarli e riprenderli, trattandoli con garbo e con intelligenza, e tenendosi lontani dalla facile retorica, dal sentimentalismo, dal bozzettismo, dalla trita e ritrita contemplazione delle umane miserie, dalla schiavitù della battuta comica sulle prime travolgente ma poi inesorabilmente scontata.
A questa seconda "élite" di registi - perché quanti brutti film si fanno! - appartiene Francesco Bruni, che ancora una volta parte dall’autobiografia (l’alzheimer di suo padre e la recente fascinazione per una Trastevere dove la signorilità di Via Dandolo stride con l’arroganza dei giovani fannulloni del bar San Calisto) per allargare lo sguardo a ciò che sta fuori da lui con una misura, un’accuratezza e un’empatia che ci rimandano a grandi firme quali Suso Cecchi d’Amico, Mario Monicelli e la coppia Age e Scarpelli.
Forse il paese che questi descrivevano era più interessante di quello di oggi (sconclusionato e caotico), e forse Bruni un po’ lo sa, perché accanto al personaggio di un ventiduenne sbruffone che eccelle nell’arte di bighellonare ed annoiarsi, mette un rappresentante della generazione dei "nonni", un poeta dimenticato e svagato, un Virgilio ora aulico ora impertinente - e ora quietamente borghese e ora outsider - che guida un piccolo gruppo di "esemplari" di quella generazione che il regista ama tanto descrivere in un viaggio di percezione della bellezza della vita e di recupero di un valore che giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, si va disperdendo, nonostante sia la chiave per comprendere il presente nonché il treno che porta dritti e veloci verso un futuro da affrontare ben equipaggiati: la memoria.
In Tutto quello che vuoi c’è qualcuno che la perde, pur aggrappandovisi con le unghie e con i denti, e qualcuno che la riacchiappa per la coda, leggendo libri sulla Seconda Guerra Mondiale e andando a caccia di un tesoro. Sì, perché il film di Bruni - che prima fotografa la quotidianità di due personaggi che gettano le basi per una solida amicizia - diventa a un certo punto un road movie, un’avventura, una rocambolesca gita in Toscana in cui cameratismo e poesia coesistono magnificamente. E’ qui che il racconto si fa bellissimo e che la commozione si affaccia non appena la comicità diviene robusta e la risata scoppia proprio quando la nostalgia rischia di prendere il sopravvento. il regista gioca mirabilmente con i contrasti, che sta bene attento a non rendere mai troppo stridenti. Per questo il suo Giorgio non è mai eccessivamente svagato e clownesco e Alessandro e i suoi amici non diventano mai ragazzi di vita o emblemi di una romanità chiassosa e fastidiosa, conservando invece una tenerezza che poi è il sentimento che abbraccia l’intera narrazione.
Con una regia più matura e movimentata rispetto a Scialla! e Noi 4 e un giovane protagonista che risponde al nome di Andrea Carpenzano e che aderisce perfettamente al personaggio, Tutto quello che vuoi è uno dei migliori film italiani della stagione anche perché c’è Giuliano Montaldo, che si muove agevolmente fra smarrimento e buffoneria, che si porta dietro il suo passato di partigiano, di uomo che ha fatto la grande storia del cinema e di artista umile, e che soprattutto sa mettersi al servizio della creatività altrui: sospirando per un amore andato, facendo lo scemo con un pupazzo, chiedendo affetto e osservando il mondo da una panchina su cui ci siamo seduti volentieri anche noi, una panchina dove per un po’ siamo rimasti con il cuore in subbuglio e carico di dolcezza. Carola Proto

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ROSSO ISTANBUL

venerdì 26 maggio - ore 21.15

GENERE: Drammatico
ANNO: 2017
REGIA: REGIA: Ferzan Ozpetek
ATTORI: Tuba Büyüküstün, Halit Ergenç, Mehmet Gunsur, Nejat Isler, Serra Yilmaz
SCENEGGIATURA: Ferzan Ozpetek, Gianni Romoli
FOTOGRAFIA: Gian Filippo Corticelli
MONTAGGIO: Patrizio Marone
MUSICHE: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
PAESE: Italia
DURATA: 115 Min



Trama
13 MAGGIO 2016. Orhan Sahin torna a Istanbul dopo 20 anni di assenza volontaria. Come editor deve aiutare Deniz Soysal, famoso regista cinematografico, a finire la scrittura del suo libro. Ma Orhan rimane intrappolato in una città carica di ricordi rimossi. Si ritrova sempre più coinvolto nei legami con i famigliari e gli amici di Deniz che sono anche i protagonisti del libro che il regista avrebbe dovuto finire. Soprattutto Neval e Yusuf, la donna e l'uomo a cui Deniz è più legato, entrano prepotentemente anche nella vita di Orhan. Quasi prigioniero nella storia di un altro, Orhan però finisce per indagare soprattutto su se stesso, riscoprendo emozioni e sentimenti che credeva morti per sempre e che invece tornano a chiedergli il conto per poter riuscire a cambiare la sua vita.

Recensione

“Niente è più importante dell’amore” - recita il manifesto di Rosso Istanbul - mentre sul libro del 2013 che ha ispirato il film si legge che in amore “è meglio una scia bruciante, anche se lascia una cicatrice, ed è meglio l’incendio di un cuore in inverno”. Meglio l’intensità di sentimenti, dunque, della freddezza e dell’anaffettività - suggerisce Ferzan Ozpetek sulla carta e attraverso le immagini, e questa convinzione è il fondamento, anzi il tessuto, del suo cinema e in particolare dei suoi personaggi: mai di pietra, costantemente appassionati, a volte attraversati da un malinconico struggimento e comunque sempre pronti a mettersi in gioco, preferibilmente intorno a un tavolo o nell’instancabile attività di rammentare un passato con cui bisogna fare i conti. E preferibilmente in una forma di narrazione che si identifica con il melò.
Ora, l’undicesimo film del regista turco, che non lavora in patria da vent’anni, ha poco del melò, forse giusto i colori, a cominciare da quel rosso che si mescola al blu del mare e del cielo nei tramonti di una città interiorizzata come l’abbraccio caldo di una madre. No, La vicenda dell’editor Ohran Sahin che torna a casa e suo malgrado ricorda con dolore infelicità rimosse e riprende a “funzionare emotivamente” è altro, è un’opera molto più complessa e sofisticata, un racconto profondamente intimo e per questo vero e sentito, oltre che nuovo nel panorama delle storie inventate dal buon Ferzan.
Senza appoggiarsi alla trama di un romanzo non abbastanza "visivo" ma di sicuro appeal per il suo essere strabordante di brandelli di un tempo andato intenso di cui è bello leggere, Ozpetek rompe le righe di un cinema dell'agire e del parlare e tenta un cinema dell'ascoltare e del guardare. Intrappolato nella vita, nei legami e nei ricordi di un altro, il suo protagonista “non fa” e “non dice”, si scambia sì la pelle con l'altro, però nello stesso tempo si mette da parte, perdendosi nei legami e nella memoria delle persone che ha intorno per rompere il guscio che gli ha intrappolato il cuore. Non è un percorso statico il suo, perchè espressivi sono gli occhi di Halit Ergenç e perchè in Rosso c’è una tensione che serpeggia dall’inizio alla fine, complici la sparizione di Deniz, un'ambientazione niente affatto tranquillizzante e una figura maschile che infila sciaguratamente i piedi nelle scarpe del suo doppio letterario.
Eppure, a un certo punto, qualcosa si ingarbuglia. Colpa del gioco di rimandi troppo complicato? O della moltiplicazione degli alter-ego di Ferzan Ozpetek (un ex scrittore incaricato di correggere il romanzo di un regista diventato scrittore)? Succede inoltre che alcuni personaggi si perdano, brillando per un attimo e poi offuscandosi, oppure rimanendo in bilico. Ma questa sospensione, ne siamo certi, è voluta, ed è in accordo con quella di Istanbul, che, allo stesso modo del revisore dagli occhi azzurri, cerca la sua identità. Più che inserire l’ex Costantinopoli in un discorso politico, allora, il regista la rende metafora di un’umanità irrequieta, fatta di anime in costruzione, anime fra cui ci piace pensare che ci sia anche la sua.
Imbruttita da moderni grattacieli e tormentata dal rumore assordante delle trivelle che si mescolano al muezzin, la città in cui si incontrano Oriente e Occidente è autentica come poche volte lo è stata sul grande schermo (altro che location per un Bond Movie!) e potrebbe essere il nuovo punto di partenza per un autore che, invece di “muoversi rimanendo fermo” (cit.), ha scelto di partire, e che, a chilometri e chilometri di distanza dalla sua bella casa nel quartiere Ostiense, si è interrogato, come mai aveva fatto prima, sul sigificato della solitudine. Carola Proto

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FALCHI

venerdì 19 maggio - ore 21.15


GENERE: Poliziesco
ANNO: 2017
REGIA: Toni D'Angelo (II)
ATTORI: Fortunato Cerlino, Michele Riondino, Pippo Delbono, Stefania Sandrelli, Aniello Arena, Fabrizia Sacchi, Gaetano Amato, Wang Xiaoyan
SCENEGGIATURA: Toni D'Angelo (II), Marcello Olivieri
FOTOGRAFIA: Rocco Marra
MONTAGGIO: Marco Spoletini
MUSICHE: Nino D'Angelo
PAESE: Italia
DURATA: 97 Min

Trama
Duri, spregiudicati, spietati. Peppe e Francesco sono così, due falchi, agenti della sezione speciale della Squadra Mobile di Napoli, una sezione preposta per affiancare le indagini sulla criminalità organizzata. A bordo della loro moto e sotto la guida dell'efficiente capo della squadra Mobile, il dottor Marino, con il quale hanno un rapporto quasi paterno, pattugliano la città incuneandosi nei sobborghi più loschi e criminali. Efficientissimi e dediti a 360 gradi alla loro missione, i due amici pagano però lo scotto di una vita sempre in tensione. Francesco è afflitto da una grave depressione e soffre di un'acuta e inconfessata claustrofobia, che riesce ad alleviare attraverso l'abuso di psicofarmaci e droghe. Peppe invece conduce una vita estremamente solitaria: vive sulla costa napoletana degradata e abbandonata, e quando non è in servizio si dedica alla sua unica altra passione: l'addestramento di cani da combattimento.

Recensione
Peppe e Francesco sono due poliziotti di Napoli, della squadra speciale dei Falchi, che lavorano in coppia. In sella alla loro moto, senza divisa, combattono il crimine entrando nei vicoli più stretti e nelle strade più buie, rischiando la vita e senza sapere se hanno a che fare con tossici scippatori o criminali più pericolosi. Francesco, il più giovane, è tornato da poco in servizio, soffre ancora per le conseguenze di un terribile errore sul lavoro e cerca sollievo ai suoi sensi di colpa nella droga e nella vendetta. Peppe alleva cani da combattimento. Quando il loro commissario si suicida perché indagato per rapporti con la camorra, qualcosa si rompe dentro entrambi, che iniziano a cercare il sogno di una (im)possibile rinascita.
È un film buio e notturno, sia in senso fisico che metaforico, il terzo lungometraggio di Toni D’Angelo, interessante sceneggiatore e regista napoletano, figlio della star della musica e del cinema popolare Nino D’Angelo, autore della bella colonna sonora. Falchi,dichiaratamente un poliziesco urbano, somiglia più a un noir per l’ambientazione in gran parte notturna, ma soprattutto per la storia, incentrata sull’interiorità di personaggi che non parlano molto ma sono determinati dalle loro azioni, chiusi in se stessi e nel loro dolore, amici ma sconosciuti l’uno all’altro come a loro stessi. È un film che richiama alla mente molti e disparati modelli: il feroce e doloroso polar francese di Olivier Marchal, il gangster movie orientale degli anni Novanta di John Woo e Johnny To e anche un certo cinema di Wong kar-wai (impressione accentuata dal fatto che i veri cattivi sono in questo caso cinesi), oltre alle atmosfere dei polizieschi di Abel Ferrara, con cui D'Angelo ha lavorato..
Più che di citazionismo, però, sembra trattarsi della rielaborazione personale e a volte inconsapevole di uno spettatore appassionato del genere di cui si è nutrito e che ha i nostri stessi riferimenti. Di fatto, non ne esce un’opera passivamente derivativa, ma uno sguardo originale su una realtà tante volte raccontata al cinema e in tv. D’Angelo si tiene giustamente lontano dalle mitragliate di parole e azioni feroci al cui interno vivono i protagonisti di Gomorra: i suoi falchi parlano poco e sembrano, più di altri loro colleghi, condannati a un limbo a metà tra legge e crimine, come i poliziotti raccontati con maestria dal cinema di William Friedkin. È affascinante lo stile scelto dal regista, che ci fa seguire i personaggi nelle loro folli corse per poi distaccarsene e allontanarsi da loro, a volo d’uccello sulla città, che diventa un intrico geometrico di strade, piazze e vicoli affacciato sul porto, dove la presenza umana scompare.
Quello che colpisce e convince del film è questo modo diverso di vedere un luogo e un genere conosciuto, lo spazio urbano di una città bella e impossibile dove i due falchi non riescono mai a volare alto ma restano sempre, se non per brevi attimi, rinchiusi e attaccati alla terra. Con accenti da tragedia greca la loro storia volge verso una fine prevedibile, ed è forse questo il punto più debole del film: se, infatti, la riconoscibilità dei tòpoi di un genere favorisce l’adesione del pubblico, il fatto di intuire troppo presto dove si andrà a parare rischia di fargli perdere interesse nella storia narrata. A riscattare però il ritmo un po’ discontinuo della narrazione e il finale annunciato ci pensano gli interpreti. Fortunato Cerlino riesce a togliere al suo poliziotto arrabbiato, ferito e triste, come il cane che si trova ad adottare, ogni accenno alla ferocia di Don Pietro Savastano, cesellando un altro bel personaggio. Michele Riondino aderisce anche fisicamente al suo tormentato Francesco, e pur rischiando a tratti di andare sopra le righe, si produce in un’interpretazione convincente, in un ruolo agli antipodi di quelli in cui siamo soliti vederlo, mentre Pippo Delbono e Stefania Sandrelli arricchiscono il film con due misurate e pregevoli partecipazioni. Daniela Catelli

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LIBERE DISOBBEDIENTI INNAMORATE (IN BETWEEN)



gio 18_5 ore 21.15
sab 20_5 ore 21.15
dom 21_5 ore 18.00 e 21.15
DATA USCITA: 06 aprile 2017
GENERE: Drammatico
ANNO: 2016
REGIA: Maysaloun Hamoud
ATTORI: Sana Jammelieh, Shaden Kanboura, Mouna Hawa
FOTOGRAFIA: Itay Gross
PAESE: Israele, Francia
DURATA: 96 Min





Trama
Cosa fanno tre ragazze arabe a Tel Aviv? Fanno quello che farebbero tutte le ragazze del mondo: cercano di costruire il perimetro dentro cui affermare la propria identità. Amano, ridono, piangono, inseguono desideri, s'inciampano, si rialzano. Amano e ridono ancora, magari bevendo, fumando canne e ballando, in attesa dell'alba...

Recensione
Tre ragazze palestinesi condividono un appartamento a Tel Aviv, al riparo dallo sguardo della società araba patriarcale. Leila è un avvocato penalista che preferisce la singletudine al fidanzato, rivelatosi presto ottuso e conservatore, Salma è una DJ stigmatizzata dalla famiglia cristiana per la sua omosessualità, Noor è una studentessa musulmana osservante originaria di Umm al-Fahm, città conservatrice e bastione in Israele del Movimento islamico. Noor è fidanzata con Wissam, fanatico religioso anaffettivo che non apprezza l'emancipazione delle coinquiline della futura sposa. Ostinate e ribelli, Leila, Salma e Noor faranno fronte comune contro le discriminazioni.
C'è un'onda nuova che muove dalle spiagge di Israele e abbatte i tabù arabo-israeliani. Cinema israeliano in lingua araba, In Between fa intendere la voce femminile e rimanda la società alle sue contraddizioni. Per voltare pagina, per avanzare.

Premiata all'Haifa International Film Festival, l'opera prima di Maysaloun Hamoud si nutre di un contesto reale e segue il destino di tre donne che vogliono vivere dove gli è concesso soltanto sopravvivere. Fuggite alle origini e approdate a Tel Aviv, considerata dagli israeliani liberale e aperta alle alterità, le protagoniste scopriranno a loro spese il conto della libertà. A confronto con una doppia discriminazione, sono donne e sono palestinesi, Leila, Salma e Noor procedono a testa alta dentro un film che non risparmia nulla, nemmeno lo stupro, e nessuno. 

Israeliani ebrei e israeliani arabi, laici e religiosi, cristiani e musulmani, nessuno si senta escluso. Lo spettro del patriarcato, dal simbolico al doloso, si incarna progressivamente nei padri come nei fidanzati, predatori frustrati imprevedibili. Colte tra due mondi, la cultura araba musulmana tradizionale e quella ebraico israeliana, le protagoniste si sono lasciate alle spalle interdizioni familiari, comunità religiose e società conservatrici per ritagliarsi un'esistenza nuova e costruirsi una vita sociale a misura dei loro desideri e delle loro volontà. Bar Bahr, il titolo originale, in arabo tra terra e mare, in ebraico né qui né altrove, traduce il disorientamento (meta)fisico di una generazione, quella dei giovani arabo-israeliani che in Israele sono uno su cinque, emancipata dalla propria cultura per adottarne una occidentale. Una generazione che non sa più se appartiene al mare o alla terra. Una generazione, ancora, alla ricerca di libertà che prova a preservare il cuore della propria identità.

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IL GIARDINO DEGLI ARTISTI – L’IMPRESSIONISMO AMERICANO


martedì 9 maggio ore 21.15

Trama
Quella tra arte e giardini è una storia d'amore straordinaria. In epoca moderna tutto inizia in un paesino francese, in quella Giverny che aveva ammaliato Claude Monet trasformandosi in fonte di ispirazione per decine e decine di pittori del tempo. Non è però solo l'Europa a rimanere stregata dalle ninfee. Quando nel 1886 il mercante d'arte francese Paul Durand-Ruel porta trecento dipinti impressionisti a New York, infatti, non può probabilmente immaginare quanto accadrà di lì a breve, quando moltissimi artisti americani faranno i bagagli e partiranno per un pellegrinaggio verso lo stagno più famoso di tutto il movimento impressionista. 
È da qui che prende il via Il giardino degli artisti di Phil Grabsky, che racconta le vicende dell'Impressionismo americano e del suo rapporto con il Garden Movement, fiorito tra 1887-1920. Entrambi i movimenti hanno risposto al rapido cambiamento sociale causato dall'industrializzazione americana. La crescente urbanizzazione stava infatti spingendo l'emergente classe media a cercare rifugio in periferia, dove nel tempo libero era possibile coltivare piccoli e grandi giardini privati.



Recensione
Il film si apre con la mostra The Artist's Garden: American Impressionism and the Garden Movement, 1887-1920 della Pennsylvania Academy of the Fine Arts di Philadelphia. Ci accompagna quindi nel Connecticut, ad Old Lyme, città natale dell'impressionismo USA grazie alla mecenate Miss Florence Griswold, che mise la sua dimora neoclassica a disposizione di artisti come Henry Ward Ranger (1858-1916) e Willard Metcalf (1858-1925), affascinati da spiagge, luci e paludi di questo angolo di paradiso. Si passa quindi a visitare Appledore Island, dove la poetessa Celia Thaxter, accolse artisti come Emerson, Nathaniel Hawthorne, Henry Wadsworth Longfellow, John Whittier e Sarah Orne Jewe trasformando l'isola in un luogo di incontro straordinario che avrebbe ispirato, tra l'altro, 300 opere dell'incisore, disegnatore, illustratore e pittore tra i più famosi dell'impressionismo americano: Childe Hassam (1859-1935).

Del resto Celia, come moltissime altre donne americane del tempo, intese il giardino non solo come un'oasi di pace ritrovata ma anche come uno spazio politico: mentre la popolarità di giardinaggio cresceva, infatti, le donne cominciavano ad accedere a nuove professioni, a leggere gli scritti di orticoltori inglesi come Gertrude Jekyll e William Robinson, ad attivarsi per i diritti civili per diventare sempre più indipendenti. Così, se fino a pochi anni prima la Hudson River School aveva narrato i paesaggi epici di un America sconfinata e gloriosa, ora gli impressionisti offrivano una lettura più intima e riservata della natura, curando la poetica del singolo istante, gli effetti atmosferici e tonali, le sfumature delle siepi e dei gazebi ricoperti di fiori. 

LA TENEREZZA


giovedì 11 maggio - ore 21.15
sabato 13 maggio - ore 21.15
domenica 14 maggio - ore 18.00 e 21.15

GENERE: Drammatico
ANNO: 2017
REGIA: Gianni Amelio
ATTORI: Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti, Greta Scacchi, Renato Carpentieri, Arturo Muselli, Giuseppe Zeno, Maria Nazionale, Enzo Casertano
SCENEGGIATURA: Gianni Amelio, Alberto Taraglio
FOTOGRAFIA: Luca Bigazzi
PAESE: Italia
DURATA: 103 Min




Trama
Lorenzo è un anziano avvocato appena sopravvissuto ad un infarto. Vive da solo a Napoli in una bella casa del centro, da quando la moglie è morta e i due figli adulti, Elena e Saverio, si sono allontanati. O è stato lui ad allontanarli? Al suo rientro dall'ospedale, Lorenzo trova sulle scale davanti alla propria porta Michela, una giovane donna solare e sorridente che si è chiusa fuori casa, cui l'avvocato dà il modo di rientrare dal cortile sul retro che i due appartamenti condividono. Quella condivisione degli spazi è destinata a non finire: Michela e la sua famiglia - il marito Fabio, ingegnere del Nord Italia, e i figli Bianca e Davide - entreranno nella vita dell'avvocato con una velocità e una pervasività che sorprenderanno lui stesso. Ma un evento ancor più inaspettato rivoluzionerà quella nuova armonia, creando forse la possibilità per recuperarne una più antica. 

Recensione
Ispirato al romanzo "La tentazione di essere felici" di Lorenzo Maraone, il film di Gianni Amelio dichiara le sue intenzioni fin dal titolo: perché il regista va a stanare la tenerezza nascosta nelle stanze della casa oscura di Lorenzo (cui la fotografia di Luca Bigazzi regala ombre profonde e fragili chiaroscuri) e nelle pieghe del viso stanco e chiuso di quell'uomo che dichiara di non amare nessuno.
La tenerezza è un film peripatetico non solo perché deambula lungo corridoi, moli, navate di chiesa e tunnel d'aeroporto come se risalisse altrettanti cordoni ombelicali e si aggira per i vicoli di Napoli con l'irrequietezza sonnambula di Renato Caccioppoli in Morte di un matematico napoletano, ma soprattutto perché cammina intorno al dolore circoscrivendolo in cerchi sempre più stretti senza avere mai il coraggio di entrarci dentro, se non in maniera infantile e violenta.

Tutti i personaggi si parlano, attraverso dialoghi sublimi per delicatezza e intuizione (la sceneggiatura è di Amelio e di Alberto Taraglio), senza dire mai fino in fondo ciò che pensano, eppure ogni loro parola, ogni loro sguardo lascia intravvedere squarci di dolorosa verità, e fa trapelare quel desiderio di essere amati che è, appunto, voglia di tenerezza. Lorenzo parla solo con suo nipote Francesco perché "ai bambini si può dire tutto", eppure a questi adulti da bambini non è mai stato detto nient'altro che ciò che dovevano diventare, e ciò che non avrebbero mai potuto essere.

Renato Carpentieri recita il ruolo di una vita regalando a Lorenzo tutte le sfumature di un mestiere amato e di un'umanità profonda, Elio Germano lascia trapelare la sua caratteristica rabbia compressa in una scena memorabile per intensità espressiva e strazio esistenziale. Giovanna Mezzogiorno incarna la durezza che le è stata trasmessa dal padre come unico codice comunicativo ma resta dura senza perdere la tenerezza, perché è ancora capace di tradurre "il suono della voce, il fiato, quello che le persone hanno nella testa". E tenerissima è Micaela Ramazzotti, richiamo di vita talmente potente da diventare irresistibile, ma anche così emotivamente ingestibile da generare l'impulso di sopprimerlo.

La tenerezza è la storia di un uomo che ha fatto della sua ambiguità una professione scegliendo di non essere giudice nella speranza di non venire giudicato, e Amelio lo racconta con una solidarietà legata anche al passare del tempo, a quel momento della vita in cui si vorrebbe perdonare tutti e meritare il perdono di ognuno, e a quella lettura quotidiana dei necrologi in cui si teme sempre di trovare l'ennesimo nome di un amico. Ma la dimensione universale del suo magnifico film è quella della solitudine come segno di questi tempi in cui ognuno, anche all'interno di una famiglia, fa e pensa per sé, in cui le responsabilità affettive sono percepite come blocchi alla propria crescita individuale e fonti costanti di preoccupazione (ovvero specchi della propria inadeguatezza a proteggere), mai come risorse cui attingere nel momento del bisogno, o anime affini con cui condividere quei rari momenti di gioia in cui si esce dalla porta di casa cantando.

Questa Napoli che unisce modernità e passato, generosità e sopraffazione, è un mondo di orfani mai cresciuti costretti ad indossare una maschera sociale che non corrisponde ai loro desideri infantili, e dunque pronti a distruggere i propri giocattoli più amati, a negare persino di amarli, per non dover vivere nella paura di vederseli portare via.  Paola Casella

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IL VIAGGIO (THE JOURNEY)

venerdì 12 maggio - ore 21.15

GENERE: Drammatico
ANNO: 2016
REGIA: Nick Hamm
ATTORI: Freddie Highmore, Toby Stephens, John Hurt, Colm Meaney, Catherine McCormack, Timothy Spall, Ian McElhinney, Ian Beattie, Barry Ward
SCENEGGIATURA: Colin Bateman
FOTOGRAFIA: Greg Gardiner
MONTAGGIO: Chris Gill
PAESE: Gran Bretagna
DURATA: 94 Min



Trama
Dopo 40 anni di Troubles due leader politici dell'Irlanda del Nord, il predicatore protestante IAN PAISLEY e il repubblicano MARTIN McGUINNESS, si incontrano a St. Andrews, in Scozia, per discutere uno storico accordo di pace. Quando le trattative si trovano in una situazione di stallo, i due nemici giurati sono costretti, dalle circostanze e dal destino, a intraprendere un viaggio in macchina insieme, che sarà ricco di imprevisti. Un percorso nella conciliante natura scozzese che, dopo una serie di battute pungenti, apre spiragli nella barriera tra i due e diventa occasione di scoperta reciproca. Costretti a passare molte ore insieme, i due leader realizzeranno di non essere poi così diversi e instaureranno una bizzarra relazione di amicizia, ricordata ancora oggi come "Chuckle Brothers", che porterà a un futuro di pace.

Recensione
Lo sceneggiatore Colin Bateman e il regista Nick Hamm raccontano un viaggio realmente avvenuto, nel 2006, da St. Andrews in Scozia a Belfast, che portò a uno storico accordo per la pace nell’Irlanda del Nord, siglato da due personaggi arroccati sulle proprie posizioni e che avevano sempre rifiutato di parlarsi: il pastore presbiteriano Ian Paisley, leader del Partito Unionista Democratico, e l’esponente del partito repubblicano Sinn Féin, nonché dell’IRA, Martin McGuinness, scomparso in questi giorni. Il film ricostruisce con la fantasia il tempo trascorso insieme “per forza” dai due leader, spostandoli da un aereo a una macchina con autista. Ci regala una verità sicuramente diversa ma plausibile e molto umana sulle “ragioni” di entrambi, in un film toccante e divertente, con una magistrale prova dei protagonisti, Colm Meaney e soprattutto Timothy Spall, che giganteggia nei panni dell’antipatico Paisley. Daniela Catelli 

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BOLSHOI BABYLON

 

BOLSHOI BABYLON
Un film di Nick Read

SOLO IL 3 MAGGIO 2017 ORE 18.30 e 21.15
AL CINEMA

Intrighi di potere, ambizioni sfrenate, ricerca ossessiva della perfezione nel documentario di Nick Read che si spinge dietro il sipario del tempio del balletto mondiale.


Uno sguardo sincero e drammatico dietro le quinte della compagnia di danza più bella del mondo, tra intrighi e lotte politiche. Imperdibile
Vogue

Per la prima volta nella sua storia il Teatro Bolshoi di Mosca ha consentito a una troupe cinematografica l’accesso totale e privo di censure al suo “dietro le quinte”. Ne è nato un documentario che racconta dall’interno gli intrighi del teatro più famoso di tutta la Russia e la vita degli artisti a cui spetta il dovere, giorno dopo giorno, di mantenere intatto il suo antico prestigio.
Presentato al 40esimo TIFF – Toronto International Film Festival, Bolshoi Babylon del regista Nick Read arriva ora nei cinema italiani solo il 2 e 3 maggio distribuito da Nexo Digital e Cinema srl. Un appuntamento che permetterà agli appassionati di scoprire l’esistenza fatta di ossessione e disciplina dei ballerini del teatro russo e di approfondire i recenti fatti di cronaca che ne hanno caratterizzato le vicende.
La storia dei Bolshoi degli ultimi anni ci è stata infatti raccontata dai media internazionali, ma resta a tutt’oggi misteriosa e complessa. Il fatto più eclatante risale alla sera del 17 gennaio 2013, quando l’ex primo ballerino nonché controverso direttore artistico della compagnia di ballo del Bolshoi, Sergei Filin, fu aggredito sulla porta di casa da un uomo mascherato che gli gettò sul volto dell’acido solforico. Filin riportò gravi ferite e rischiò di perdere la vista. In quei giorni le conseguenze dell’accaduto erano difficili da stabilire, ma l’arresto e l’accusa del ballerino solista del Bolshoi, Pavel Dmitrichenko, resero ben chiaro ciò che gli ambienti interni del Bolshoi sapevano già da tempo: la compagnia di ballo era divisa da scontri di personalità, giochi di potere e gelosie reciproche.

Dopo un tumultuoso periodo di indignazione pubblica e di licenziamenti di diversi ballerini, il Cremlino nominò un nuovo direttore artistico, Vladimir Urin, per riportare l’ordine. Il 19 settembre del 2013 Urin salì sul palco insieme all’ex direttore artistico Sergei Filin in via di guarigione, per annunciare gli aspetti più interessanti della nuova stagione della compagnia teatrale. Ma Urin e Filin avevano già lavorato insieme e tra i due non correva buon sangue. A pochi giorni dal primo spettacolo, il corpo di ballo continuava a lamentarsi di un processo di reclutamento ancora molto inquinato e di essere trascurato, mentre ballerini meno capaci venivano invece premiati. La storia di odi e rancori del Bolshoi non sembrava poter trovare conclusione…
Il regista e direttore di produzione inglese Nick Read vive a Londra ed è conosciuto per la realizzazione di documentari di grande successo, spesso realizzati in luoghi difficili o pericolosi. Tra questi vi sono documentari girati nelle carceri israeliane, nella zona verde di Baghdad e, più di recente, in un ospedale di Kabul. Nick ha lavorato in oltre 60 paesi e ha vinto due premi della Foreign Press Association (Inside Israeli Jails), il premio Rory Peck Impact Award (Slumdog Children of Mumbai) e il premio Creative Diversity Award per il migliore documentario (Letting Go).
Il produttore e co-regista Mark Franchetti è il corrispondente del quotidiano Sunday Times a Mosca. Franchetti, che parla correntemente cinque lingue, ha vinto i premi British Press Awards destinati al migliore corrispondente estero per la copertura dell’assedio al teatro di Mosca, entrando due volte all’interno dell’edificio durante la crisi con gli ostaggi per intervistare i terroristi. Inoltre, Franchetti ha vinto il premio della Foreign Press Association per i reportage sugli abusi perpetrati sulla popolazione civile in Iraq a opera dei marine statunitensi. Si è occupato in diverse occasioni della Russia e dell’ex Unione Sovietica, dei conflitti in Cecenia, Kosovo, Iraq, Afghanistan e Georgia.

Sconto per chi prenota!
Biglietti: intero: 10,00 € - ridotto 8,00 € per prenotati alla mail info@cinemamarconi.com (prenotazione valida fino alle ore 12.00 del giorno di proiezione)

FAMIGLIA ALL'IMPROVVISO

giovedì 4 maggio - ore 21.15
sabato 6 maggio - ore 21.15
domenica 7 maggio - ore 18.00 e 21.15


GENERE: Commedia
ANNO: 2016
REGIA: Hugo Gélin
ATTORI: Omar Sy, Clémence Poésy, Gloria Colston, Ashley Walters, Antoine Bertrand
SCENEGGIATURA: Hugo Gélin, Mathieu Oullion
FOTOGRAFIA: Nicolas Massart
MONTAGGIO: Valentin Feron, Grégoire Sivan
PAESE: Francia, Gran Bretagna
DURATA: 118 Min




Trama
Samuel è un eterno adolescente, uno che vive in vacanza dalle responsabilità della vita, che non riesce a fermare il divertimento nemmeno quando l'ora si fa tarda. Poi, una mattina, bussa alla sua porta una vecchia fiamma, la ragazza di un'estate, Kristin, di cui Samuel non serba quasi ricordo e gli mette in braccio un neonato, Gloria: sua figlia. Kristin sale quindi su un taxi e sparisce letteralmente nulla. Samuel la rincorre a Londra, convinto che si tratti di un disguido rapidamente risolvibile, ma otto anni dopo lui e Gloria sono ancora insieme, più legati che mai.

Recensione
Se fosse un esercizio di ginnastica, un movimento del corpo, il film di Hugo Gélin sarebbe una capovolta. Un movimento acrobatico, a suo modo spettacolare, che però è alla portata di tutti; un'inversione, come quella nascosta nel titolo originale: “Demain tout commence”, e nel meccanismo al centro del film stesso, che non si può svelare senza pregiudicarne in parte la visione.
Una capriola come quelle all'ordine del giorno nel lavoro londinese di Samuel, lo stuntman, nel quale l'impatto è reale, inevitabile, ma l'abilità del professionista sta nel saperlo controllare, nell'andarci incontro nel migliore e più sicuro dei modi. In questo senso, nonostante sia il primo a lamentarsi dello scherzo della sorte e a dire che “non si fa un bambino con un altro bambino”, Samuel si rivela presto un professionista della paternità, che mette il suo “lavoro” al centro di tutto e adatta la sua vita di conseguenza. Questa è la parte su cui il film si concentra di più, giustamente, perché quando, per l'appunto con una capovolta, il quadro cambia radicalmente, nello spettatore non deve andar perso il sapore della prima parte, un sapore di felicità, e Omar Sy, dopo Quasi amici è una perfetta garanzia in questo senso.
Storie come queste possono generare grande adesione ma anche un istintivo rifiuto, perché toccano corde profonde e tesissime, eppure ci sono almeno due ragioni che stanno saldamente dalla parte di Famiglia all'improvviso : la prima è che non c'era un altro modo di raccontare questa storia; non sarà nuovo, sarà smussato dai tratti più spigolosi, ma quello scelto dagli sceneggiatori è probabilmente l'approccio migliore a disposizione; e poi è un film senza rimpianti, almeno da parte dei protagonisti, e in questo genere di racconti sono i rimpianti a secernere retorica, ragion per cui la loro assenza è di per sé un bella notizia. Marianna Cappi
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